flyanto
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venerdì 16 dicembre 2016
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uno stile di vita alternativo distante dalla socie
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"Captain Fantastic", presentato quest'anno all'ultimo Festival del Cinema a Cannes, risulta un film molto particolare che ha sollevato svariati pareri dividendo i critici ed il pubblico tra estimatori e detrattori.
Il Captain Fantastic del titolo è un padre di famiglia che ha deciso insieme alla moglie di vivere e far crescere i propri figli in una foresta del Nord America al fine di non venire "contaminati" dalla società contemporanea che essi reputano troppo consumistica e corrotta. Per loro è importante che i figli apprezzino le gioie e la bellezza della natura e vivano, sapendosela cavare da soli, a contatto con essa seguendo degli ideali e dei principi meno superficiali d quelli seguiti dalle persone in generale contemporanee.
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"Captain Fantastic", presentato quest'anno all'ultimo Festival del Cinema a Cannes, risulta un film molto particolare che ha sollevato svariati pareri dividendo i critici ed il pubblico tra estimatori e detrattori.
Il Captain Fantastic del titolo è un padre di famiglia che ha deciso insieme alla moglie di vivere e far crescere i propri figli in una foresta del Nord America al fine di non venire "contaminati" dalla società contemporanea che essi reputano troppo consumistica e corrotta. Per loro è importante che i figli apprezzino le gioie e la bellezza della natura e vivano, sapendosela cavare da soli, a contatto con essa seguendo degli ideali e dei principi meno superficiali d quelli seguiti dalle persone in generale contemporanee. Alla morte improvvisa e prematura della moglie in ospedale a causa di una fulminante malattia, tutto l'assetto creato dalla coppia dei genitori comincia a mettere in crisi tutto il nucleo familiare. Dovendo prendere parte al funerale esso entra in contatto con i genitori borghesi della defunta con cui da anni non vi sono più rapporti. Il suocero, infatti, non approva e non ha mai approvato lo stile di vita assunto dalla figlia, ritenendo responsabile di tutto ciò il genero, e nel contempo per i ragazzi che stanno sempre di più crescendo, si presenta il problema di entrare in contatto con una nuova realtà e con la possibilità anche di compiere degli studi seguendo un "iter" più consono alla loro età e alla loro formazione. Opteranno tutti per la scelta che essi riterranno migliore per loro .....
Un film molto particolare che, presentando uno stile di vita ed una filosofia esistenziale un poco hippy, pone come tematica principale la problematica dell'educazione dei figli e quale possa essere la migliore per la loro crescita e formazione personale e soprattutto se sia possibile e giusto per loro vivere completamente distaccati dalla realtà contemporanea. La soluzione trovata dal regista Matt Ross è personale e, forse, un poco troppo edulcorata e semplicistica. Il film, infatti, si divide nettamente in due parti di cui la prima parte risulta divertente ed abbastanza credibile, la seconda meno e, forse, anche un poco utopistica. Ma al di là del finale, "Captain Fantastic" nel complesso risulta ben fatto e, grazie soprattutto all'ottima recitazione di Viggo Mortensen nel ruolo del padre, di un certo pregio e ben distante dalla banalità di parecchie pellicole più o meno dello stesso genere.
Insomma, sicuramente consigliabile.
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angelo umana
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sabato 18 febbraio 2017
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scontro di civiltà
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Captain Fantastic è un film fantasioso e anche abbastanza divertente di Matt Ross. Si regge sulle sue canzoni, sui paesaggi, su qualche avventura, sul libro da cui è tratto, sul carisma di Viggo Mortensen, bel padre educatore di bambini come nel magnifico The Road. E’ fantasioso perché, per l’importante scopo di dimostrare i nonsense della ns. società evoluta e appesantita, presuntamente istruita dal suo sistema scolastico, ambienta una famiglia composta da padre e 6 figli, ragazzi e bambini tra 5 e 17 anni, in un bosco delle montagne del nord America, a metà tra Into the Wild eEducazione Siberiana.
Papà li alleva come in una piccola “repubblica di Platone”, così voleva pure la mamma, che ora è morente in un ospedale là in basso, in una evoluta città.
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Captain Fantastic è un film fantasioso e anche abbastanza divertente di Matt Ross. Si regge sulle sue canzoni, sui paesaggi, su qualche avventura, sul libro da cui è tratto, sul carisma di Viggo Mortensen, bel padre educatore di bambini come nel magnifico The Road. E’ fantasioso perché, per l’importante scopo di dimostrare i nonsense della ns. società evoluta e appesantita, presuntamente istruita dal suo sistema scolastico, ambienta una famiglia composta da padre e 6 figli, ragazzi e bambini tra 5 e 17 anni, in un bosco delle montagne del nord America, a metà tra Into the Wild eEducazione Siberiana.
Papà li alleva come in una piccola “repubblica di Platone”, così voleva pure la mamma, che ora è morente in un ospedale là in basso, in una evoluta città. Tutto viene messo ai voti ma non si esce dalla ferrea disciplina imposta dal padre, le sole parole non sono ammesse in questa casa, tutto va dimostrato e argomentato. Scalate in montagna e corse mattutine come dei piccoli militari risvegliati dalla sirena, e lo studio da cui non si può derogare, libri che ne fanno dei piccoli mostri di saggezza, al punto da renderli ragazzini capaci di ripetere alti concetti politici con risposte sempre pronte, tipoI potenti controllano la vita dei deboli ePotere al popolo, abbasso il sistema. La piccola repubblica è autonoma e autarchica, vive di caccia; coltelli e pugnali il padre regala ai figli, e non manca l’investitura a “uomo” del ragazzo più grande quando uccide il suo primo cervo.
Il viaggio verso la città per visitare la mamma in ospedale, con un vecchio pullman che possiedono, è l’occasione per confrontarsi con una confusa società moderna ed “efficiente”, uno scontro tra civiltà. Fa osservare ai ragazzi e allo spettatore una certa assurdità del business americano o globale, lo shopping nei centri commerciali come interazione sociale e opportunità di ritrovo, una civiltà grassa e malata che mangia soprattutto cibi in scatola. E allora quale miglior diversivo che compiere missioni cibo libero in qualche supermercato, altrove conosciuti come “espropri proletari”? La famiglia della zia che li ospita in città è esemplare quanto a scarsa cultura dei suoi due figli, più dediti a giochi virtuali su smartphone e home-theater, a scarpe Nike e Adidas; questa zia e il marito proteggono i loro figli dalle parole impegnative e dalla descrizione realistica dei fatti a cui i “wild” sono invece abituati, cresciuti con le azioni più che con le parole.
Anche il funerale della madre sarà evento memorabile per misurare la distanza tra i riti e parole di circostanza di queste occasioni e una sepoltura vera e naturale che poi i ragazzi col loro papà compiranno. Le religioni, papà dice, sono favole inventate (che del resto giustificano riti ripetuti per abitudine, oltreché le violenze del Silence di Scorsese). Al funerale della moglie papà Mortensen si presenta con un abito rosso da rockstar e i bambini agghindati con maschere di ispirazione boschiva: un pugno nello stomaco per i fedeli osservanti. Le parole ribelli e veritiere che pronuncia in un’imprevista orazione funebre fanno inorridire quei fedeli compunti.
La casa dei nonni è secondo questi ragazzi ostentazione di ricchezza volgare, con tutto quello spazio. Questo soggiorno rende però i figli coscienti di altre cose che ci sono da vivere, l’amore e gli sguardi giovanili ad esempio, al punto da rimproverare al padre di essere diventati mostro per colpa tua, del mondo non so niente, a meno che non sia scritto su un cazzo di libro. Il più grande ha tante lettere di università americane che lo ammetterebbero ai loro corsi, era stata la madre a inoltrare le domande di ammissione, la sua cultura probabilmente supera quella di tutti gli studenti iscritti.
Il papà riparte solo nel suo pullman-casa viaggiante. Ma i figlioli, viene rivelato alla fine delle due ore, vorranno allontanarsi da quella civiltà e tornare a casa, tra i boschi. Il più grande partirà invece per il Kenya. Come nelle migliori favole americane l’amor di padre prevale sulle sirene del mondo “evoluto”.
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gianleo67
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giovedì 23 febbraio 2017
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noam chomsky o lev trockij...pari sono
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Padre di sei figli e con una moglie in ospedale per problemi psichici, Ben Cash si è stabilito tra i boschi dello Stato di Washington rifuggendo la civiltà dei consumi ed educando la prole ad una rigida disciplina di sopravvivenza fisica ed eccellenza intellettuale. Quando la moglie muore suicida, sarà costretto ad affrontare un lungo viaggio insieme ai figli per partecipare al funerale, scontrandosi con l'ottusa intransigenza del suocero da sempre contrario al suo stile di vita ed intenzionato a sottrargli la custodia dei nipoti.
Facendo propria l'ispirazione costituzionale di un primo emendamento che si applica non solo alla libertà di culto e di pensiero ma anche e soprattutto alla filosofia di vita, Matt Ross imbastisce un dramma pedagogico ed ecologista che vive delle buone intenzioni di una utopica regressione sociale e delle solite contraddizioni del sogno americano, diviso tra progresso culturale e sperequazioni economiche; nella convinzione che l'aspirazione alla felicità si raggiunga attraverso la costituzione di una comune proletaria a conduzione familiare, isolata in un Eden naturalistico ed autonoma rispetto alle derive di un imperante modello corporativo.
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Padre di sei figli e con una moglie in ospedale per problemi psichici, Ben Cash si è stabilito tra i boschi dello Stato di Washington rifuggendo la civiltà dei consumi ed educando la prole ad una rigida disciplina di sopravvivenza fisica ed eccellenza intellettuale. Quando la moglie muore suicida, sarà costretto ad affrontare un lungo viaggio insieme ai figli per partecipare al funerale, scontrandosi con l'ottusa intransigenza del suocero da sempre contrario al suo stile di vita ed intenzionato a sottrargli la custodia dei nipoti.
Facendo propria l'ispirazione costituzionale di un primo emendamento che si applica non solo alla libertà di culto e di pensiero ma anche e soprattutto alla filosofia di vita, Matt Ross imbastisce un dramma pedagogico ed ecologista che vive delle buone intenzioni di una utopica regressione sociale e delle solite contraddizioni del sogno americano, diviso tra progresso culturale e sperequazioni economiche; nella convinzione che l'aspirazione alla felicità si raggiunga attraverso la costituzione di una comune proletaria a conduzione familiare, isolata in un Eden naturalistico ed autonoma rispetto alle derive di un imperante modello corporativo. Che il cinema indipendente battesse da qualche anno a questa parte sul tasto di una riscoperta di valori e spiritualità al di fuori delle omologazioni della moderna civiltà occidentale, lo si era già capito con le opere di cui il Sundance ed altri festival di settore si sono fatti solerti promotori (Martha Marcy May Marlene, Sound of my voice, The East, Old Joy, Night Moves), avanzando sempre una più o meno esplicita critica anti-sistema, ma anche mettendo in guardia dalle inevitabili derive dall'imperio autoreferenziale di pericolosi estremismi. Non sembra fare difetto questa favoletta accattivante e furbetta del poliedrico Matt Ross, in cui le facili edulcorazioni da romanzo per famiglie trasformano un plausibile immaginario post apocalittico alla Jack London, nella felice decrescita di una Famiglia Bradford in campeggio permanente, con una masnada di enfant sauvage (qui sono sei, lì erano otto) cresciuti a selvaggina e meccanica quantistica, tra la rigida disciplina dei cacciatori-raccoglitori cari a Diamond e le teorie marxiste care a Trockij, impegnati il giorno in una cordata in parete e la sera in una jam session dai ritmi tribali. Al contrario dell'utopica fuga dalla civiltà dell'Harrison Ford di Mosquito Coast (il tentativo fallimentare di applicare la sapienza tecnologica alla manipolazione della natura, miseramente naufragato sulle rive di un mondo fangoso e infertile), qui il ritorno alle origini funziona a meraviglia: i ragazzi sono puliti, carini e ben educati, il mentore si dimostra severo ma comprensivo ed il mondo civilizzato è facilmente accessibile grazie all'autobus non ancora fuori uso di un Emile Hirsch in versione Jeremiah Johnson. Diviso idealmente in due parti separate dallo spartiacque di un evento luttuoso che fa da motore drammatico della storia, questo racconto di formazione di genietti poliglotti con un padre supereroe (le grandi parlano l'Esperanto e le piccole sono già pronte per il Triage di un importante ospedale universitario), si risolve nell'elaborazione del lutto di una tragi-commedia on the road in cui le ragioni dell'utopia (Mens Sana in Corpore Sano) si scontrano con l'insano rifiuto di una realtà che condannerebbe i figli all'isolamento ed all'infelicità (senza contare l'impatto sul core business evolutivo di una mancata riproduzione sessuale): il risultato, dopo lo scontro generazionale con l'immancabile pecora nera (su sei figli, è pura statistica!) e l'ostracismo reazionario del suocero Bonanza, non può che essere il giusto compromesso di una cascina appena fuori mano ad allevar galline. Ottimo il casting di piccole canaglie che imbastiscono gustosi siparietti musicali e fondamentale contributo del vichingo Mortensen che pare abbia partecipato con idee originali a sceneggiatura e messa in scena. Già premio Un Certain Regard per la miglior regia a Cannes 2016, vanta numerose e prestigiose candidature per l'anno in corso tra cui l'Oscar ed il Globe per il Miglior attore protagonista al biondo interprete di origini danesi.
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giovedì 29 dicembre 2016
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chomsky e cipolle
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Beh, vedere una bambina di otto anni che non solo sa cosa sia e recita la Costituzione americana ma ne espone con parole sue il significato, vedere che invece di San Nicola una famiglia festeggi il compleanno di Noam Chomsky o che una ragazzina nata e cresciuta nei boschi dell'Oregon cacciando a coltello daini ed altri animali passi le sue sere a leggere "Armi, acciaio e malattie" (J. Diamond, 1997) o studi, comprendendola, la teoria delle stringhe e senza aver mai frequentato una struttura scolastica si destreggi con il calcolo differenziale... ti fa respirare. Peccato per i paesaggi, totalmente oscurati dalla camera pressochè fissa sul viso di Mortensen.
In un mondo abbruttito dove deve vincere l'ipocrisia, costi quel che costi, ed anche lasciandoci il funzionamento neuronale, le battute di beata innocenza finiscono sempre per farti sperare: "facciamo presto sennò sarà costretta a restare per sempre sotto questa grande stronzata".
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Beh, vedere una bambina di otto anni che non solo sa cosa sia e recita la Costituzione americana ma ne espone con parole sue il significato, vedere che invece di San Nicola una famiglia festeggi il compleanno di Noam Chomsky o che una ragazzina nata e cresciuta nei boschi dell'Oregon cacciando a coltello daini ed altri animali passi le sue sere a leggere "Armi, acciaio e malattie" (J. Diamond, 1997) o studi, comprendendola, la teoria delle stringhe e senza aver mai frequentato una struttura scolastica si destreggi con il calcolo differenziale... ti fa respirare. Peccato per i paesaggi, totalmente oscurati dalla camera pressochè fissa sul viso di Mortensen.
In un mondo abbruttito dove deve vincere l'ipocrisia, costi quel che costi, ed anche lasciandoci il funzionamento neuronale, le battute di beata innocenza finiscono sempre per farti sperare: "facciamo presto sennò sarà costretta a restare per sempre sotto questa grande stronzata".
Liberarsi dall'ipocrisia soggetti però, inevitabilmente a condizionamenti "si mangia vestiti".
In una frase si può riassumere il senso della scelta di madre e padre: "fotti il potere". Frase che non è mai espressa, non almeno in italiano, ma che esemplifica tutto un periodo storico e la tensione oggi rediviva a recuperare l'atto di ribellione ai padri ed ai loro costrutti.
Un film che riesce solo ad accennare a temi esistenziali con rimandi di storia della sociologia, filosofia, economia et c. Un film che però accenna e basta. Poca la tensione che genera se non quella di ingolosire quanti abbiano almeno la possibilità di contestualizzare i rimandi filosofici accennati.
Pecca inaccettabile da traduzione: quasi all'inizio Mortensen fa riferimento alla specie umana definendola "razza". Errore della traduzione o analfabetismo scientifico originario? Per chi mastica le scienze naturali e qualche assaggio di Chomsky se l'è concesso, la frase risuonerà per tutto il film come un grosso neo, imperdonabile, che oscurerà il resto della pellicola, già di per sè poco incisiva nonostante le colte citazioni.
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seiken77
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domenica 14 maggio 2017
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il coraggio e la determinazione di un padre vero
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Ci troviamo in un periodo storico dove sono frequenti correnti di pensiero e di educazione alternative al sistema classico, e sono molte le persone che si identificano più o meno in una o l'altra, di fatto entrando a far parte di un altro sistema (gli hippies, gli steineriani, i cattolici e quant altro).
In questo film il perno generale è un padre che non prende parte ad alcun gruppo, setta, o corrente alternativa: ha il coraggio di fare il padre a 360 gradi.
Insegna ai propri figli la vita vera, non i videogiochi, l'iperprotezione, la morale stanca e nociva, bensì la storia vera dell'umanità, il funzionamento dei poteri lontano dal teatrino che tutti desidereremmo essere il mondo reale; senza mezzi termini egli educa realmente i propri figli.
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Ci troviamo in un periodo storico dove sono frequenti correnti di pensiero e di educazione alternative al sistema classico, e sono molte le persone che si identificano più o meno in una o l'altra, di fatto entrando a far parte di un altro sistema (gli hippies, gli steineriani, i cattolici e quant altro).
In questo film il perno generale è un padre che non prende parte ad alcun gruppo, setta, o corrente alternativa: ha il coraggio di fare il padre a 360 gradi.
Insegna ai propri figli la vita vera, non i videogiochi, l'iperprotezione, la morale stanca e nociva, bensì la storia vera dell'umanità, il funzionamento dei poteri lontano dal teatrino che tutti desidereremmo essere il mondo reale; senza mezzi termini egli educa realmente i propri figli.
Per un questione di principio poi, si espone al mondo esterno, che lo accoglie con prepotenza e ingiustizia nelle vesti di un nonno afflitto dalla sindrome del dominio, al quale si ribella e lo fa con coraggio, portando poi ai figli un messaggio di speranza ineguagliabile, che servirà per dare loro la forza durante tutta la loro vita.
E poi, il compromesso, l'equilibrio tra le due parti educative dà origine a un ulteriore nuovo stile di vita, meno estremista, ma la cui esistenza è soggettata fortemente all'esistenza del primo periodo, dal quale le basi emotive solide e corrette dei ragazzi hanno avuto origine.
Un film impegnativo, piacevole, che incute coraggio a tutti quei genitori che non si sentono tali nel vero senso della parola, un padre che ha il fegato di vedere il mondo dal proprio punto di vista e insegnarlo integralmente ai propri figli senza far affidamento a istituzioni spesso corrotte, persone a volte incompententi e a tutto quel sistema che funziona quasi fossimo un essere umano solo. Ma non è cosi. Un film che rende speciale una famiglia, non l'umanità intera, ma pochi soggetti, innanzi al mondo intero.
A mio avviso un capolavoro che in un periodo come quello in cui ci troviamo ha un significato veramente speciale. Da non perdere.
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mario nitti
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venerdì 9 dicembre 2016
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buon film, morale dubbia
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Ben Cash dedica la sua vita all’educazione dei suoi sei figli, solo lo fa in modo un po’ originale, vivendo con loro in una tenda sperduta tra le valli delle Montagne Rocciose, insegnandoli ad uccidere cervi a mani nude, scalare montagne, leggendo capolavori della letteratura e imparando le scienze, il tutto senza contatti con altri esseri umani. Un giorno arriva la notizia che la mamma è morta, si è suicidata perché afflitta da un disturbo bipolare della personalità, così la tribù deve tornare in mezzo alla civiltà. I sei giovani sono pronti alla prova? Il regista attraverso la figura di Ben propone un modo alternativo di educare i figli, contro il sistema, ritrovando un’armonia con la natura, rifiutando religioni e convenzioni.
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Ben Cash dedica la sua vita all’educazione dei suoi sei figli, solo lo fa in modo un po’ originale, vivendo con loro in una tenda sperduta tra le valli delle Montagne Rocciose, insegnandoli ad uccidere cervi a mani nude, scalare montagne, leggendo capolavori della letteratura e imparando le scienze, il tutto senza contatti con altri esseri umani. Un giorno arriva la notizia che la mamma è morta, si è suicidata perché afflitta da un disturbo bipolare della personalità, così la tribù deve tornare in mezzo alla civiltà. I sei giovani sono pronti alla prova? Il regista attraverso la figura di Ben propone un modo alternativo di educare i figli, contro il sistema, ritrovando un’armonia con la natura, rifiutando religioni e convenzioni. E’ chiaro che simpatizza per ciò che descrive, ma alla fine lo spettatore si chiede quanto tutto quello che avevo visto sia utilizzabile per risolvere i problemi di un mondo sovrappopolato da 7 miliardi di persone; purtroppo le risposte non sono incoraggianti.
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