Il film si apre con una scena che ha il sapore di un thriller esoterico: alcune vedute di una chiesa abbandonata e una cripta, in sottofondo musica d’organo e immagini disturbanti. I primi dialoghi sono agitati, mossi ma intuiamo che è una telefonata, una donna che si lamenta con un uomo per la sua assenza. Stacco, immagini di una messa. Inizia così, con questa scena molto cinematografica e suggestiva “Uomini proibiti”, documentario che parla di quei preti che si trovano costretti a scegliere tra l’obbligo di castità e il proprio desiderio, umano, di farsi una famiglia con la donna che amano. Prodotto da MaxMan Coop e diretto da Angelita Fiore, già regista di “Life in Art Art in Life”, “Mutatis Mutandis” (Bellaria Film Festival), “Il nodo di Sylvie” (2° premio Zabut Film Festival) e “Not 1 reason” (premio professione reporter), il film ci mostra un lato nascosto della Chiesa cattolica, in un momento in cui questa si sta mettendo in discussione e attraversa un periodo di grandi cambiamenti.
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Il film si apre con una scena che ha il sapore di un thriller esoterico: alcune vedute di una chiesa abbandonata e una cripta, in sottofondo musica d’organo e immagini disturbanti. I primi dialoghi sono agitati, mossi ma intuiamo che è una telefonata, una donna che si lamenta con un uomo per la sua assenza. Stacco, immagini di una messa. Inizia così, con questa scena molto cinematografica e suggestiva “Uomini proibiti”, documentario che parla di quei preti che si trovano costretti a scegliere tra l’obbligo di castità e il proprio desiderio, umano, di farsi una famiglia con la donna che amano. Prodotto da MaxMan Coop e diretto da Angelita Fiore, già regista di “Life in Art Art in Life”, “Mutatis Mutandis” (Bellaria Film Festival), “Il nodo di Sylvie” (2° premio Zabut Film Festival) e “Not 1 reason” (premio professione reporter), il film ci mostra un lato nascosto della Chiesa cattolica, in un momento in cui questa si sta mettendo in discussione e attraversa un periodo di grandi cambiamenti. Le scene successive sono mostrate nello stile “classico” del documentario ma il messaggio che ne scaturisce non è certamente banale. Ascoltiamo vari punti di vista: preti che hanno dovuto rinunciare alla loro vocazione per stare accanto alle loro amate, madri che si sentono emarginate dalla loro comunità, bollate come “seduttrici”, “tentatrici”, figlie che tengono in bella vista orsacchiotti con il collarino da sacerdote e affermano tranquillamente che il loro papà fa di mestiere il prete. Il documentario lascia molto spazio alle parole, alle riflessioni, non cerca la strada più semplice, ma ama perdersi tutte le volte, lasciarsi guidare da ciò che viene detto dai protagonisti stessi. Particolare rilevanza hanno le testimonianze delle donne, argomento privilegiato della regista come testimoniato anche i suoi precedenti lavori come “Il nodo di Sylvie”. Proprio loro che, più di tutti, subiscono la sorte peggiore per aver espresso liberamente i propri sentimenti. Si può ben affermare, dunque, che il tema principale del film va ben oltre il semplice “celibato sì/no”: il tema principale è la libertà (d’espressione, di pensiero, di scelta…), argomento molto complesso ma mai così attuale. E il film crede in questa libertà e la traduce in immagini, in azioni. Sì, perché la vera forza di questa pellicola è il non fermarsi alla sola visione ma il voler andare oltre, consapevole della forza del suo messaggio, rompere gli sche(r)mi. Da qui la scelta di una campagna di crowfunding per portare la pellicola all’attenzione di papa Francesco. Un obiettivo che, se portato a buon fine, aprirebbe nuove strade nel sistema di promozione per quanto riguarda il documentario d’impegno civile. Una pellicola, dunque, destinata a far parlare molto di sé, come dimostra il successo avuto nel circuito dei festival italiani (culminato con 2 menzioni speciali all’ultimo Film Festival di Genova, miglior documentario nazionale + Menzione speciale della critica).
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