I miei giorni più belli

Film 2015 | Drammatico, +13 120 min.

Regia di Arnaud Desplechin. Un film Da vedere 2015 con Mathieu Amalric, Lou Roy-Lecollinet, Quentin Dolmaire, Léonard Matton, Dinara Drukarova. Cast completo Titolo originale: Trois Souvenirs de ma Jeunesse. Titolo internazionale: My Golden Days. Genere Drammatico, - Francia, 2015, durata 120 minuti. Uscita cinema mercoledì 22 giugno 2016 distribuito da Bim Distribuzione. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,80 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento martedì 28 giugno 2016

Paul Dédalus riflette sul suo passato: dall'infanzia tormentata al rapporto con la famiglia. Ma soprattutto ricorda Esther, il suo grande amore. Il film ha ottenuto 10 candidature e vinto un premio ai Cesar, 1 candidatura a Spirit Awards,

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Consigliato assolutamente sì!
3,80/5
MYMOVIES 4,00
CRITICA 4,33
PUBBLICO 3,08
CONSIGLIATO SÌ
Desplechin riprende il personaggio di uno dei suoi primi film in un egopic che afferma il primato della soggettività e dell'introspezione.
Recensione di Marzia Gandolfi
venerdì 17 giugno 2016
Recensione di Marzia Gandolfi
venerdì 17 giugno 2016

Dopo un soggiorno in Tagikistan, Paul Dédalus, antropologo francese, rientra a Parigi. Fermato dalla polizia di frontiera, viene interrogato da un funzionario della DGSE (i servizi segreti esteri francesi). Paul Dédalus deve spiegare l'esistenza di un suo perfetto omonimo, un ebreo russo nato il suo stesso giorno, rifugiato in Israele e morto da qualche anno e da qualche parte in Australia. Paul cerca nei ricordi e risale il tempo, indietro fino all'infanzia, alla morte per suicidio della madre, alla sua giovinezza coi fratelli e il padre vedovo inconsolabile, il suo incontro con la dottoressa Behanzin, all'origine della sua vocazione per l'antropologia, e quello con Esther, il suo primo e struggente amore.
È un nome che dona al film di Arnaud Desplechin il suo primo respiro. Chi è Paul Dédalus? Chi è quest'uomo che confrontato con un'identità parallela si mette a sondare la sua? E cosa definisce un uomo? Il nome, la data e il luogo di nascita scritti sul passaporto? Oppure i ricordi incalzanti che si contendono lo spazio nella sua memoria, scrivendo giorno dopo giorno i capitoli di un romanzo intimo? Facciamo un passo indietro. Paul Dédalus è l'eroe de I miei giorni più belli ma il suo nome viene da lontano. Alter ego di James Joyce venuto al mondo con "Ritratto dell'artista da giovane" e poi 'cresciuto' nel suo "Ulisse", Dédalus è il doppio finzionale di Desplechin concepito nel 1996 (Comment je me suis disputé...ma vie sexuelle) e incarnato da Mathieu Amalric. Dodici anni dopo riemerge bambino in Racconto di Natale e sotto il tetto della grande casa roubaisienne della matriarca Junon/Deneuve, diciannove anni dopo ritorna in un film-fiume declinato in tre capitoli che gradualmente crescono in ampiezza e durata, accompagnando il protagonista dall'infanzia all'età adulta.
Seguendo il modello stabilito da François Truffaut, Desplechin riprende il personaggio di uno dei suoi primi film per fargli vivere delle nuove avventure, passate e presenti. (Es)tratto da Comment je me suis disputé...(ma vie sexuelle), Paul Dédalus non è più lo stesso ma non è nemmeno un altro (ieri filosofo, oggi antropologo). Scarti e incoerenze (intenzionali) tra i due Dédalus rendono (im)possibile il proseguimento di un film nell'altro, cortocircuitando e riorganizzando tutto in un egopic che afferma il primato della soggettività e dell'introspezione.
Tuffato nella sua memoria, Paul Dédalus pesca tre ricordi, quelli del titolo francese (Trois souvenirs de ma jeunesse): il primo, breve e violento, fa eco alle opere passate del regista e ad altri grandi momenti del cinema sull'infanzia (Truffaut e Pialat, Rossellini e Buñuel); il secondo rimanda a un altro mito fondatore del cinema di Desplechin, quello dello spionaggio (La Sentinelle), la belle aventure (la gita scolastica in URSS) serve all'autore per concepire un altro Paul Dédalus, il giovane ebreo a cui il nostro, personaggio eroico bigger than life, dona il suo passaporto per raggiungere Israele; il terzo, cuore battente del film, è consacrato al soggetto amato, Esther, adolescente dall'allure fatale che lo fa capitolare per sempre. Il souvenir conclusivo e più lungo è in sostanza un teen-movie, un film 'per corrispondenza' (tra Roubaix e Parigi), una storia d'amore ordinaria e magnifica e magnifica perché ordinaria. Un sentimento che non ha niente di eccezionale se non di essere stato vissuto e mai dimenticato.
Scandito dai turbamenti e dagli eccessi della passione, dalle lettere che gli amanti si scrivono e leggono guardando in 'camera', il terzo episodio si svolge sullo sfondo della caduta del Muro di Berlino che segna la fine dell'adolescenza e trasloca Paul a Parigi. E a Parigi il protagonista, che prende a pugni la vita e si lascia pestare dalla vita, avvia i suoi studi di antropologia ed elegge, dopo la zia, una nuova madre adottiva, la professoressa Behanzin che ha il nome di un re africano senza regno, eroe mitico della resistenza alla Francia coloniale. Egoista e passionale, Esther è la magnifica ossessione di Paul che apprende la vita, cresce, invecchia e si scopre ancora pieno di un "furore intatto" davanti al suo rivale, l'amico canaglia che lo derubò del suo 'bene', e al sentimento irriducibile per Esther, che ha amato, tradito, lasciato, ripreso, ripensato, rivissuto. Desplechin filma il loro desiderio adolescente in quello che ha di più grande e tragico: una libertà che aiuta a determinarsi e a diventare soggetto quando sei giovane, un 'peso' di cui non sai più che fare quando sei diventato grande. Creatura e creatore, Paul Dédalus è condiviso da Antoine Bui, Quentin Dolmaire e Mathieu Amalric.
Dei tre corpi-memoria (infanzia, giovinezza, maturità), l'ultimo pronuncia "je me souviens", risorgendo gli altri in un tourbillon romanzesco, una riconfigurazione ininterrotta che prosegue oggi con un vero-falso prequel, che non si impone subito con evidenza ma trova progressivamente il suo battito. Un movimento retrospettivo che assume la forma del ricordo e un movimento di rilancio che lo rimette in circolo, incarnato in volti sconosciuti (Antoine Bui, Quentin Dolmaire) e splendidamente lontani dal loro doppio più àgé (Mathieu Amalric). Fantasma di carne e sangue con cui s'intendono senza vacillare nello spettatore il credito di un personaggio che non smette di sbocciare.

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PUBBLICO
RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
domenica 26 giugno 2016
vanessa zarastro

“I miei giorni più belli” è un film per nostalgici di Truffaut che sentono ancora bisogno di “romanzi intimi” e di problemi degli amori adolescenziali in una piccola città della provincia francese. Le vicende sentimentali sono presentate in flash back - il titolo originale è “Trois Souvenirs de ma Jeunesse” – e narrate la dalla voce [...] Vai alla recensione »

martedì 10 gennaio 2017
LBavassano

Non si capisce bene dove voglia andare a parare il film di Desplechin, se l'intenzione del regista sia quella, piuttosto fine a se stessa, di disorientare lo spettatore mescolando i generi e, in parte, gli stili narrativi, o se invece sia stata la storia a sfuggirgli di mano prendendo il sopravvento. Fatto sta che dei tre ricordi che dovrebbero costituirne la trama, i primi due, l'infanzia [...] Vai alla recensione »

giovedì 23 luglio 2020
devo27

Premesso che non ho capito praticamente nulla della recensione di Gandolfi, per mia ignoranza, ho semplicemente visto il film, senza averne visti altri prima dello stesso personaggio o dello stesso regista. In passato ho apprezzato alcuni film di Truffaut ed è evidente una certa somglianza con la storia raccontata da Desplechin, seppure quest'ultima risulti più grezza, meno profonda. [...] Vai alla recensione »

domenica 11 agosto 2019
Francesco2

 La parentesi surreale – almeno parzialmente-, in cui il protagonista viene sospettato di essere stato un agente segreto, a causa di un viaggio in Russia che risale a tanti anni prima, potrebbe lasciare perplessi quanti siano tentati di rintracciare nel film il retaggio cinematografico di Rohmer, o soprttutto di Truffaut, visto che l’oggetto della narrazione resta sempre la prima giovinezza [...] Vai alla recensione »

FOCUS
FOCUS
domenica 26 giugno 2016
Roy Menarini

Esiste uno spazio per il cinema di Arnaud Desplechin oggi? La domanda non deve apparire peregrina visto che è così difficile distribuire i suoi film in Italia - e bisogna essere felici della presenza in sala del suo ultimo e vorticoso I miei giorni più belli. Si tratta di un cinema (e di un cineasta) che fa dell'assorbimento emotivo e della fabulazione verbale la sostanza stessa della sua arte. Nella produzione contemporanea, l'opera di Desplechin non somiglia a nessun'altra, perché rifiuta sia la dimensione contemplativa dello "scolpire il tempo" di tanto cinema del reale di oggi, sia la medietà della produzione francese "borghese" fatta di dialoghi, osservazione del personaggio, arco di trasformazione dei caratteri.
I suoi personaggi sono continuamente avvolti in una ragnatela di emozioni, affetti, incertezze, contraddizioni, che tendono verso un assoluto di sé stessi cui la vita sottrae qualsiasi stabilità. Il ricorso a diverse voci narranti, e a una composizione polifonica del racconto (anche quando esso si concentra su due soli personaggi, come nel caso del ricordo più lungo dei tre narrati nel film), significa, in Desplechin, continuare a guardarsi dentro mentre ci si guarda da fuori cercando un impossibile equilibrio. Il ricordo ("Je me souviens") esiste di solito per ragionare a freddo e più razionalmente su quanto si è vissuto. E invece i ricordi di Trois Souvenirs...sono intatti nel loro inafferrabile scorrere.

Ha senso oggi un film come I miei giorni più belli? C'è spazio per Proust o non se ne può più del modernismo? Interessa solamente i fan del cinema d'autore duro e puro (ancora Truffaut, ancora Eustache...) o può superare i confini della nicchia radicale?

E, visto quanto è interessato al concetto di flusso di vita e di coscienza, Desplechin si indirizza per I miei giorni più belli ai santi numi del modernismo letterario, come Joyce e Proust. Ma se il nome del protagonista, Paul Dedalus, richiama fin troppo esplicitamente il primo dei due romanzieri, bisogna dire che il film è totalmente, intimamente proustiano, anzi è uno dei casi più eclatanti di critica letteraria trasformata in azione estetica.
Il rapporto tra Proust e il cinema, notoriamente, è stato conflittuale e per forza di cose irrisolto. Poi arriva un regista come Desplechin e intuisce come si può fare un film proustiano identificando nel cinema i mezzi possibili e necessari per poter almeno immaginare una ricerca del tempo perduto contemporanea. In modo quasi miracoloso, I miei ricordi più belli cuce un tessuto di ricordi profondamente narrativi, di sensazioni che si sciolgono in un incessante dialogare, di svolte che sono al tempo stesso clamorose e sottaciute, di viaggi in giro per il mondo, che sfiorano il romanzesco e persino lo spionistico e poi tornano nuovamente all'intimo e allo spazio di una stanza. Impossibile sbrogliare questa matassa da un punto di vista meramente analitico, anche se il film è suddiviso in tre parti diseguali ma chiaramente riconoscibili.

Frasi
A che serve l'amicizia quando la passione è ancora intatta?
Abel Dédalus (Olivier Rabourdin)
dal film I miei giorni più belli - a cura di Umberto
STAMPA
RECENSIONI DELLA CRITICA
Anna Maria Pasetti
Il Fatto Quotidiano

Trois souvenirs de ma jeunesse, ovvero tre ricordi dalla mia giovinezza. Sono quelli di Paul Dédalus, un uomo qualunque e quindi "speciale" se lo si sa osservare da vicino. La memoria del suo passato riemerge con potenza quando rientra in Francia dal Tajikistan, dove si trovava per lavoro. L'infanzia con una madre in preda ad attacchi di follia, l'adolescenza con le prime sperimentazioni amorose e [...] Vai alla recensione »

Fabio Ferzetti
Il Messaggero

Estate, stagione di capolavori. A volte è quando i cinema si svuotano che gli schermi accolgono le immagini più originali, le storie più folli, i registi più inclassificabili. Quest'anno (da giovedì) tocca a Desplechin, classe 1960, autore di una decina di film che mescolano gioiosamente invenzione e autobiografia, dramma e commedia, splendore e bizzarria (tra i pochi visti in Italia, Re e regina, [...] Vai alla recensione »

Eugenio Renzi
Il Manifesto

«Ricordi della giovinezza» che danno il titolo al nuovo film di Arnaud Desplechin (in Italia esce però come I miei giorni più belli, a Roma e Bologna e on demand sulle principali piattaforme) sono quelli di Paul Dedalus, antropologo e viaggiatore irrequieto, uomo dall'abile ingegno e dall'abilissima lingua, perennemente in fuga, incantatore e seduttore precoce.

NEWS
TRAILER
martedì 14 giugno 2016
 

Arnaud Desplechin, il grande regista francese che dipinge sentimenti ed emozioni con una maestria unica, torna a raccontarci le vicende di Paul Dédalus, l'enigmatico e romantico anti-eroe già interpretato nel 1996 da Mathieu Amalric in Comment je me suis [...]

winner
miglior regia
Cesar
2016
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