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claudiofedele93
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lunedì 4 gennaio 2016
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un altro grande film di iñárritu.
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Accostarsi al cinema di Alejandro González Iñárritu non è semplice, specialmente dopo la sua totale consacrazione alla cerimonia degli Oscar del 2015 che l’ha visto trionfare con una pellicola tanto grottesca quanto realistica, che catapultava, con un piano sequenza ininterrotto di ben due ore, gli spettatori in una storia affascinante, sebbene simile a tante, ambientata all’interno di un teatro a Broadway, nella città di New York. Interni maestosi, seppur scarni nel decoro, virtuosismi mostrati senza remore, capaci di rivelarsi ad ogni nuova messa a fuoco dando una continuità come mai non si era vista prima grazie ad un montaggio certosino, protagonisti tanto sopra le righe da mostrarsi, in fine, specchio umano di tutta una vasta gamma di attori e personalità che affollano uno specifico ambiente, quello del Musical e dei palchi teatrali, il tutto contaminato da una forte critica verso un cinema moderno che innalza paladini ogni giorno in difesa di ideali troppo lontani da quella che in molti configurano come settima arte, questo e molto altro è stato “L’imprevedibile Virtù dell’Ignoranza”.
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Accostarsi al cinema di Alejandro González Iñárritu non è semplice, specialmente dopo la sua totale consacrazione alla cerimonia degli Oscar del 2015 che l’ha visto trionfare con una pellicola tanto grottesca quanto realistica, che catapultava, con un piano sequenza ininterrotto di ben due ore, gli spettatori in una storia affascinante, sebbene simile a tante, ambientata all’interno di un teatro a Broadway, nella città di New York. Interni maestosi, seppur scarni nel decoro, virtuosismi mostrati senza remore, capaci di rivelarsi ad ogni nuova messa a fuoco dando una continuità come mai non si era vista prima grazie ad un montaggio certosino, protagonisti tanto sopra le righe da mostrarsi, in fine, specchio umano di tutta una vasta gamma di attori e personalità che affollano uno specifico ambiente, quello del Musical e dei palchi teatrali, il tutto contaminato da una forte critica verso un cinema moderno che innalza paladini ogni giorno in difesa di ideali troppo lontani da quella che in molti configurano come settima arte, questo e molto altro è stato “L’imprevedibile Virtù dell’Ignoranza”.
Birdman era tutto ciò, e molto altro: erano i dubbi, gli errori, il distacco dal mondo, l’immateriale orrore umano, l’animo distrutto e sensibile di un uomo, interpretato da un Michael Keaton da favola, finalmente tornato alla ribalta dopo anni passato a fare da spalla in lavori di certo non alla sua altezza; ogni cinefilo che si rispetti è rimasto travolto dinnanzi a questo prodotto tanto affine alla commedia quanto tragico nella sua messa in scena, sopra i propri limiti sia nell’impostazione che nei contenuti, sebbene ancorato ad un universo che fin dal primo movimento di macchina ogni uomo o donna sente affine con quel che lo circonda.
Accantonato, dopo nemmeno un anno, l’uomo comune disperato, a causa di una carriera in totale discesa e per via di una notorietà sempre più indirizzata al passato, quando sul grande schermo prendeva il volto di uno dei molti supereroi che affollano i cinema, oggi il regista messicano torna a far parlare di se con una pellicola disarmante, crudele, cinica, spietata, spettacolare, umana e delicata nella sua più oscura bellezza.
The Revenant - Redivivo è, di fatto, l’opposto, in tutto e per tutto, del suo precedessore, ed i cambiamenti sono percepibili sin dalla prima inquadratura, oltre che dalla storia che Inarritu decide, stavolta, di raccontare. Lasciati camerini putridi e sporchi della New York odierna, per far spazio ad innevati quanto suggestivi paesaggi montani dell’America del Nord (o dello stato del Canada e dell’Argentina, addirittura) dei primi anni del XXsecolo, l’azione, stavolta, vede protagonista Hugh Glass ed un manipolo di soldati destinati a cacciare alci e altri animali grazie ai quali ricavare il più alto numero di pelli pregiate, da rivendere poi ai giusti acquirenti. Tuttavia il Nord Dakota è un territorio ostile, pieno di pericoli e trappole, provenienti non solo dalla natura, ma in primis dall’uomo. Glass ed i suoi compagni, sfuggiti ad un’incursione delle tribù indiane native del luogo, dovranno tornare a casa ed attraversare gran parte dell’interno Stato nel bel mezzo dell’inverno. A peggiorare, infine, la situazione, saranno le mortali ferite che Hugh riporterà dopo essere stato attaccato da un orso. Menomato, in fin di vita, lasciato alla mercé di se stesso e delle bestie che popolano i boschi selvaggi, l’uomo, ormai orfano del proprio figlio, ucciso brutalmente da John Fitzgerald, uno dei tanti cacciatori appartenenti al gruppo di fuggiaschi, troverà il coraggio e la forza per vendicarsi di chi l’ha lasciato agonizzante al gelo, intento a reclamare a tutti i costi la propria vendetta.
Redivivo è un lavoro complesso ed ambizioso, che, come scritto poc’anzi, molto intelligentemente prende le distanze da Birdman per aprire scenari e situazioni inedite, che pur tuttavia conservano, ancora intatto, l’animo e la verve artistica di chi ha diretto entrambi i lungometraggi. La mano di Iñárritu è tangibile in ogni momento, si avverte e si riconosce in una qualunque sequenza a cui siamo messi davanti e siamo testimoni, concretizzandosi in toto quando a farla da padrone è il realismo a dir poco estremo e le situazioni spettacolari, e corali, che l’autore di Amores Perros, analizza e studia fin nel minimo dettaglio, graziato anche dalle scelte estetiche del direttore della fotografia, il due volte premio Oscar Emmanuel Lubezky, con il quale il film-maker ha deciso di utilizzare una particolare cinepresa che permettesse di sfruttare, come unica fonte di illuminazione, quella naturale. Una prova, sotto il profilo puramente visivo, veramente notevole, che per l’ennesima volta mette agli atti il talento innato del noto direttore della fotografia che, proprio come fece Kubrick in Barry Lyndon, cerca di cogliere la bellezza dei paesaggi ed il pathos del racconto senza l’ausilio o il compromesso, di luce artificiale.
Se, infatti, sul piano tecnico siamo di fronte ad un lauto banchetto di virtuosismi e movimenti eleganti contrapposti ad una macchina da presa sempre presente ed invasiva quel che basta da rimarcare la personalità dell’autore, sotto il profilo degli attori ancora una volta González Iñárritu sottolinea la sua grande padronanza nel saper sfruttare al meglio i talenti di cui dispone. Leonardo DiCaprio, che spesso vediamo in ruoli che lo portano ad essere costantemente sopra le righe, vuoi per le situazioni assurde, per gli eccessi o per un modus operandi che fa della propria versatile presenza e graffiante voce un vero e proprio marchio di fabbrica, ci regala una performance a dir poco perfetta, moderata e delicata, che parte, per certi aspetti, pienamente nelle sue corde, rispettando in toto i parametri a cui l’inaffondabile Jack ci ha abituato, per poi adagiarsi in un sottofondo di malinconia e umanità che raramente era fuori uscito dal fuori classe di origini italiane. Se infatti, il talento di DiCaprio non è mai stato messo in dubbio, qualcuno poteva, però, contestare una certa ripetitività in alcune produzione nei riguardi di un approccio fin troppo simile tra una pellicola ad un altra, sempre, ad ogni modo, sorretto da un impegno costante e duraturo. Oggi, sembra proprio il caso di dirlo, Leonardo DiCaprio assurge ad essere un attore completo, poiché non affascina né colpisce più lo spettatore per la sua bellezza o per la sua bravura, ma semplicemente per l’umanità e la pietas che riesce a cogliere e restituire al suo alter ego di celluloide, lasciandosi guidare dalla mano di un regista che ha potuto plasmare un attore a suo piacimento affinché questi potesse dar alla luce un’interpretazione che, nelle due ore e mezzo necessarie ad arrivare ai titoli di coda, costituisse l’ossatura stessa dell’intera pellicola.
Ad affiancare DiCaprio troviamo un cast di tutto rispetto, se non addirittura all’altezza del pupillo preferito dall’ultimo Scorsese. Domnhall Gleesonsi conferma una spalla efficace e matura, capace di saper dare spessore ai tanti ruoli che l’annata precedente l’hanno visto chiamato in causa, dimostrando quanto quest’attore sappia tener conto delle molte sfumature che i suoi personaggi godono da pellicola a pellicola. Tom Hardy in alcuni momenti ruba persino la scena ad ogni altra persona presente sullo schermo, il suo cacciatore è un uomo proveniente dal Texas, avido e egoista, che porta il volto sfigurato dopo uno scalpo riuscito solo a metà. L’accento e la trasformazione dovuta al trucco conferiscono all’attore inglese un’occasione perfetta per mettere in mostra, per l’ennesima volta, il grande talento di cui questi dispone. Hardy si cuce addosso un antagonista dilaniato nella sua crudeltà, tanto cinico quanto umano nel suo essere spietato, che si adagia perfettamente in un mondo lontano anni luce da quello che intendiamo noi adesso con il quale interagiamo, sebbene, di quei tempi, tavolta, anche il nostro ne conservi l’essenza in più di un’occasione. Jon Fitzgerald sarà il grande motore narrativo che porterà alla rinascita di Hugh Glass, alla sua odissea disperata e tormentata condizionata da un senso di vendetta costantemente controbilanciato da un tanfo di morte che aleggia attorno al protagonista, quasi sempre agonizzante per le ferite infertegli da un orso e dalle condizione atmosferiche.
Redivivo è un lavoro che riesce a toccare molti aspetti di una storia dal grande impatto visivo, seducente dietro ai suoi piccoli piani sequenza che in ogni secondo sembrano spiccare il volo esattamente come Birdman faceva grazie ad una regia continuamente spronata ad andare ben oltre l’inverosimile. Eppure, al di là dei molti voli pindarici, The Revenant rimane continuamente ben saldo a terra, esso, infatti, è un affresco che con grinta vuole parlare degli uomini, dei loro vizi, così come delle loro virtù, del senso di colpa, del dolore, dell’incidere del tempo sull’animo umano e di come l’uomo, a sua volta, condizioni quel che lo circonda, che si parli di natura o di suoi confratelli. Inarritu crea un palco dove il dramma personale entra in pieno contrasto con una società in cambiamento, ove gli indiani ed i pellerossa devono vedersela con i francesi, gli inglesi e coloro che saranno identificati un giorno come i “comuni americani”; quanto detto, poi, fa da collante ad un percorso umano che non guida il pubblico ad un pentimento, bensì ad una pace interiore che, in fin dei conti, si mostra come la scelta più logica da adottare nei confronti di una storia che, fa della violenza, dal retrogusto incredibilmente realistico, uno dei suoi punti di forza e di maggiore impatto pur non rivelandosi mai gratuita o scontata.
The Revenant - Redivivo è una storia appassionante, nella sua brutale bellezza, che stona continuamente con un cinema ormai indirizzato ad una narrazione enfatica e spettacolare, pur riprendendo molto di essa in alcuni frangenti senza mai andare oltre il buon gusto. Iñárritu gioca con l’occhio della telecamera esattamente come un bambino esperto pone per terra i giocattoli con cui, a breve, inizierà a giocare, già deciso a dar vita a tutta una serie di avventure che solo lui è consapevole di saper narrare. Per questo motivo, al di là del solito marchio di fabbrica, sotto il lato tecnico, di un regista ormai pienamente consacrato, The Revenant si mostra un film importante, un western toccante ed umano, che grazie all’ausilio delle immagini riesce a trasmettere quanto di bello oggi è possibile vedere su un grande schermo, perché la magia del cinema non la si fa con le parole o con altri strampalati codici di comunicazione, né la si deve cercare in una superficiale sensibilità, ma unicamente con quel che si decide di riprendere, ed a parlare, dall’inizio fino all’ultima emblematica scena, non sono i personaggi con i loro dialoghi, ma gli scorci e le sequenze, le inquadrature ed i silenzi che Iñárritu colleziona ed inserisce in uno dei più bei film degli ultimi anni.
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lunedì 4 gennaio 2016
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qualcosa non ha funzionato, capolavoro a metà.
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17 luglio 2015. Esce finalmente il trailer di "The Revenant". Notte fonda e io sono davanti al pc e guardo continuamente questo trailer che è un'opera d'arte e non vedo l'ora che arrivi gennaio perchè penso che con tutta probabilità assisterò ad un film perfetto.
2 gebbaio 2016. Esce in sala "The Revenant". A caldo, non so cosa pensare. Lo guardo di nuovo e capisco: qualcosa non ha funzionato e il nuovo film di Inarritu rimane un capolavoro a metà.
Evidentemente avevo aspettative troppo alte ma questo perchè le prime immagini diffuse lasciavano pensare a una pellicola completa in tutti i settori: la regia virtuosa di Inarritu, la fotografia con luce naturale di Lubezki, le prove attoriali di Di Caprio e Hardy.
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17 luglio 2015. Esce finalmente il trailer di "The Revenant". Notte fonda e io sono davanti al pc e guardo continuamente questo trailer che è un'opera d'arte e non vedo l'ora che arrivi gennaio perchè penso che con tutta probabilità assisterò ad un film perfetto.
2 gebbaio 2016. Esce in sala "The Revenant". A caldo, non so cosa pensare. Lo guardo di nuovo e capisco: qualcosa non ha funzionato e il nuovo film di Inarritu rimane un capolavoro a metà.
Evidentemente avevo aspettative troppo alte ma questo perchè le prime immagini diffuse lasciavano pensare a una pellicola completa in tutti i settori: la regia virtuosa di Inarritu, la fotografia con luce naturale di Lubezki, le prove attoriali di Di Caprio e Hardy... così è stato in effetti, e tutti e quattro meriterebbero un Oscar, è vero, ma il film diciamo che è diverso da come almeno io mi aspettavo, cioè un film cinefilo, virtuoso, poetico, ma anche e soprattutto di intrattenimento. Quando poi affronti queste due ore e mezza di pellicola ti rendi conto da subito, diciamo dai primi cinque minuti, che sarà molto più impegnativo di quanto pensavi/speravi.
Ecco le prime sequenze ad esempio, così come le scene molto oniriche in cui Di Caprio ricorda la moglie, mi hanno subito riportato a Terrence Malick e ai suoi "the new world" e "the tree of life". Sia chiaro non è una critica, ma un film d'intrattenimento non può certo permettersi dei rimandi a questo regista/filosofo.
Penso che la cosa di cui il film soffre di più sia di fatto il ritmo. Se l'anno prima il regista messicano ci aveva tenuti incollati allo schermo con "Birdman" e il suo lungo e finto piano sequenza, con la sua inesorabile batteria a fare da colonna sonora, con i suoi dialoghi veloci e frizzanti, quest'anno con "The Revenant", ci confeziona una pellicola lenta, con molti piani sequenza e lenti movimenti di macchina, con pochi, pochissimi dialoghi (penso sia il film dove Di Caprio recita meno battute),e con una colonna sonora poi, bellissima certo, ma inadeguata.
Se ci fossero stati più dialoghi e se nei momenti più importanti la colonna sonora, che ha un violino per protagonista, fosse stata più incisiva il film sarebbe lievitato ancora di più.
Ho letto poi che in principio il ruolo di Fitzgerald era stato pensato per Sean Penn. Serve aggiungere altro?
Niente da recriminare a Tom Hardy che ha fatto un lavoro eccellente, ma ci sono certi attori che il film te lo "mangiano". Ecco perchè in fondo Di Caprio si è rivelata la migliore delle scelte possibili. Qui è un gigante e con tutta probabilità (oscar o meno), la sua performance verrà ricordata come la migliore della sua carriera. Una nota di merito va all'inaspettato Domhnall Gleeson, che non mi è mai piaciuto e che qui mi ha fatto ricredere; vorrei citare alcune scene ma il film in Italia non è ancora uscito, così mi limito ad invitarvi a vederlo, al cinema sia chiaro, avvertendo tutti quelli che si approcciano alla visione di come il film sia impegnativo, esistenziale (come tutti quelli di Inarritu) e infine, bello.
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eugenio
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domenica 3 gennaio 2016
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di caprio nelle terre selvagge
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Che gioia per gli occhi l’ultimo film del premio Oscar Inarritù!
Revenant, Redivivo, tratto in parte dall’omonimo romanzo di Michael Punke con protagonisti Leonardo di Caprio e un duro Tom Hardy è consigliato a tutti gli escursionisti e appassionati di natura, neve e montagne.
E’ un film che fa soffire l'ansia dei suoi tempi in cui la ricerca del profitto, il ritmo della vita sociale, la civilizzazione stessa sembrano opprimere la naturale vita interiore dell'uomo, e interrompere il flusso vitale fra la sua anima e quella del cosmo come appare nella pellicola.
Revenant è lo spaccato di una spedizione americana dei primi anni dell’ottocento in territori selvaggi e pieni di fascino quali quelli del Nord Dakota.
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Che gioia per gli occhi l’ultimo film del premio Oscar Inarritù!
Revenant, Redivivo, tratto in parte dall’omonimo romanzo di Michael Punke con protagonisti Leonardo di Caprio e un duro Tom Hardy è consigliato a tutti gli escursionisti e appassionati di natura, neve e montagne.
E’ un film che fa soffire l'ansia dei suoi tempi in cui la ricerca del profitto, il ritmo della vita sociale, la civilizzazione stessa sembrano opprimere la naturale vita interiore dell'uomo, e interrompere il flusso vitale fra la sua anima e quella del cosmo come appare nella pellicola.
Revenant è lo spaccato di una spedizione americana dei primi anni dell’ottocento in territori selvaggi e pieni di fascino quali quelli del Nord Dakota. La caccia alle pelli di un gruppo di uomini, lo scontro con gli indiani Ree, hanno qui il volto dell'esploratore Hugh Glass (Leonardo Di Caprio) che durante una battuta di caccia è brutalmente attaccato da un orso e dato per morto dai membri del suo stesso gruppo.
Tradito dai suoi compagni, uno in particolare Fitzgerald (interpretato da un convincente Tom Hardy) che lo abbandona uccidendo anche il “figlioccio” indiano Hawk e mentendo conseguentemente al forte al suo “capitano” che dà per scontata la fine del valente compagno, Glass va incontro a indicibili sofferenze spesso dettate dalla bieca natura umana pronta a togliere di mezzo con facilità fardelli che possano ostacolare i loro piani con tanta pace del rimorso (come apprenderà il compagno di Fitzgerald, giovane non ancora abbrutito ai tradimenti della vita adulta) e del facile sentimentalismo.
Non c’e’ differenza tra indiani e bianchi ci suggerisce Inarritu: il medesimo comportamento figlio del cinismo, dell’opportunismo e della ricchezza coinvolge tutti e tutto in una spirale di odio senza fine. La lotta per la sopravvivenza, quasi hobbesiana di una natura matrigna portatrice di paesaggi di rara bellezza, come le tempeste di neve, le fitte abetaie o l’impetuoso scorrere delle acque, ha in Reventant il senso di un’espiazione implacabile lungo un cammino di redenzione che intraprenderà faticosamente Glass nell’affannosa ricerca di una vendetta sopita a lunga.
La durezza dei gelidi ambienti del Nord Dakota plasma profondamente l'animo del protagonista nel tentativo di una purificazione. La neve pare quasi permeare le oltre due ore e mezza di spettacolo affinando lo spirito di Glass, in italiano vetro appunto, nome omen appunto non casuale, e il suo dolore di abbandono in terra straniera dopo essere scampato alla morte e al tradimento.
Subisce tutto Glass come un moderno Giobbe: privazione, mancanza di contatto umano, paura, freddo, gelo senza mai rivolgersi a un Dio muto, ma con con lo sguardo dagli occhi gelidi, vitrei nel segno di un’accorata rinascita.
C'è qualcosa di primordiale in Revenant, che ghermisce l’animo dello spettatore, sbattendolo qua e là, come le fauci dell’orso iniziale. Lo sollevano le immagini perfette di una natura talmente splendida da farlo pensare alla Creazione. Lo schiacciano le miserie umane, la violenza, l'asprezza del territorio, la lotta estenuante per la sopravvivenza, lo sguardo da lupo di Tom Hardy.
E’ un film epico con l'ottima fotografia che scalda gli occhi, in cui non è raro salvarsi dal gelo scuoiando in diretta un cavallo ma che purtroppo non sempre serba il medesimo calore per il cuore, mantenendosi su un livello grafico eccellente ma su una vicenda decisamente drammatica e violenta troppo vincolata a schemi rigidi narrativa.
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sabato 2 gennaio 2016
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iñàrritu tra blockbuster e malick
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Circa un anno fa, ad ogni premio vinto da Birdman, ci toccava sentire la predica di Iñàrritu sull'ego e su quanto quest'ultimo fosse uno dei nostri più grandi nemici. Sembra, però, che il regista messicano non abbia ascoltato i suoi stessi consigli e l'ambizione di fare un capolavoro, quasi il film definitivo, lo hanno portato a fare un film poco più che discreto, di certo inferiore al precedente Birdman. Se ci sono molti aspetti lodevoli (la fotografia da applausi di Emmanuel Lubezki e le grandissime interpretazioni di Hardy e DiCaprio) ce ne sono altrettanti negativi, a partire dalla sceneggiatura. Quest'ultima, infatti, scritta dal regista con Mark L. Smith, non è particolarmente efficace nè nelle parti dei combattimenti in stile Blockbuster, nè nei momenti più lirici e filosofeggianti alla Malick.
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Circa un anno fa, ad ogni premio vinto da Birdman, ci toccava sentire la predica di Iñàrritu sull'ego e su quanto quest'ultimo fosse uno dei nostri più grandi nemici. Sembra, però, che il regista messicano non abbia ascoltato i suoi stessi consigli e l'ambizione di fare un capolavoro, quasi il film definitivo, lo hanno portato a fare un film poco più che discreto, di certo inferiore al precedente Birdman. Se ci sono molti aspetti lodevoli (la fotografia da applausi di Emmanuel Lubezki e le grandissime interpretazioni di Hardy e DiCaprio) ce ne sono altrettanti negativi, a partire dalla sceneggiatura. Quest'ultima, infatti, scritta dal regista con Mark L. Smith, non è particolarmente efficace nè nelle parti dei combattimenti in stile Blockbuster, nè nei momenti più lirici e filosofeggianti alla Malick. La storia (vera ma talmente romanzata che non si sia più cosa sia vero e cosa no) richiama molti film di avventura ad alto budget con effetti speciali strepitosi (spettacolare la scena dell'orso fotografata da Lubezki in un solo piano sequenza) tipici di Hollywood. Tuttavia Iñàrritu non ha in mente un semplice Blockbuster americano e perciò alterna dei momenti di azione pura ad alcuni più riflessivi ed aulici. Fa del protagonista il tipico eroe americano (deve badare al figlio amato dopo la morte della moglie) ed inserisce massime da biscotti della fortuna: "se c'è vento e vedi i rami di un albero pensi che cadrà, ma se vedi il tronco vedi la solidità".
Revenant è, quindi, un film tenuto in piedi da una fotografia eccezionale che conferma il genio di Lubezki, e da due interpretazioni magistrali, ma che fallisce nel creare un Blockbuster filosofico. Iñàrritu non è né George Miller né Malick e dovrebbe tornare ad essere se stesso e a fare film come Birdman o Amores Perros.
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[+] recensione ineccepibile.
(di arverso)
[ - ] recensione ineccepibile.
[+] come darti torto?!
(di _joe_)
[ - ] come darti torto?!
[+] jeremiah johnson
(di doc malapaqt)
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[+] nella voglia di vendetta la forza di riscattarsi
(di antonio montefalcone)
[ - ] nella voglia di vendetta la forza di riscattarsi
[+] concordo
(di pcologo)
[ - ] concordo
[+] di caprio senza speranza..
(di redrose)
[ - ] di caprio senza speranza..
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pbellofi
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sabato 2 gennaio 2016
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remake, ma originale
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Davvvero un bel film in tutti i sensi: interpretazione ( non il solo Di Caprio), fotografia, sceneggiatura, trama e significato morale.
La trama di fondo è in gran parte sovrapponibile a quella di " Man in the Wilderness" del 1971 ( Titolo italiano "Uomo bianco vai col tuo dio", interpreti principali Richard Harris e John Huston ), pur con alcune variazioni.
All'epoca predominava il tema del " buon selvaggio" , ovvero gli indiani , superiori alla civiltà bianca come valori morali di fondo.
Nel film attuale tutti sono sullo stesso piano, uomini e animali, allo stesso tempo vittime e carnefici.
La natura assiste fredda ( quanto!!) e imperturbabile alle agitazioni umane, dettate dalla necessità pura e cruda dell'esistenza quelle degli indiani e dalla necessità del profitto( per esistere ancora meglio) quelle dei bianchi.
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Davvvero un bel film in tutti i sensi: interpretazione ( non il solo Di Caprio), fotografia, sceneggiatura, trama e significato morale.
La trama di fondo è in gran parte sovrapponibile a quella di " Man in the Wilderness" del 1971 ( Titolo italiano "Uomo bianco vai col tuo dio", interpreti principali Richard Harris e John Huston ), pur con alcune variazioni.
All'epoca predominava il tema del " buon selvaggio" , ovvero gli indiani , superiori alla civiltà bianca come valori morali di fondo.
Nel film attuale tutti sono sullo stesso piano, uomini e animali, allo stesso tempo vittime e carnefici.
La natura assiste fredda ( quanto!!) e imperturbabile alle agitazioni umane, dettate dalla necessità pura e cruda dell'esistenza quelle degli indiani e dalla necessità del profitto( per esistere ancora meglio) quelle dei bianchi.
La frase memorabile è : " Il mio cuore sanguina ( ma) la vendetta è nelle mani del Creatore", pronunciata dall'indiano che salva per due volte la vita a Glass. Questi capisce alla fine che l'aver ucciso il traditore non gli restituirà il figlio e quindi la pace, come gli viene fatto notare dall'antagonista.
A ben vedere comunque anche le ragioni di Tom Hardy (John Fitzgerald) , in merito al suo comportamento dettato dalla necessità di sopravvivere in una situazione davvero critica ed estrema , sono tutto sommato condivisibili.
Non lo considero una novità assoluta: i ritmi e i tempi del film, l'introspezione illustrata con i sogni, i ricordi e gli incubi del protagonista, oltre che la sostanziale lentezza della trama, riecheggiano un po' " La sottile linea rossa". E' un ottimo film, da vedere e gustare al cinema. A questo punto dovrebbero dare un Oscar " complessivo" , e non solo per questo film,
a di Caprio , attore davvero in evoluzione progressiva.
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pbellofi
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venerdì 1 gennaio 2016
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la vendetta è nelle mani del creatore
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"Il mio cuore sanguina.... la vendetta è nelle mani del Creatore...".dice il pawnee che salva la vita due volte a Glass, prima sfamandolo e poi costruendogli un riparo dalla tormenta. Questa mi sembra una frase memorabile. Lo stesso John Fitzgerald, ormai spacciato, dice a Glass che la vendetta non gli restituirà il figlio morto. Tuttavia chiunque , nei panni del protagonista ,si sarebbe comportato nello stesso modo e non avrebbe certo perdonato . Conclusioni da trarre da parte di ciascuno nel proprio cuore. Film iperrealistico . Nè buoni ,nè cattivi dato che ognuno ha le sue buone ragioni. Interpreti tutti eccezionali. Unico il regista:scenografia naturale con luce ambientale. Gli effetti speciali informatici non si distinguono- Nella vicenda ci rimettono soprattutto i figli : gli orsetti con mamma orsa morta e il figlio di Glass.
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"Il mio cuore sanguina.... la vendetta è nelle mani del Creatore...".dice il pawnee che salva la vita due volte a Glass, prima sfamandolo e poi costruendogli un riparo dalla tormenta. Questa mi sembra una frase memorabile. Lo stesso John Fitzgerald, ormai spacciato, dice a Glass che la vendetta non gli restituirà il figlio morto. Tuttavia chiunque , nei panni del protagonista ,si sarebbe comportato nello stesso modo e non avrebbe certo perdonato . Conclusioni da trarre da parte di ciascuno nel proprio cuore. Film iperrealistico . Nè buoni ,nè cattivi dato che ognuno ha le sue buone ragioni. Interpreti tutti eccezionali. Unico il regista:scenografia naturale con luce ambientale. Gli effetti speciali informatici non si distinguono- Nella vicenda ci rimettono soprattutto i figli : gli orsetti con mamma orsa morta e il figlio di Glass. In molti punti il film si sovrappone a " Man in the Wilderness" del 1971. La vicenda è articolata tuttavia in maniera diversa. Da vedere al cinema.
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alex62
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giovedì 31 dicembre 2015
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in fondo un uomo è come un bicchiere di vetro
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Leonardo Di Caprio, in stato di grazia, che sta avanzando, imperterrito, sempre più nel percorso, doloroso ma “estetico”, di negazione della propria bellezza, in questo film, man mano che la sua carne viene martoriata dagli elementi, paradossalmente diventa sempre più bello, fino al nodo drammatico finale. In fondo la tempra di un uomo si può misurare solo in punto di morte o forse...quando la morte sta per darla a qualcun'altro!
Che si può aggiungere alla ormai lunga galleria di straordinarie performance di Tom Hardy?! Un talento immenso in un piccolo uomo tutto muscoli e arte...ma vi siete dimenticati lo stupore suscitato in “Warrior” (2011)? Come ha saputo declinare e in tutte le sfumature possibili, il destino del fratello minore.
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Leonardo Di Caprio, in stato di grazia, che sta avanzando, imperterrito, sempre più nel percorso, doloroso ma “estetico”, di negazione della propria bellezza, in questo film, man mano che la sua carne viene martoriata dagli elementi, paradossalmente diventa sempre più bello, fino al nodo drammatico finale. In fondo la tempra di un uomo si può misurare solo in punto di morte o forse...quando la morte sta per darla a qualcun'altro!
Che si può aggiungere alla ormai lunga galleria di straordinarie performance di Tom Hardy?! Un talento immenso in un piccolo uomo tutto muscoli e arte...ma vi siete dimenticati lo stupore suscitato in “Warrior” (2011)? Come ha saputo declinare e in tutte le sfumature possibili, il destino del fratello minore...ma più forte, destinato a soccombere a un padre malnato, ma infine ritrovato.
Cosa si può dire di questo film, piccolo ma affilato come un coltello da “scout”: questo si è ridotto a fare Di Caprio-Glass, dopo che l'esercito dei suoi connazionali gli aveva strappato la stupenda e dolce squaw nativa: lì, in quel momento, per salvare il figlio mezzosangue, aveva gustato il sapore velenoso della vendetta, ma nulla era cambiato in lui, tranne il suo cuore che si era ormai frantumato irrimediabilmente. La sua vita era appesa al filo che lo legava al figlio adolescente, acnora troppo tenero per opporsi alla barbarie dei bianchi. Ormai Hugh Glass era divenuto un bicchiere di vetro, in mezzo a rocce e artigli di Grizzly e piombo e fuoco. Come avrebbe potuto resistere un misero pezzo di vetro fra quegli eventi tumultuosi e violenti?!
Eppure ci sono uomini ancora più feroci e indomabili degli elementi: più violenti e inarrestabili, più di una madre Grizzly che difende i suoi cuccioli. Ci sono uomini spietati che giungono a seppellire vivi i compagni feriti (che gli sono stati affidati) e ci sono ragazzi attoniti di fronte a tanto furore, che non hanno armi per opporsi...
Una natura meravigliosa, immensa e generosa, traboccante aiuto e misericordia, come i suoi figli, i pellerossa che condividono con essa i medesimi doni e la sua intima sapienza. Ogni volta che Glass giunge in fin di vita, il caso gli offre una preda per sfamarsi e riprendere le forze. Dai nativi egli ha appreso tutti i sentieri che provengono da Madre Natura, ne conosce intimamente la magia. Tra sogni, visioni, incubi e veglie dolorose si trascina Glass verso il suo destino...
Infine c'è sempre salvezza: è sufficiente un gesto inaspettato, come salvare un'altra squaw (ma della stessa tribù di sua moglie) che sta per essere violentata e uccisa...è sufficiente fermare la mano pronta a cogliere, finalmente, la vendetta finale che tanto agognava, come unica ragione di un'aspra e innaturale sopravvivenza.
È sufficiente forse, per una volta, non agire violenza.
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pbellofi
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martedì 29 dicembre 2015
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remake
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Mi sembra il remake del film " Uomo bianco va col tuo Dio" con Richard Harris , degli anni 70. Ovviamente
va visto e giudicato.
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(di bizantino73)
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