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gianleo67
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martedì 19 gennaio 2016
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leo in the wilderness
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Abbandonato dalla spedizione del Capitano Henry dopo l'attacco di un Grizzly e lasciato alle cure di suoi due compagni di viaggio e del suo giovane figlio meticcio, il cacciatore di pellicce Hugh Glass riesce a sopravvivere alle terribili ferite riportate ed all'uccisione del figlio da parte di uno degli altri due, percorrendo le molte miglia che lo separano dal forte in cui si è rifugiato il gruppo in cerca della sua personale e spietata vendetta.
Tratto dall'adattamento del romanzo Revenant di Michael Punke e basato sulla storia vera del famoso cacciatore di pelli Hugh Glass, il film di Inarritu è una storia classica di tradimento e di vendetta che attinge alle sanguinarie radici della nazione americana e della sua epica di conquista e sacrificio che nulla sembra aggiungere alla lunga tradizione del revisionismo storico degli anni '70 e '80 (da Man in the Wilderness di Richard C.
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Abbandonato dalla spedizione del Capitano Henry dopo l'attacco di un Grizzly e lasciato alle cure di suoi due compagni di viaggio e del suo giovane figlio meticcio, il cacciatore di pellicce Hugh Glass riesce a sopravvivere alle terribili ferite riportate ed all'uccisione del figlio da parte di uno degli altri due, percorrendo le molte miglia che lo separano dal forte in cui si è rifugiato il gruppo in cerca della sua personale e spietata vendetta.
Tratto dall'adattamento del romanzo Revenant di Michael Punke e basato sulla storia vera del famoso cacciatore di pelli Hugh Glass, il film di Inarritu è una storia classica di tradimento e di vendetta che attinge alle sanguinarie radici della nazione americana e della sua epica di conquista e sacrificio che nulla sembra aggiungere alla lunga tradizione del revisionismo storico degli anni '70 e '80 (da Man in the Wilderness di Richard C. Sarafian che narra la stessa vicenda a Jeremiah Johnson di Sydney Pollack che ne narra una affatto simile), puntando piuttosto a filtrare queste istanze sul terreno (di caccia) di quello spiritualismo sociale che da sempre caratterizza il cinema del regista messicano. Giocato su di una estetica degli spazi aperti che si muove ondivaga e barcollante tra la soggettiva ed il piano sequenza e contando sulla suggestione di scenari incontaminati (Columbia Britannica e Terra del Fuoco) splendidamente fotografati da Emmanuel Lubezki, Inarritu snoda la sua storia dal punto di vista del suo protagonista principale (un imbarbarito e martoriato Leo Di Caprio) quale fulcro di una vicenda dove i valori di rispetto e convivenza di civiltà in conflitto vengono esaltati dall'integrazione di un uomo bianco nei rituali sociali delle popolazioni indigene e dal legame di sangue che lo unisce alla moglie Squaw ed al figlio mezzosangue: la prima uccisa da un attacco dell'esercito americano e l'altro da un compagno di caccia della spedizione da lui guidata. Se il confine etico tra le opposte fazioni sembra annullarsi nelle reciproche ragioni e strategie di sopravvivenza (dalla difesa del territorio al compromesso commerciale con l'uomo bianco), questo sembra piuttosto fare da sfondo ad un regolamento di conti che trova le sue motivazioni nella trasgressione alle regole non scritte del rispetto umano e della lealtà individuale quale presupposto irrinunciabile di una civiltà costretta a confrontarsi con le spietate leggi della wilderness e rappresentando il vero motore drammatico di un film in cui l'uomo possa dirsi veramente uguale a se stesso e non abbrutito nelle sue cieche mire di conquista e cupidigia. Blandire il pubblico con un simile messaggio sembra essere il facile gioco di una regia che tira le fila di una epica individualista che sembra avere tutte le ragioni dalla sua parte (la vendetta per il figlio ucciso, la liberazione della sqaw violentata, la lealtà alla fazione chiamata a difendere: dalla guida di cacciatori bianchi alla difesa di una tribù di rossi) e nessun torto e condendolo con il richiamo all'ambivalenza di una natura ora matrigna ora dispensatrice di cure e di conforto come nella tradizione animista delle popolazioni autoctone. Quello che resta è quindi un film che si trascina ferito ma non domo come il suo coriaceo protagonista, attraverso una sequenza spettacolare quanto risaputa da perfetto manuale della sopravvivenza a 30 sotto zero con tutti gli usi più ingegnosi delle risorse a disposizione (persino un cavallo morto da poco usato come coperta termica, sic!) e dove gli intermezzi onirico-simbolici sono solo il contrappunto di un marchio di fabbrica che non sa incidere più di tanto nella complessiva economia di un racconto che sappiamo benissimo dove vuole andare a parare. Restano le indubbie qualità tecniche di un film che, non ostante la spopositata misura del metraggio, riesce ad avvincere con la sua full immersion audio-visiva in un paesaggio mozzafiato che nemmeno l'antropizzazione e le compagnie petrolifere americane sono riuscita a distruggere definitivamente e che rappresenta il vero protagonista silenzioso ed imperturbabile in grado di tener desta l'attenzione dello spettatore fino alla fine. Accoppiata di primedonne delle migliori occasioni per cui, tra un DiCaprio impellicciato ed un Tom Hardy spelacchiato, è davvero difficile pronisticare chi riuscirà a salvare lo scalpo. Valanga di nomination (tecniche e artistiche) agli Oscar e tre Golden Globe 2016.
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andrea giostra
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martedì 19 gennaio 2016
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finché hai un filo di respiro, combatti!
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Revenant - Redivivo (2015) - recensione di Andrea Giostra
“Finché hai un filo di respiro, combatti”: potrebbe benissimo essere questo l’incipit del bellissimo Film diAlejandro González Iñárritu, co-sceneggiatore insieme a Mark L.
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Revenant - Redivivo (2015) - recensione di Andrea Giostra
“Finché hai un filo di respiro, combatti”: potrebbe benissimo essere questo l’incipit del bellissimo Film diAlejandro González Iñárritu, co-sceneggiatore insieme a Mark L. Smith, della bellissima narrazione, la cui sceneggiatura non originale è tratta dal Best-Seller di Michael Punke, pubblicato negli USA nel 2002 col titolo“The Revenant: A Novel of Revenge”. Il Film narra una storia realmente accaduta nella fredda e gelida terra del nord America di fine ottocento, dove i cacciatori di pelli si avventuravano per cercare fortuna, ma spesso anche per sfidare la morte. E’ la terra degli Indiani del nord-America, derubati dei loro preziosi beni naturali, la terra, la selvaggina, le loro donne, dagli occidentali inglesi, francesi e americani, con la forza delle armi e col cinismo di un’anima assetata di ricchezze e potere.
E’ una storia vera di lotta per la sopravvivenza e di vendetta; ma anche una storia di amore per la vita, per la propria donna, di attaccamento viscerale ai propri figli e ai propri padri, che generano una forza sovrumana da far superare ostacoli impossibili a qualsiasi uomo.
Leonardo Di Caprio (l’esploratore-cacciatore Hugh Glass), al suo unico figlio meticcio, avuto da una bellissima donna indiana, che piccolo e malato sta lottando contro la morte, sussurra ripetutamente alle orecchie una frase che gli dà forza e speranza, e lo salverà da morte certa. Quella frase rimarrà impressa al figlio Hawk (il bravissimo Forrest Goodluck) per tutta la vita. Molti anni dopo Hawk, quando il padre verrà gravemente ferito da un grizzly durante una battuta di caccia e sta lottando disperatamente e con tutte le sue forze contro la morte, sussurrerà ai suoi orecchi le stesse identiche parole: “Papà, finché hai un filo di respiro, combatti!”.
Ma la Storia è anche una storia di vigliaccheria e di tradimenti imperdonabili che richiedono a gran voce vendetta. E’ l’amore per il figlio, l’amore per la vita, la forza che solo una vendetta spietata può trasmettere per “riparare” ad un atto imperdonabile, a trasformare Hugh Glass in un epico e spietato vendicatore. Ma Glass sa bene che i suoi sforzi sarebbero vani se non ci fosse una forza più grande di lui che lo guida verso il suo gesto che sarà di estrema e vana catarsi liberatoria. Catturato il traditore, uno splendito ed insuperabile cattivo Tom Hardy (John Fitzgerald nel Film), che proverà con tutta la sua vigliaccheria a dissuadere Glass dicendogli a gran voce che la vendetta non gli ridarà mai quello che ha perduto, Glass non potrà che replicargli: “La vendetta e nelle mani di Dio, non nelle mie”.
Il Film è bellissimo e molto “forte” per le scene e per la storia narrata. Le dodici candidature agli Oscar hollywoodiani sono tutte meritate, e su questo non si può aggiungere altro.
Leonardo Di Caprio è un artista fuoriclasse, non è solo un attore straordinario. E’ come Maradona nel gioco del Calcio. E come Maradona, che quando giocava in Europa, non poteva vincere il Pallone d’Oro perché extra-comunitario, anche Leonardo Di Caprio, malgrado le sei nomination già ricevute agli Oscar nel passato – non si capisce bene perché – ancora oggi non abbia vinto l’Oscar come miglior attore protagonista!
Questa volta la Giuria dell’Academy Awards di Hollywood non potrà fare a meno di premiarlo, per un semplice motivo: nessuno uomo al mondo, tranne Leonardo Di Caprio, avrebbe mai potuto recitare impeccabilmente e straordinariamente Hugh Glass in Revenant del geniale Alejandro González Iñárritu.
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carlosantoni
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lunedì 18 gennaio 2016
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il cuore batte nei grandi spazi gelati
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Credo che questo poderoso, grandioso e quanto mai spettacolare film di Iñárritu debba più di qualcosa a Malik, alla sua filosofia esistenziale: anche in quest’opera densa e non facile del regista messicano le vicende umane, le “storie”, sono così compenetrate dalla natura e dalle sue leggi, da risultare difficile distinguere queste da quelle. La lunghissima sequenza di avventure e disavventure si svolge quasi interamente avvolta nel freddo implacabile dell’inverno in Nord Dakota, i colori dominanti sono il bianco della neve e l grigio del cielo torvo, o quello blu adamantino delle notti stellate, e il verde spento di foreste di conifere dai tronchi altissimi, spesso velati da brume. La fotografia è semplicemente spettacolare ed è certamente un punto di forza di quest’opera.
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Credo che questo poderoso, grandioso e quanto mai spettacolare film di Iñárritu debba più di qualcosa a Malik, alla sua filosofia esistenziale: anche in quest’opera densa e non facile del regista messicano le vicende umane, le “storie”, sono così compenetrate dalla natura e dalle sue leggi, da risultare difficile distinguere queste da quelle. La lunghissima sequenza di avventure e disavventure si svolge quasi interamente avvolta nel freddo implacabile dell’inverno in Nord Dakota, i colori dominanti sono il bianco della neve e l grigio del cielo torvo, o quello blu adamantino delle notti stellate, e il verde spento di foreste di conifere dai tronchi altissimi, spesso velati da brume. La fotografia è semplicemente spettacolare ed è certamente un punto di forza di quest’opera. La vicenda del protagonista, continuamente a contatto con acque gelide, ghiacci, tormente di neve, vede il confronto-scontro tra tribù di nativi (spesso in guerra tra loro) coloni francesi che mercanteggiano e coloni anglosassoni (e irlandesi) che cacciano animali da pelliccia. Non dico niente della storia, mi soffermo su alcuni aspetti che però la informano. Il primo riguarda il senso di dignità e rispetto (e la totale mancanza di rispetto) tra popoli diversi: inutile dire che da questo confronto i nativi ci escono benissimo, gli “sporchi yankees” assai meno, a volte malissimo. Il secondo riguarda il sentimento morale, che lì si confonde con quello religioso: ma non discende dalla religiosità tanto bigotta quanto solo formale delle varie sette evangeliste impiantate nelle colonie americane, quanto dalla religiosità “panteistica” delle tribù dei nativi. E qui il raccordo con Malik è evidente, così come lo sono molte, moltissime scene che riprendono immagini delle foreste in verticale, la mdp puntata allo zenit, proprio come ne “La sottile linea rossa” o “L’albero della vita”. Un’ultima osservazione: dire che in questa interpretazione Leonardo Di Caprio supera se stesso è perfino troppo poco, io ancora mi sto chiedendo coma abbia potuto girare tutte quelle scene, una più impegnativa dell’altra.
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lunedì 18 gennaio 2016
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una ragione per sopravvivere ad ogni costo
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Sostiene Iñárritu che il percorso interiore di un individuo gli interessa di più di ogni realismo. E non è la prima volta che il regista ricostruisce un percorso interiore doloroso, che comincia con una disperazione, qualcosa che avverti come un’ingiustizia radicale, che diventa un’ossessione divorante fino a portarti in una dimensione altra, dove puoi l’impossibile, e diventi tutt’uno con il tuo obiettivo: pareggiare i conti, rivendicare la giustizia che ti è stata negata. Era già in ‘Birdman’, assume una dimensione titanica in questo ‘The Revenant’. La vicenda è ispirata a una storia vera, quella dell’esploratore e cacciatore di pelli Hugh Glass che, nel 1823, durante una spedizione commerciale nell’alta valle del Missouri, fu abbandonato morente per l’aggressione di un’orsa da due compagni lasciati a custodirlo e riuscì incredibilmente a sopravvivere, a percorrere quasi 400 km, a raggiungere il luogo dove pensava di trovare chi lo aveva abbandonato.
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Sostiene Iñárritu che il percorso interiore di un individuo gli interessa di più di ogni realismo. E non è la prima volta che il regista ricostruisce un percorso interiore doloroso, che comincia con una disperazione, qualcosa che avverti come un’ingiustizia radicale, che diventa un’ossessione divorante fino a portarti in una dimensione altra, dove puoi l’impossibile, e diventi tutt’uno con il tuo obiettivo: pareggiare i conti, rivendicare la giustizia che ti è stata negata. Era già in ‘Birdman’, assume una dimensione titanica in questo ‘The Revenant’. La vicenda è ispirata a una storia vera, quella dell’esploratore e cacciatore di pelli Hugh Glass che, nel 1823, durante una spedizione commerciale nell’alta valle del Missouri, fu abbandonato morente per l’aggressione di un’orsa da due compagni lasciati a custodirlo e riuscì incredibilmente a sopravvivere, a percorrere quasi 400 km, a raggiungere il luogo dove pensava di trovare chi lo aveva abbandonato. Frustrato più volte nel suo tentativo di vendicarsi, accettò alla fine un’ingente risarcimento in denaro. La fiction esaspera il dramma in questa storia straordinaria, romanzata da M. Punke nel 2002: si immagina che Glass abbia avuto, da una moglie indiana amata e perduta, un figlio che lo segue nelle sue peregrinazioni. Quando è abbandonato moribondo in mezzo al nulla, gli uccidono anche il figlio, che ha tentato di fermare i fuggitivi. Colpito a morte due volte, nel corpo e negli affetti, il personaggio impegna se stesso in una lotta sovrumana, al di là di ogni realismo o verosimiglianza, per sopravvivere alle ferite, alla fame e a mille insidie e tornare alla base, e così vendicare se stesso ma soprattutto il figlio perduto. Ce la farà. E quando chi l’ha tradito sarà morto, la visione della moglie serena finalmente scioglierà l’enorme fardello, il nodo di tensione violenta che l’ha tenuto in piedi; tutto è finito, e sulla sua faccia spossata leggeremo che vita o morte a quel punto sono del tutto indifferenti. Il teatro forniva lo scenario – reale e metaforico - al dramma di Birdman; lo squallore grigio e minaccioso, alla Eisenstein, di un desolato paesaggio invernale riporta alle radici dell’esistenza e assolutizza l’odissea del Revenant. Liberatosi dal simbolismo insistito e teatrale di Birdman, Iñárritu disegna un mondo gelido e feroce, in cui alla violenza inconsapevole della natura si aggiunge quella consapevole degli uomini, appena rischiarata qua e là da barlumi di umanità. Non c’è fine alla guerra di tutti contro tutti, americani e francesi, soldati e civili, indiani di diverse tribù, sotto un cielo indifferente che appare lontanissimo tra le cime degli alberi, irraggiungibile. Di fronte a questo c’è – rappresentato da un grande Di Caprio - il titanismo di chi ha una forte sostanza umana e non si arrende finché ha un attimo di respiro, per vivere, se ha ragioni per vivere, per rivendicare la giustizia, l’umanità e l’amore violati anche quando non ha più ragioni per vivere. E’ questo – non tanto la vendetta in sé - che dà un senso all’impresa sovrumana di Glass e alle più sfumate ma non meno importanti storie parallele dei pochissimi che lo aiutano. Non è un caso che alla fine il protagonista, dopo aver sopraffatto l’avversario, deleghi la vendetta a un’altra mano, dopo aver superato l’impensabile proprio per arrivare a quel momento. Film da vedere, anche se la violenza delle immagini è quasi intollerabile e se una maggiore brevità avrebbe giovato.
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compos sui
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lunedì 18 gennaio 2016
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la vendetta è nelle mani di dio
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Revenant è l'urlo disperato, il grido soffocato dell'estremo realismo carnale di Iñárritu. Carnalità anche, che nell'immedesimazione catartica del protagonista, eleva l'esperienza fisica e spirituale del dolore a dramma esistenziale in cui, e cito: “Siamo tutti selvaggi”. Il compiuto quadro iperrealista sul tema della vendetta agente nel contesto del rapporto padre-figlio diventa così spunto autoriale che riveste, nell'economia generale dell'opera, un singolo aspetto connotativo di un discorso ben più ampio: il Male degli uomini. L'irreparabile caducità dell'essere umano che nella visione dell'autore produce gemiti di tradimento, di sotterfugio, d'ingiuria, di meschinità, di omicidio, è destinata a prevalere su ogni altro aspetto della vita.
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Revenant è l'urlo disperato, il grido soffocato dell'estremo realismo carnale di Iñárritu. Carnalità anche, che nell'immedesimazione catartica del protagonista, eleva l'esperienza fisica e spirituale del dolore a dramma esistenziale in cui, e cito: “Siamo tutti selvaggi”. Il compiuto quadro iperrealista sul tema della vendetta agente nel contesto del rapporto padre-figlio diventa così spunto autoriale che riveste, nell'economia generale dell'opera, un singolo aspetto connotativo di un discorso ben più ampio: il Male degli uomini. L'irreparabile caducità dell'essere umano che nella visione dell'autore produce gemiti di tradimento, di sotterfugio, d'ingiuria, di meschinità, di omicidio, è destinata a prevalere su ogni altro aspetto della vita. La vita è sofferenza, solo una filosofia individualista può riparare in parte a questo spregio che la natura ci ha fatto. E' in questo ruolo, che vediamo Tom Hardy interpretare il perfetto cattivo machiavellico, che più di ogni altro sa come districarsi tra i mali della vita. Sarà l'inaspettato compagno di viaggio che Hugh incontrerà a instillare in questo pessimismo cosmico un faro di speranza per l'umanità, e nello stesso protagonista, un'opportunità di redenzione, pronunciando il motto risolutore dell'impasse esistenziale: << La vendetta è nelle mani di Dio >>. Sarà con tali parole che l'odissea di Di Caprio giunge al termine, al suo unico termine possibile per una visione totalizzante della vita che non sia solo paura e morte. E' in questo frangente, che con sapiente coscienza, Iñárritu rompe la quarta parete facendo fissare in camera lo sguardo perso e ormai realizzato di Hugh. Hugh sta guardando verso lo spettatore, non lui ma dentro di lui. La vera natura di sé passa attraverso il compimento delle proprie azioni in situazioni estreme, è questo che l'Ulisse iñárritiano si sta chiedendo: cosa avreste fatto al mio posto, chi siete?
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ettavi
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lunedì 18 gennaio 2016
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mah !
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... E se non fosse De Caprio... E se non fosse Innaritù?? Film va visto , ma considerarlo come un capolavoro è eccessivo .
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mediatouro
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lunedì 18 gennaio 2016
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revenant è una bomba.
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Revenant è una bomba.
Oggi essere originali è difficile, quasi impossibile nel cinema. Ogni storia è già vista e rivista.
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Revenant è una bomba.
Oggi essere originali è difficile, quasi impossibile nel cinema. Ogni storia è già vista e rivista.
Allora la soluzione, per gente cazzuta come Inarritu, sta nella forma. Sta nel mescolare immagini e suoni nel modo più intenso e coinvolgente possibile.
Sia chiaro, una certa predisposizione ci vuole. Fin da subito ti viene messo in chiaro che la violenza, più o meno celata, pervade tutto il film.
Una sanguinosa storia di vendetta, che più classica non si può, con il Buono pieno di valori, che tradito nel corpo e nell'onore, dà la caccia al Cattivo per eccellenza, quello stronzo bastardo e vigliacco (così tutti speriamo che venga preso).
Le luci sono incredibili, i paesaggi indescrivibili, le scene di combattimento iper-realistiche (non ci sono arti marziali, non ci sono mosse spettacolari, solo pura violenza), Di Caprio parla praticamente con gli occhi e Tom Hardy incarna alla perfezione l'infame più infame che c'è.
E poi c'è la Natura, quella vera, crudele, imparziale (tranne col protagonista), che assorbe ogni respiro, ogni schizzo di sangue, ogni passo e ogni pugno. Il valore aggiunto di due ore e mezzo di film.
Una semplice storia di vendetta. Ma come ho detto, a volte la bellezza della messa in scena batte l'originalità della storia. E in questa storia, ogni singolo fotogramma parla da sé. Spettacolare.
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cinestabe
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lunedì 18 gennaio 2016
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revenant - redivivo _ un autentico capolavoro.
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Esordisco su questo sito con la recensione di uno tra i film più belli, potenti ed unici del Cinema Moderno.
Si scrive REVENANT - REDIVIVO, si legge PURO CINEMA.
Il film è diretto da Alejandro González Iñárritu, già regista dell'acclamatissimo BIRDMAN, oltre che di altri
film meravigliosi come AMORES PERROS, 21 GRAMMI, BABEL e BIUTIFUL. Una particolarità di questo
regista è la qualità "in crescendo" delle sue Pellicole.
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Esordisco su questo sito con la recensione di uno tra i film più belli, potenti ed unici del Cinema Moderno.
Si scrive REVENANT - REDIVIVO, si legge PURO CINEMA.
Il film è diretto da Alejandro González Iñárritu, già regista dell'acclamatissimo BIRDMAN, oltre che di altri
film meravigliosi come AMORES PERROS, 21 GRAMMI, BABEL e BIUTIFUL. Una particolarità di questo
regista è la qualità "in crescendo" delle sue Pellicole. Il suo esordio fu ottimo, il suo secondo
film si rivelò bellissimo, il suo terzo film ottimo, il suo quarto film eccellente, il suo quinto (il più premiato) si
è rivelato un Capolavoro; dunque, la sua reputazione di regista capace di migliorarsi continuamente, stava già
barcollando. Non avevo dubbio che anche questo film si sarebbe rivelato un Capolavoro come BIRDMAN, ma
Iñárritu è riuscito a stupirmi. E' riuscito ad andare oltre. E' riuscito a girare qualcosa di sublime, di assolutamente
perfetto. Certo, REVENANT non è un film che può piacere a tutti (come nessun altro della sua filmografia), ma è
indubbio che si tratti di qualcosa di davvero, davvero, imponente. La perfezione in sè, non può piacere in tutti. Nemmeno
quella più sporca, rozza e violenta, come quella che caratterizza questa magnifica Pellicola.
Si tratta di una storia estremamente cruda (e crudele), sì, ma la messinscena è, nei confronti dello spettatore, ancor
più violenta, difficile da sopportare. Vedere un uomo patire le pene dell'Inferno ancor prima di arrivarci, è davvero
insostenibile, credo, per chiunque. Un uomo, Hugh Glass (interpretato da un mastodontico Leonardo DiCaprio al
meglio delle sue capacità recitative e umane), a cui viene uccisa la moglie davanti ai suoi occhi; a cui vengono
squarciate schiena e gola da una grizzly; a cui viene ucciso il figlio davanti ai suoi occhi. Un uomo, Hugh Glass, viene seppellito vivo.
Un uomo, Hugh Glass, intento ad affrontare qualsiasi avversità; assetato di vendetta nei confronti di chi gli ha portato
via l'ultima persona che gli dava vera ragione di vivere. Un uomo, Hugh Glass, un martire, un eroe, disposto a
percorrere un lunghissimo percorso (anche dell'anima) pur di raggiungere il suo scopo: vendicare sè stesso e suo figlio.
Alejandro González Iñárritu, conduce lo spettatore attraverso terre desolate, popolate da un vuoto nevoso e dalla violenza, dandogli
l'opportunità di accompagnare il protagonista per l'intera durata di questa epocale (dis)avventura, tra le riflessioni di quest'ultimo e paesaggi che mozzano il fiato.
Regia formidabile, non composta non da un unico (falso) piano sequenza come in BIRDMAN, ma da più piani sequenza, incredibili
agli occhi di chi li vede, indimenticabili non solo grazie a riprese ai limiti del "mestiere", ma anche grazie ad una fotografia
destinata a rimanere nella Storia del Cinema, come l'intera Pellicola di cui sto parlando. Colonna sonora, montaggio, recitazione
(oltre ad esserci un DiCaprio da Oscar, c'è anche un Tom Hardy da Oscar), fotografia, regia, sceneggiatura: tutto, in REVENANT, è
Arte allo stato puro. Non una imperfezione, non una scena fuori posto, nulla. Ci sarà, sicuramente, chi si ostinerà a non
ritenerlo un autentico Capolavoro (con motivazioni che non potrò mai condividere). Ma, personalmente, posso affermare
con indissolubile certezza, che si tratta di una tra le Pellicole più imponenti ed impressionanti, se non la più imponente ed
impressionante, degli anni '2000. L'unico difetto che ho trovato in questo film? Non è infinito.
Al momento in cui scrivo la recensione, è il 18 Gennaio 2016. REVENANT - REDIVIVO è candidato a dodici premi Oscar.
Se dipendesse da me, glieli aggiudicherei tutti, ad occhi bendati. Se penso che il secondo film con più nomination è
MAD MAX: FURY ROAD, per quanto sia bellissimo e registicamente davvero formidabile, mi viene soltanto da ridere.
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[+] recensione che sfiora la perfezione
(di lilith90)
[ - ] recensione che sfiora la perfezione
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pablito72
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lunedì 18 gennaio 2016
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film epico
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Sono andato al cinema con grandissime aspettative, e devo dire che non sono state assolutamente deluse. Iñárritu si conferma un regista eccezionale in uno stato di grazia formidabile. Senza aver minimamente copiato da nessuno, in questa pellicola c'è un po di tutto in quanto a tecnica, da Kubrick a Tarantino, passando per Nolan e Cameron. Girato in condizioni proibitive al freddo e al gelo, questo film estremo ti catapulta dentro lo schermo fin dalle primissime battute, facendo toccare quasi con mano le scene dei protagonisti, e trasmettendo sensazioni uniche in una girandola di emozioni.
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Sono andato al cinema con grandissime aspettative, e devo dire che non sono state assolutamente deluse. Iñárritu si conferma un regista eccezionale in uno stato di grazia formidabile. Senza aver minimamente copiato da nessuno, in questa pellicola c'è un po di tutto in quanto a tecnica, da Kubrick a Tarantino, passando per Nolan e Cameron. Girato in condizioni proibitive al freddo e al gelo, questo film estremo ti catapulta dentro lo schermo fin dalle primissime battute, facendo toccare quasi con mano le scene dei protagonisti, e trasmettendo sensazioni uniche in una girandola di emozioni. Sceneggiatura straordinaria, essendoci pochi dialoghi bisogna essere davvero dei fenomeni per costruire un grande film, e il regista messicano ci riesce in pieno, una fotografia incredibile (mai visto un film del genere), una regia maestosa, ed una colonna sonora assolutamente perfetta, non troppo calcata, ma di grande impatto. Probabilmente Alejandro ha esagerato un po' in qualche scena, questo film è tratto da una storia vera, ma effettivamente alcuni passaggi sono inverosimili, tuttavia mi aspettavo anche questo, e devo dire che ci sta tutto, perché non è mai caduto nel ridicolo, mantenendo sempre una linea pressoché originaria e plausibile. Che dire dei protagonisti, Tom Hardy straordinario, non ho visto tutti i suoi film, ma qui davvero si supera. Mentre di Di Caprio cosa dobbiamo dire? Io credo semplicemente che nessun altro al mondo sarebbe stato in grado di girare in quelle condizioni recitando in maniera migliore. Leo ha confermato ancora una volta di essere il miglior attore del pianeta, a mio avviso lo è da almeno 10 anni, e se non gli dovessero dare l'oscar neanche stavolta, la farsa della cerimonia delle statuette d'oro rasenterebbe il grottesco. In conclusione, un capolavoro assoluto, che entra di diritto nella top ten dei miei film preferiti di sempre!
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stefanomantini
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lunedì 18 gennaio 2016
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un film fotografico senza una storia
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Semplicemente un opera senza una storia sotto...molta fotografia, belli i paesaggi incontaminati, ottime le riprese, ecc. ma niente sceneggiatura, zero sorprese, nessuna vera trama, nessun alprofondimento psicologico...gli autori di Tex avrebbero di certo saputo far meglio...anche nei loro momenti meno ispirati. Dò due stelle solo per la produzione costosissima e non so se faccio bene.
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