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francesca50
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sabato 20 febbraio 2016
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film pregevole
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Il sapere il contenuto mi aveva indotto a qualche perplessità nell'andare a vederlo per il ripetersi ormai in quasi tutti i film più attuali del tema dell'omossessualità come di un qualcosa di normale e che va accettata ad ogni costo.
Tale film invece mi ha sorpreso perché non tende a far passare l'omossessualità come facile, ma come dramma. In tale opera con delicata maestria però si fa capire come la natura possa imprigionare in un uomo una sensibilità differente che spesso si scopre tale in età più avanzata.
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Il sapere il contenuto mi aveva indotto a qualche perplessità nell'andare a vederlo per il ripetersi ormai in quasi tutti i film più attuali del tema dell'omossessualità come di un qualcosa di normale e che va accettata ad ogni costo.
Tale film invece mi ha sorpreso perché non tende a far passare l'omossessualità come facile, ma come dramma. In tale opera con delicata maestria però si fa capire come la natura possa imprigionare in un uomo una sensibilità differente che spesso si scopre tale in età più avanzata. Allora diventa necessaria la realizzazione della propria natura quando non è vizio ma necessità dell'anima. Il pregio di tale opera è proprio quello di uscire dal coro dell'esaltazione della famiglia omossessuale e di evidenziare il dramma della trasformazione sessuale, che nasce gioco forza da una psiche fortemente turbata ma inevitabilmente attratta dalla propria vera sessualità. Bellissimo poi il tema dell'amore sia della moglie che dell'amico d'infanzia, che aiutano la trasformazione perché ne capiscono le profonde motivazioni. Insomma un film pregevole per recitazione, fotografia, dialoghi.
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[+] si, ma .....
(di paolo salvaro)
[ - ] si, ma .....
[+] non un film sull'omosessualità ma sui transgender
(di francesca50)
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catcarlo
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mercoledì 24 febbraio 2016
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bello ma freddo
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A volte accade. Ci sono film che hanno tutto per coinvolgere, appassionare, magari pure per restare nella storia del cinema e, invece, lo spettatore passa un paio d’ore in attesa di un clic che non arriva mai: l'ammirazione per la brillantezza formale dell'opera è indubbia, ma la scintilla di qualsiasi entusiasmo rimane ben spenta. Tom Hooper ritorna laddove 'Il discorso del re' era stata una scommessa vinta: un personaggio alla ricerca del vero se stesso sullo sfondo della tormentata Europa fra le due guerre. Se la vicenda di Giorgio VI raccontava in special modo il rapporto tra pubblico e privato in un momento comunque di difficoltà suprema, qui la lotta è molto più intima, poiché il pittore danese Einar Wegener la combatte con la propria natura, ovvero con Lili, la sua parte femminile che si risveglia forse per caso, ma poi conquista sempre più spazio mettendo in crisi la relazione con la moglie Gerda.
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A volte accade. Ci sono film che hanno tutto per coinvolgere, appassionare, magari pure per restare nella storia del cinema e, invece, lo spettatore passa un paio d’ore in attesa di un clic che non arriva mai: l'ammirazione per la brillantezza formale dell'opera è indubbia, ma la scintilla di qualsiasi entusiasmo rimane ben spenta. Tom Hooper ritorna laddove 'Il discorso del re' era stata una scommessa vinta: un personaggio alla ricerca del vero se stesso sullo sfondo della tormentata Europa fra le due guerre. Se la vicenda di Giorgio VI raccontava in special modo il rapporto tra pubblico e privato in un momento comunque di difficoltà suprema, qui la lotta è molto più intima, poiché il pittore danese Einar Wegener la combatte con la propria natura, ovvero con Lili, la sua parte femminile che si risveglia forse per caso, ma poi conquista sempre più spazio mettendo in crisi la relazione con la moglie Gerda. Einar/Lili è vissuto veramente ed è stato uno dei primi a sottoporsi a un intervento per cambiare sesso, ma la sceneggiatura di Lucinda Coxon, basata su un romanzo di David Ebershoff, si concede tante di quelle libertà da non poter considerare la pellicola come biografica, bensì un delicato studio su di una persona che si sente prigioniera in un corpo che non riconosce più. Ecco allora l'importanza dell'immagine, sia riflessa, sia rappresentata: anche Gerda dipinge ed è nei suoi quadri che Lili prende davvero vita per la prima volta - non per nulla una delle prime battute della pittrice spiega che 'per un uomo è difficile essere osservato da una donna. Sottomettersi allo sguardo di una donna è destabilizzante' - mentre lungo tutto il film si susseguono i giochi di riflessi che consentono di guardarsi e/o essere guardati. Si tratta di passaggi impliciti, quando le immagini degli attori sono incorniciate dagli oggetti o dalle componenti architettoniche, oppure espliciti nel denudarsi di Einar davanti allo specchio nel magazzino teatrale e nello scambio di sguardi e gesti con la prostituta dietro al vetro (seppur si tratti di una scena che stride un po' con la misura presente altrove): in ogni caso una scelta stilistica vincente che sfrutta al meglio gli spazi chiusi che sono in netta maggioranza, visto che l’occhio può spaziare quasi solo nei titoli di testa e nella sequenza conclusiva. Un'ambientazione che deve una porzione significativa della sua validità alla scenografia di Michael Standish ed Eve Stewart a partire dalla casa in cui vive la coppia che è un'unica natura morta in cui lo scarso mobilio spicca contro i muri spogli, fatta apposta per la fotografia dai colori freddi con cui Danny Cohen disegna le inquadrature, con particolare riguardo a quelle dedicate alla Danimarca. A fare contrasto pensa la colonna sonora di Alexandre Desplat, discreta, ma dai toni prettamente romantici, a sottolineare che si sta raccontando una grande storia d'amore in cui una moglie si sforza di capire cosa stia accadendo al marito cercando di stargli vicino malgrado la complessità della situazione (vabbè, è la sezione più romanzata, ma è il cinema, bellezza!). Alle prese con un compito non facile, il cast nel suo complesso regala una prova di notevole efficacia, facendo spiccare l’esercizio di accurato mimetismo offerto da Redmayne (che danza sull'orlo della sovrarecitazione senza cascarvi dentro) e la solo all'apparenza fragile Gerda di Alice Vikander, che non si capisce per quale motivo sia stata candidata all'Oscar come non protagonista con, tra l’altro, un minutaggio superiore al collega di set. Come si vede, i pregi non sono pochi e di conseguenza si fa fatica a credere che non si rimanga lì a bocca aperta, eppure la narrazione scorre in superficie senza incidere e lasciando un'impressione complessiva di invincibile freddezza che dapprima si spera si dissolva con il passare dei minuti, ma alla quale lentamente ci si rassegna, con l'aggravante di un'ultima mezzora un po' tirata per le lunghe: a rimetterci è uno dei momenti cinematograficamente più belli, lo splendido controcampo finale sui visi dei due (ex) coniugi che ne suggella l’eterna vicinanza
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[+] mah, più leggo e più non capisco.
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alexmanfrex
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lunedì 11 luglio 2016
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toccante
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Certe storie da raccontare al cinema non sono semplici !! Cadere nella retorica pura e perdersi nei meandri di ricadute semplicistiche è un gran rischio ...
Danish girl racconta una storia forte e di grande impatto. Emoziona soprattutto, al di là dei molteplici piani di dibattito che potrebbe facilmente aprire.
Tema centrale: la scopertà della propria identità, dopo averla volontariamente nascosta al mondo (e qualche volta anche a sè stessi ...).
Un film incentrato sul propio ego, su quello che si vuole veramente essere nella propria vita, sul coraggio del diventarei veri sè stessi al di là delle convenzioni (e della scienza) .
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Certe storie da raccontare al cinema non sono semplici !! Cadere nella retorica pura e perdersi nei meandri di ricadute semplicistiche è un gran rischio ...
Danish girl racconta una storia forte e di grande impatto. Emoziona soprattutto, al di là dei molteplici piani di dibattito che potrebbe facilmente aprire.
Tema centrale: la scopertà della propria identità, dopo averla volontariamente nascosta al mondo (e qualche volta anche a sè stessi ...).
Un film incentrato sul propio ego, su quello che si vuole veramente essere nella propria vita, sul coraggio del diventarei veri sè stessi al di là delle convenzioni (e della scienza) ...
Il dramma scorre sui due personaggi: Einar, pittore paesaggista di successo, che (ri)scopre la sua vera identità. E Gerda, moglie di Einar, che nonostante il dramma personale, con grande amore e intelligenza sociale, non smette mai di stare vicino alla persona che ha sposato e la accompagna nella sua trasformazione personale, fino al tragico epilogo.
Ogni categoria perseguitata potrebbe fare di questo film il proprio baluardo, ma forse non era questo l'intento, forse si voleva solo raccontare con grande delicatezza come i più grando conflitti spesso nascano nel proprio intimo.
Il film risulta scorrevole ed elegante, anche se troppe volte incentrato sulla caratterizzazione di Redmayne, che lo sappiamo, è bravo, per cui non è sempre così necessario e funzionale evidenziarne sguardi e smorfie.
Menzione d'onore per Alicia Vikander, che forse in fondo è la vera protagonista, è lei che regge tutto il peso della vicenda, facendosene coraggiosamente carico.
Bella la fotografia e i colori (non poteva essere altrimenti in un film i cui protagonisti sono pittori).
Forse meritevole di qualche premio in più, paga le enormi aspettative create ed Eddie Redmayne potenzialmente da Oscar, perchè in un ruole decisamente difficile, non vince solo perchè premisto già l'anno precedente.
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rongiu
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sabato 20 febbraio 2016
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i colori dell’anima
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Molti si chiedono, se un film offre la possibilità di cambiarti un po’; un film, chiaramente, girato bene e che ha forza, corposità, “vita propria”. Il più delle volte la risposta è negativa.
Ma se l’uomo è continuamente “bersagliato” dalle emozioni \Allegria, ansia, entusiasmo, delusione, determinazione, felicità, gioia, tristezza, tensione, eccitazione, insicurezza, paura, noia, nervosismo, per citarne alcune/ come è possibile che alcuni non si sentano, non dico “interiormente modificati” ma almeno toccati da questa storia, piena zeppa di queste emozioni, tanto da riempire l’anfora miocardica fino a trasbordarla?
Vero è, comunque, che la trasposizione cinematografica di storie vere, può non soddisfare un vasto ed esigente pubblico.
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Molti si chiedono, se un film offre la possibilità di cambiarti un po’; un film, chiaramente, girato bene e che ha forza, corposità, “vita propria”. Il più delle volte la risposta è negativa.
Ma se l’uomo è continuamente “bersagliato” dalle emozioni \Allegria, ansia, entusiasmo, delusione, determinazione, felicità, gioia, tristezza, tensione, eccitazione, insicurezza, paura, noia, nervosismo, per citarne alcune/ come è possibile che alcuni non si sentano, non dico “interiormente modificati” ma almeno toccati da questa storia, piena zeppa di queste emozioni, tanto da riempire l’anfora miocardica fino a trasbordarla?
Vero è, comunque, che la trasposizione cinematografica di storie vere, può non soddisfare un vasto ed esigente pubblico. Personalmente reputo, che la vita della danese (Einar Wegener / Lili Elbe), magistralmente interpretata da \ Eddie Redmayne / non può lasciare indifferenti. E comunque, l’indifferenza è uno stato affettivo ed ha il suo colore \un nero tendente fortemente allo stinto/.
Questo film, non è né da ammirare come si fa’ con una tela, né da vedere con la “testa”. Il regista \ Tom Hooper / non solo non si è risparmiato nell’utilizzare i colori della sua tavolozza, ma li ha saputi magicamente spalmare sulla pellicola con un tocco da maestro dello spazio/tempo. Colori che fanno di ognuno di noi un essere speciale, a qualsiasi latitudine e con tanto di dignità da rispettare.
E, Gerda? \ Alicia Vikander / Cosa dire della signora Wegener, della sua separazione fisica, della sua lenta ma inesauribile disgregazione sociale? Della realtà che si trova ad affrontare e della sua predisposizione psicologica?
Redmayne da’ un altro saggio della sua maestria. Un altro personaggio della vita reale viene presentato in modo comprensibilmente oggettivo. Se poi qualcuno vuole chiudere gli occhi, lo faccia pure, ma si tratta di una cecità fittizia. Una cecità piena di pregiudizi, che giudica prima ancor di conoscere. Una cecità che abbassa a discorsi da “bar” o da “salotti” il dramma di un matrimonio e dei suoi attori costretti a “rivedersi dentro”, e che solo l’Amore vero permette, giorno dopo giorno, di riequilibrare una scala cromatica che sta per scivolare inesorabilmente verso il nulla.
Blu, verde, rosa, giallo, arancione, rosso, viola, indaco, marrone, bianco, nero. Tanti colori per rappresentare un vissuto, il vissuto di due anime molto belle, e probabilmente non bastano. Tentare di avvicinarsi all’oggetto dell’esperienza presentata, ritengo essere un dovere dell’intelletto umano.
Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro
per le tue pene.
Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle
canta l’eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde.
Kahlil Gibran
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miguel angel tarditti
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domenica 21 febbraio 2016
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descubrirse mujer en un cuerpo de hombre
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Sentir una identidad sexual que es otra.
“The Danish Girl”, de Tom Hooper
Film Británico, Usa, 2015
La fabulosa geografía de Dinamarca, suave, estética, de una plástica metafóricamente “femenina”, sirve de escenografía para mostrar un vibrante conflicto de reconocimiento o identidad sexual.
El film cuenta la historia verdadera de Einar Wegener (como hombre)/Lili Elbe (como mujer), que en la Dinamarca del 1931 fue la primera persona en la historia, a someterse a una operación de cambio de sexo.
Me preguntaba viendo el film, cuanto mal puede sentirse un ser humano en un cuerpo que siente como ajeno a su autentico ser sexual.
Un espíritu prisionero en una jaula asfixiante, su cuerpo.
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Sentir una identidad sexual que es otra.
“The Danish Girl”, de Tom Hooper
Film Británico, Usa, 2015
La fabulosa geografía de Dinamarca, suave, estética, de una plástica metafóricamente “femenina”, sirve de escenografía para mostrar un vibrante conflicto de reconocimiento o identidad sexual.
El film cuenta la historia verdadera de Einar Wegener (como hombre)/Lili Elbe (como mujer), que en la Dinamarca del 1931 fue la primera persona en la historia, a someterse a una operación de cambio de sexo.
Me preguntaba viendo el film, cuanto mal puede sentirse un ser humano en un cuerpo que siente como ajeno a su autentico ser sexual.
Un espíritu prisionero en una jaula asfixiante, su cuerpo.
Resulta difícil poder intuir esta angustia, este dolor, esta desesperación.
A qué punto se puede sufrir un conflicto de tal envergadura, que para poder ser feliz, sea necesario imperiosamente recurrir a un cambio orgánico, a una operación que corrija lo que siente como inauténtico: su sexo.
Si nos retrotraemos al 1931, el drama aún es mayor; la medicina del proprio tempo, quería internarlo y declararlo esquizofrénico.
Y eso que Freud ya había descubierto el psicoanálisis como recurso para indagar las razones del inconsciente.
Porque el problema no es solo del protagonista del conflicto, pasa a ser también, un problema para los que desde afueran proyectan sus prejuicios o sus temores en la piel del “extraño personaje”.
Del extravagante, como dice Foucault en su “Historia de la locura” cuando narra cómo eran tratados los “locos” en el Medioevo.
El tema es que la diversidad es algo que asusta, que en cualquier modo amenaza la integridad del otro, de los otros, de la sociedad toda en muchos casos.
En esta época de globalización, donde todo debe ser unificado, la diferencia se evidencia como negativa. No se potencia con la unificación, las diferencias que nutre, que identifican, que puede enriquecer, y que por sobre todo deben ser respetadas, no, se liman las aristas, los perfiles, para que así podamos confundirnos como en una no-identidad de la persona.
Masificar para poder dominar mejor. Sin rebeldes extravagantes o locos.
El film de Tom Hooper (“Los miserables” “El discurso del rey”)
es delicado, muy estético, y cuenta con ese actor excepcional que es Eddie Redmayne, que ya habíamos visto en “La teoría del todo” encarnando a Stephen Hawking, que le mereció el Oscar de la Academia, y que podría merecerlo nuevamente en este deslumbrante trabajo. Su capacidad de composición es verdaderamente excepcional. Alicia Vikander , seduce ampliamente con su verdad e intensidad dramática en el rol de la esposa.
Creo que el film tiene el valor de esas obras de arte donde la observación de la composición actoral y la dramaticidad del conflicto que afronta, nos pone delante de una dimensión humana, de absoluta vulnerabilidad, fragilidad, y enorme conflictualidad.
Al mismo tiempo denuncia la necesidad del coraje para enfrentar la vida de pecho, de frente, aunque ese precio pueda llegar a ser de muy alta exigencia, muy alta. Diría, casi no humana.
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flyanto
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martedì 23 febbraio 2016
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un corpo vissuto come una prigione
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Regista televisivo e cinematografico molto acclamato e pluripremiato in Gran Bretagna, Tom Hooper si distingue per i suoi lavori ambientati per lo più in epoche passate. Con "The Danish Girl", l'ultima sua fatica, non si smentisce e presenta la storia di Einer Wegener, pittore paesaggista realmente vissuto in Danimarca agli inizi del XIX Secolo, il primo uomo omosessuale che affrontò nel 1931 la delicata operazione al fine di cambiare sesso. Nel corso del film si assiste al suo graduale e sempre più preponderante desiderio di aderire al sesso femminile, prima attraverso l'osservazione e l'ammirazione da lontano delle donne, cercandone di imitare le movenze ed i gesti in generale, poi attraverso la diretta trasformazione indossando abiti ed una parrucca femminili al fine di comparire esattamente come una donna.
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Regista televisivo e cinematografico molto acclamato e pluripremiato in Gran Bretagna, Tom Hooper si distingue per i suoi lavori ambientati per lo più in epoche passate. Con "The Danish Girl", l'ultima sua fatica, non si smentisce e presenta la storia di Einer Wegener, pittore paesaggista realmente vissuto in Danimarca agli inizi del XIX Secolo, il primo uomo omosessuale che affrontò nel 1931 la delicata operazione al fine di cambiare sesso. Nel corso del film si assiste al suo graduale e sempre più preponderante desiderio di aderire al sesso femminile, prima attraverso l'osservazione e l'ammirazione da lontano delle donne, cercandone di imitare le movenze ed i gesti in generale, poi attraverso la diretta trasformazione indossando abiti ed una parrucca femminili al fine di comparire esattamente come una donna. In tutto ciò, sebbene addolorata ma molto comprensiva, lo sostiene la moglie Gerda, nota pittrice dell'epoca, che lo ritrae persino nei propri dipinti e lo accompagna sino alla morte nel suo deciso intento di cambiare definitivamente sesso.
Al di là della trama che risulta interessante propriamente come documento storico in quanto rappresentazione del disagio e delle lotte, nonchè delle svariate e numerose umiliazioni, che Einar Wegener dovette subire e sostenere, quello che è particolarmente interessante, per non dire pregevole, è la maestria e la profondità psicologica con cui Hooper ritrae la mentalità di un'epoca in cui, per quanto la Danimarca fosse tollerante ed aperta di vedute, non lo era ancora abbastanza, e riteneva assai disdicevole, per non dire infamante in quanto manifestazione di perversione od addirittura pazzia, l'essere attratti verso il sesso opposto. Pertanto, molto dettagliatamente e perfettamente aderente alla realtà degli inizi del secolo, il regista britannico offre allo spettatore un quadro quanto mai pregevole di ciò che concerne gli ambienti ed i costumi, ponendo soprattutto in evidenzia il tormento psicologico provato sia da Einer Wegener che dalla moglie stessa per la nuova ed assai dolorosa presa di coscienza.
Eddie Redmayne, già ampiamente ammirato nel suo precedente "La Teoria del Tutto" nella parte dello scienziato Stephen Hawking affetto da sclerosi multipla, si conferma ottimo attore per la mimica facciale sia nei panni maschili di uomo tormentato che in quelli più timidi ed ancora incerti di donna dal nome Lili Elbe. Alicia Vikander, nella parte della moglie artista totalmente comprensiva della condizione del marito, nonchè innamorata, si dimostra anch'ella perfettamente addentro e confacente al proprio ruolo, seppure di secondo piano ma quanto mai influente. E tutto ciò, unito alle seducenti e magnifiche esteticamente parlando riprese dei paesaggi e degli ambienti, contribuisce a rendere la pellicola di Hooper un vero gioiello, da ammirare visivamente e da comprendere per la delicata e profonda rappresentazione della particolare tematica.
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francy49
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mercoledì 24 febbraio 2016
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film poetico.
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Il dramma di chi vede la propria identita imprigionata in un corpo sbagliato viene raccontato in maniera elegante. Molto raffinati gli ambienti e le scene. Film pittorico che sceglie di rappresentare i sentimenti attraverso gli occhi dei protagonisti su cui si concentra la cinepresa. Coinvolgente l' interpretazione degli at tori principali. Bravissimo Eddie Redmaine, che dimostra, come ne La teoria del tutto, di sapere aderire fisicamente ai personaggi.
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luca1968
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lunedì 13 giugno 2016
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regia disgustosa
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Premetto che il film non mi è dispiaciuto. É sicuramente un film delicato ed elegante, con un meraviglioso Eddie Redmayne e una Alicia Vikander all'altezza (anche se non da oscar...), ma la regia é assolutamente OSCENA. Non so se ho mai visto un film girato così male. Dopo avere girato male n simpatico Il discorso del re (che si è salvato grazie ai protagonisti ed alla sceneggiatura) e avere rovinato un capolavoro come Les Miserables (inguardabile per chi come me ha visto il musical originale a teatro per ben 5 volte), Tom Hooper ha colpito ancora. Come se fosse un marchio di fabbrica, ha utilizzato ancora una volta inquadrature storte e distorte (tecnica che io odio), con il peggior montaggio della storia del cinema.
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Premetto che il film non mi è dispiaciuto. É sicuramente un film delicato ed elegante, con un meraviglioso Eddie Redmayne e una Alicia Vikander all'altezza (anche se non da oscar...), ma la regia é assolutamente OSCENA. Non so se ho mai visto un film girato così male. Dopo avere girato male n simpatico Il discorso del re (che si è salvato grazie ai protagonisti ed alla sceneggiatura) e avere rovinato un capolavoro come Les Miserables (inguardabile per chi come me ha visto il musical originale a teatro per ben 5 volte), Tom Hooper ha colpito ancora. Come se fosse un marchio di fabbrica, ha utilizzato ancora una volta inquadrature storte e distorte (tecnica che io odio), con il peggior montaggio della storia del cinema. Scene tagliate con l'accetta e inserimenti di scene inutili di 2-3 secondi. Così tre film che avrebbero potuto essere bellissimi si salvano solo per il rotto della cuffia. A questo punto, credo abbia conquistato uno dei primissimi posti del mio personale elenco di registi che detesto. Anche se è un'offesa per gli altri registi definirlo tale. Possibile che nessuno la pensi come me? Provate a rivedere il film prestando attenzione alle inquadrature e al montaggio, poi ditemi cosa ne pensate!
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filippo catani
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lunedì 29 febbraio 2016
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un'occasione persa
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Copenaghen 1926. Il pittore paesaggista Einar Wegener scopre quasi casualmente il suo lato femminile e decide di sottoporsi per primo a una pericolosissima operazione per cambiare sesso appoggiato dalla moglie.
Lo diciamo subito per poi motivare: il film non ci è piaciuto. La coppia Redmayne-Vikander è l'unica cosa che funziona (lei premiata con l'Oscar che però avrebbe maggiormente meritato la Winslet). Per il resto ci troviamo davanti ad una prima ora assolutamente soporifera in cui il protagonista scopre la sua vena femminile ma invece di puntare su intimità e introspezione ci si perde in giochi di sguardi, vestiti e mosse unite a inutili scenate isteriche.
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Copenaghen 1926. Il pittore paesaggista Einar Wegener scopre quasi casualmente il suo lato femminile e decide di sottoporsi per primo a una pericolosissima operazione per cambiare sesso appoggiato dalla moglie.
Lo diciamo subito per poi motivare: il film non ci è piaciuto. La coppia Redmayne-Vikander è l'unica cosa che funziona (lei premiata con l'Oscar che però avrebbe maggiormente meritato la Winslet). Per il resto ci troviamo davanti ad una prima ora assolutamente soporifera in cui il protagonista scopre la sua vena femminile ma invece di puntare su intimità e introspezione ci si perde in giochi di sguardi, vestiti e mosse unite a inutili scenate isteriche. Inoltre anche il personaggio della moglie risulta un po' poco credibile e decisamente troppo controllato. Nella seconda parte il livello sale un pelo per poi cedere definitivamente a un finale strappalacrime e un po' da fiction. Insomma un'occasione persa perchè il materiale artistico era importante dal regista agli attori fino alla sceneggiatura ed è stato dilapidato in un'opera piena di luoghi comuni. Peccato.
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dhany coraucci
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martedì 1 marzo 2016
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crisi d'identità in forma d'eleganza
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La crisi d'identità è un tema delicato e complesso, non facile da portare sullo schermo. E se per questo, assolutamente non facile da vivere. Essendo un tema che mi coinvolge particolarmente, il solo tentativo per me è già motivo di grande interesse. Se poi si riesce a trasmetterne, anche solo in parte, la dilaniante ricchezza che lo attraversa e lo accompagna, non posso che rimanerne colpita. Attendevo questo film da tempo. Con la riserva di un'istintiva antipatia per Eddy Radmayne bilanciata però da una trascinante simpatia per Alice Vikander, e non mi capita spesso. Devo dire che questo film, poi, mi ha subito conquistato.
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La crisi d'identità è un tema delicato e complesso, non facile da portare sullo schermo. E se per questo, assolutamente non facile da vivere. Essendo un tema che mi coinvolge particolarmente, il solo tentativo per me è già motivo di grande interesse. Se poi si riesce a trasmetterne, anche solo in parte, la dilaniante ricchezza che lo attraversa e lo accompagna, non posso che rimanerne colpita. Attendevo questo film da tempo. Con la riserva di un'istintiva antipatia per Eddy Radmayne bilanciata però da una trascinante simpatia per Alice Vikander, e non mi capita spesso. Devo dire che questo film, poi, mi ha subito conquistato. Perché l'ho trovato di un'eleganza rarissima. La crisi d'identità non è mai elegante, intendiamoci. Ma è anche vero che l'eleganza è una virtù altrettanto complessa e, anche se sembrerebbe il contrario, si esprime dentro, più che fuori. Sarà stata anche Copenaghen o i magnifici paesaggi e ambienti nordici, sarà stata l'immensa bravura degli attori (anche di Radmayne, devo proprio ammetterlo) o sarà stato che l'inconscio, che è il vero protagonista, e i suoi desideri e le sue esplorazioni sono filmate con grande intensità ed emozione: ho trovato questo film davvero bello. E bella anche l'indagine mai facile su forme d'amore che sconfinano in territori di cui si sa poco, almeno ad osservarle dall'esterno.
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[+] per me è stato diverso
(di marezia)
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