brian77
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mercoledì 2 settembre 2015
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giudichiamo il film, panahi o il regime?
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L'ho trovato scialbo e noioso. Tutto viene detto, proclamato, ripetuto. Naturalmente sono partecipe dei drammi personali e politici di Panahi, ma questo film sembra una parodia dei cliché del cinema iraniano anni '90.
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novuole
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martedì 1 settembre 2015
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bello
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Semplice, commovente, bello.
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goldy
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martedì 1 settembre 2015
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quando è necessario ribadire
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Delle problematiche sulla denuncia di mancanza di democrazia nel paese, Panahi ne ha fatto una costante nei suoi film. "Il cerchio" del 2000 sintetizza in modo mirabile i nodi tematici da risolvere per iniziare un processo democratico nel paese. Oggi li ribadisce, ma nel frattempo sembra che le cose potrebbero cominciare a migliorare dopo l'abolizione dell'embargo da parte dei paesi occidentali. Quindi denunce vecchie che è necessario ribadire in un contesto formale geniale con un Panahi che commuove fino alle lacrime per lo sguardo con cui affronta il mondo e l'umanità che lo abita. Uno sguardo semplicemengte "buono". Sembra poco ma è tantissimo, pacificante e rivoluzionario.
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marcello1979
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lunedì 31 agosto 2015
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grande uomo
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Grande Panahi.
Se parliamo del film? nulla di sbalorditivo.
Se parliamo della vita di quest'uomo allora tutto cambia.
La testimonianza di una vita passata a testimoniare contro un regime che non regala libertà di partola,
solo repressione e paura.
Parliamo di un uomo finito più volte in carcere per difendere i diritti di tutti gli Iraniani..
Per questo e altro, voto 10.
Chapeau.
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robert eroica
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domenica 30 agosto 2015
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la vita da dietro un vetro
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Ad un ragazzo appassionato di cinema che gli chiede come scrivere un nuovo soggetto, il regista Panahi risponde secco che occorre dimenticare i film visti e i libri letti e che bisogna invece uscire di casa per cercarne di nuovi. Ed è quello che fa anche Panahi, che letteralmente inventa il film che il governo non gli consente di girare. E quello che non può realizzare liberamente, un artista lo compie in modo occulto, disegnando traiettorie oblique, contaminando la possibilità con la necessità. Qui il regista si inventa tassista in una Teheran tutta percorsa sulle strade, a diretto contatto con la gente, con le storie ora drammatiche, ora bizzarre, ora paradossali di cui sono gli indiscussi protagonisti.
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Ad un ragazzo appassionato di cinema che gli chiede come scrivere un nuovo soggetto, il regista Panahi risponde secco che occorre dimenticare i film visti e i libri letti e che bisogna invece uscire di casa per cercarne di nuovi. Ed è quello che fa anche Panahi, che letteralmente inventa il film che il governo non gli consente di girare. E quello che non può realizzare liberamente, un artista lo compie in modo occulto, disegnando traiettorie oblique, contaminando la possibilità con la necessità. Qui il regista si inventa tassista in una Teheran tutta percorsa sulle strade, a diretto contatto con la gente, con le storie ora drammatiche, ora bizzarre, ora paradossali di cui sono gli indiscussi protagonisti. Ladri, insegnanti, ex vicini di casa, vittime di incidenti stradali, avvocati, bizzarre signore che trasportano pesci rossi verso la libertà: tutti salgono sul taxi di Panahi e mostrano un pezzo della loro vita, delle piccole preoccupazioni, delle loro mete, delle ambizioni e dei piccoli e grandi desideri. E il bello, in questa operazione assolutamente “sui generis”, è che non si capisce mai a che punto sia il cortocircuito tra reale e sceneggiato, anche quando entra in campo anche la reale nipote del regista, che viene riaccompagnata da scuola. E la commozione pura irrompe quando l’avvocatessa che conosce bene Panahi, gli regala una rosa lasciandola sul cruscotto, a ben sperare, “in onore del cinema”. Quello che testardamente il regista iraniano continua a portare avanti, col suo ennesimo “non – film”, girato in “camera car”, non staccando mai dalla vettura che guida verso una libertà di azione che gli auguriamo prossima.
Robert Eroica
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nikipi
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domenica 30 agosto 2015
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un taxi che si chiama coraggio
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Antefatto: J.Panahi, il regista iraniano che la Sharia ha condannato a venti anni (venti!) di inattività se non vuole andare in prigione, ha trovato l’escamotage di interpretare il ruolo di un autista di taxi, adibito a set cinematografico, e di filmare col cellulare i vari tipi umani che imbarca.
Il racconto dei racconti è accompagnato dal sorriso mite e l’imponente testa crinuta di J.P. e coadiuvato dalla sua disponibilità ad accogliere e ascoltare i “passeggeri”. Sfilano così, tra gli altri, un borseggiatore inflessibile giustizialista, una maestra coraggiosamente pedagogica, due anziane donne che credono nella magia dei numeri, un affaccendato distributore porta-a-porta di film proibiti dalla legge islamica, e una petulante "nipotina" del regista (che si inserisce a pieno titolo nella serie dei bravissimi bambini che recitano nei film iraniani) la quale, nell’implacabile volontà di girare un film per la scuola, sembra - per la determinazione e il rigore etico che la anima - raccogliere l’insegnamento del celebre “zio”.
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Antefatto: J.Panahi, il regista iraniano che la Sharia ha condannato a venti anni (venti!) di inattività se non vuole andare in prigione, ha trovato l’escamotage di interpretare il ruolo di un autista di taxi, adibito a set cinematografico, e di filmare col cellulare i vari tipi umani che imbarca.
Il racconto dei racconti è accompagnato dal sorriso mite e l’imponente testa crinuta di J.P. e coadiuvato dalla sua disponibilità ad accogliere e ascoltare i “passeggeri”. Sfilano così, tra gli altri, un borseggiatore inflessibile giustizialista, una maestra coraggiosamente pedagogica, due anziane donne che credono nella magia dei numeri, un affaccendato distributore porta-a-porta di film proibiti dalla legge islamica, e una petulante "nipotina" del regista (che si inserisce a pieno titolo nella serie dei bravissimi bambini che recitano nei film iraniani) la quale, nell’implacabile volontà di girare un film per la scuola, sembra - per la determinazione e il rigore etico che la anima - raccogliere l’insegnamento del celebre “zio”.
Attraverso lo schema di storie che si affiancano l’una all’altra, affiora la violenza delle istituzioni con l’accenno agli interrogatori con cui hanno torchiato l’autore, la persistenza di una cultura arcaica e anti-razionale che sopravvive nel Paese, e l’indottrinamento ottundente perseguito dalla scuola.
Lasciato incustodito il taxi per andare a restituire un portafoglio dimenticato da una passeggera, due giovanotti, irriconoscibili sotto minacciosi caschi neri, rubano dall'auto il cellulare usato per le riprese – ripromettendosi di tornare a prendere la sim card che ne permetterà l’identificazione – e lo schermo si oscura bruscamente.
L’assenza di titoli di coda (per scongiurare vendette della Sharia sui partecipanti al film), e lo schermo improvvisamente nero esemplificano in modo incisivo e sgomentante ciò che la condanna significa per Panahi e per noi spettatori: un buio vuoto e muto.
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enzo70
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sabato 29 agosto 2015
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un film necessario per rompere il silenzio
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Un film coraggioso, ma il rischio non è condanna della critica, ma il carcere, quello vero, cui Jafar Panahi è stato già condannato, pena sospesa, ma divieto assoluto di fare un film, tipo Taxi Tehran. Il regista si mette alla guida di un taxi ed attraversa la città caricando l’umanità della città, dal nano commerciante di dvd illegali, al borseggiatore alla maestra elementare. In pratica due telecamere, una vede davanti, una dentro, la scelta del regista ha un significato anche simbolico. In questo film il regista iraniano sembra aver fatto sue le tecniche di racconto di Wenders, ma, oggettivamente, i rischi sono diversi. Sempre tenendosi al bordo delle tensioni della repubblica islamica, Panahi penetra le contraddizioni del regime iraniano, dai diritti civili delle donne, esemplare il testamento girato con un video in movimento dell’uomo morente a favore della moglie, alla censura, il decalogo del buon film recitato dalla nipote al discorso finale della donna con le rose.
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Un film coraggioso, ma il rischio non è condanna della critica, ma il carcere, quello vero, cui Jafar Panahi è stato già condannato, pena sospesa, ma divieto assoluto di fare un film, tipo Taxi Tehran. Il regista si mette alla guida di un taxi ed attraversa la città caricando l’umanità della città, dal nano commerciante di dvd illegali, al borseggiatore alla maestra elementare. In pratica due telecamere, una vede davanti, una dentro, la scelta del regista ha un significato anche simbolico. In questo film il regista iraniano sembra aver fatto sue le tecniche di racconto di Wenders, ma, oggettivamente, i rischi sono diversi. Sempre tenendosi al bordo delle tensioni della repubblica islamica, Panahi penetra le contraddizioni del regime iraniano, dai diritti civili delle donne, esemplare il testamento girato con un video in movimento dell’uomo morente a favore della moglie, alla censura, il decalogo del buon film recitato dalla nipote al discorso finale della donna con le rose. E dalla lezione del regista iraniano la politica mondiale dovrebbe trarre il coraggio di levarsi il velo dell’indifferenza.
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stefano capasso
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venerdì 28 agosto 2015
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la forza delle idee
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Ho visto ieri Taxi Teheran, un docufilm di Jafar Panahi. Il regista stesso è conduttore di un taxi che gira per la capitale iraniana, raccogliendo testimonianze di passeggeri (parenti, amici e sconosciuti) sulla vita quotidiana che si svolge nel paese. Ed emergono curiosità, credenze e soprattutto, immancabili, le dure leggi, che il governo impone al popolo, limitando spesso la libera espressione e la possibilità di conoscenza di altre culture.
Ingegnoso ed interessante il dispositivo adottato dal regista, che piazza una telecamera sul cruscotto della sua automobile, e di lì usando tre inquadrature riesce a raccontare una storia importante.
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Ho visto ieri Taxi Teheran, un docufilm di Jafar Panahi. Il regista stesso è conduttore di un taxi che gira per la capitale iraniana, raccogliendo testimonianze di passeggeri (parenti, amici e sconosciuti) sulla vita quotidiana che si svolge nel paese. Ed emergono curiosità, credenze e soprattutto, immancabili, le dure leggi, che il governo impone al popolo, limitando spesso la libera espressione e la possibilità di conoscenza di altre culture.
Ingegnoso ed interessante il dispositivo adottato dal regista, che piazza una telecamera sul cruscotto della sua automobile, e di lì usando tre inquadrature riesce a raccontare una storia importante. Una scelta dovuta anche al divieto di lavorare che la giustizia iraniana gli ha imposto, e che lo costringe a girare i suoi film in clandestinità. Un esempio forte di come quando c’è un’idea alla base, originale e sentita, bastano pochi e semplici mezzi per realizzarla. Un film a tratti divertente che fa riflettere.
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no_data
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venerdì 28 agosto 2015
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il coraggio di un artista
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E un documentario? Un film di finzione? Un film di protesta? cos'è veramente "Taxi Teheran"? L'ultima opera di Jafar Panahì è soprattutto un regalo al cinema e alla gente che di cinema vive (e muore). Un regalo per tutti noi, cinefili, che amiamo la Settima Arte per quello che è: una forma di libera espressione. La giustizia iraniana ha proibito a Panahi di girare film per i prossimi 20 anni, pena la prigione. Ma lui non ci sta e gira lo stesso. E ci dimostra che non ci sono barriere che il pensiero libero non possa far cadere.
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E un documentario? Un film di finzione? Un film di protesta? cos'è veramente "Taxi Teheran"? L'ultima opera di Jafar Panahì è soprattutto un regalo al cinema e alla gente che di cinema vive (e muore). Un regalo per tutti noi, cinefili, che amiamo la Settima Arte per quello che è: una forma di libera espressione. La giustizia iraniana ha proibito a Panahi di girare film per i prossimi 20 anni, pena la prigione. Ma lui non ci sta e gira lo stesso. E ci dimostra che non ci sono barriere che il pensiero libero non possa far cadere.
Dal suo taxi intravediamo una Teheran molto movimentata così come è movimentato l'interno della sua macchina. Tanti personaggi, tanto diversi, che ci dicono la loro senza peli sulla lingua, come se non ci fosse una telecamera a riprenderli. Protagonista assoluta una bambina, nipote di Panahi nel film e nella realtà, spontanea e intelligente che racchiude tutto il senso della pellicola in se stessa: l'opposizione creativa e non violenta vince sempre di fronte all'intolleranza e ad una giustizia che giusta non è. Da vedere assolutamente!!
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[+] la grande bellezza
(di ciuccella)
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ema
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venerdì 28 agosto 2015
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un film necessario (anche esteticamente)
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talvolta i film non sono per fortuna solo belli. sono cinema. necessari. esteticamente alti. stratificati. militanti. delicati. profondi. ben scritti.
in una data realtà e tempo ti ci portano. o forse, quel tempo specifico e quel luogo te li ritrovi dentro senza esserti spostato dal divano di casa.
ci sono film che con una rosa, una strada polverosa e una bambina chiacchierona, semplicemente ed elegantemente, ti spostano.
e ti ritrovi a farti una domanda: ma io da che parte sto?
se vi capita, rincorretelo questo film. pretendetelo.
Sosteniamo Jafar Panahi
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