catcarlo
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mercoledì 9 settembre 2015
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taxi teheran
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Continuando la battaglia per dimostrare che non basta una sentenza per fermare la sua voglia e il suo bisogno di creare con la macchina da presa – attività che gli è stata vietata per vent’anni – Panahi va oltre il cinema da camera dei suoi ultimi lavori e alza la sfida scendendo in strada nei panni di un tassista che affronta il convulso traffico di Teheran (di preferenza su arterie di grande scorrimento o in quartieri residenziali) intrecciando storie di varia umanità: ne esce un ritratto della società iraniana che va oltre le difficoltà realizzative consentendo allo spettatore di entrare in contatto con un mondo conosciuto poco e per sentito dire.
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Continuando la battaglia per dimostrare che non basta una sentenza per fermare la sua voglia e il suo bisogno di creare con la macchina da presa – attività che gli è stata vietata per vent’anni – Panahi va oltre il cinema da camera dei suoi ultimi lavori e alza la sfida scendendo in strada nei panni di un tassista che affronta il convulso traffico di Teheran (di preferenza su arterie di grande scorrimento o in quartieri residenziali) intrecciando storie di varia umanità: ne esce un ritratto della società iraniana che va oltre le difficoltà realizzative consentendo allo spettatore di entrare in contatto con un mondo conosciuto poco e per sentito dire. Scartata l’idea originale di una sorta di ‘specchio segreto’ per non mettere a repentaglio la sicurezza dei clienti, il regista ha scelto di farli reinterpretare da attori non professionisti e rigorosamente anonimi – il film non ha titoli né in testa né in coda se si eccettua l’elenco delle voci italiane – alternando abilmente i registri di dramma e commedia così da far scorrere senza momenti di stanchezza una storia ambientata tutta all’interno di un’automobile e ripresa con una piccola telecamera piazzata sul cruscotto in modo da non essere visibile da fuori. E’ inevitabile che si parli di cinema, della censura e delle storture della giustizia iraniana, come accade negli episodi dell’avvocatessa e del vicino di casa che è stato – come Panahi – in prigione, ma il regista riesce ad alleggerire l’atmosfera attorno all’argomento utilizzando la figura del venditore di film proibiti in Iran (‘sono tutti belli’ dice l’autore a un giovane fan) e, soprattutto, la lingua tagliente della simpaticissima nipotina alla quale è affidato l’elenco delle regole della censura insegnatele a scuola. La ragazzina, difatti, segue un corso di cinematografia e realizza con la macchina fotografica una sorta di film nel film tempestando di domande lo zio sulla settima arte tra un cliente e l’altro: Panahi, con la sua faccia tonda che ricorda un po’ Joe Pesci, riserva a lei risposte misurate che si riflettono nello sguardo bonario per i ‘clienti’ senza scomporsi mai troppo anche negli episodi più tragicomici, come quello del ferito che, pensando di morire, si mette a dettare il proprio testamento ad alta voce oppure quuando due sorelle e il loro preziosissimo pesce rosso divengono vittime dell’inesperienza dell’improvvisato tassista. Il brusco finale riporta lo spettatore alla realtà e al dubbio – comuni ladri o poliziotti alle calcagna? – ma non può far dimenticare che, tra gli altri suoi pregi, questo è in gran parte un film di donne tanto che ai personaggi femminili, a partire dall’insegnante nella prima scena che discute di pena di morte, sono riservate le battute più impegnative e ricche di saggezza nei confronti della vita in un Paese che le discrimina pesantemente. Così, se l’idea e il soggetto non possono certo dirsi nuovi, la difficoltà di realizzazione a cui si combina comunque un tono lieve che evita con cura di piangersi addosso fanno di questo film un’opera non solo significativa, ma anche assai godibile, dotata com’è di una scansione interiore alla quale è piacevole lasciarsi andare: forse il risultato complessivo non è tale da giustificare appieno l’Orso d’oro di Berlino anche al dilà della scelta ‘politica’, però è anche vero che questo è un lavoro politico sebbene realizzato in modo che non se ne senta il peso.
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fabiofeli
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martedì 8 settembre 2015
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fare cinema e indossare una cravatta non è reato
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Nonostante il divieto di girare film, Jafar Panahi manda alla Berlinale Taxi Teheran e vince meritatamente l'orso d'argento. Si arricchisce la collana delle opere del regista iraniano: arrivate in Italia: "il palloncino bianco", "Il cerchio", "Lo specchio", "Oro rosso" e "offside"; storie delicate i primi due, cupi il terzo e il quarto, apparentemente frivolo il quinto, con una ragazza che ama il calcio e non può vedere la partita allo stadio - fatidico spareggio dell'Iran contro l'Irlanda per accedere alla fase finale del campionato del mondo del 2002- perché non è accompagnata da un congiunto di sesso maschile. Le vicende processuali persecutorie vietano a Panahi di filmare. Ma nella epoca attuale ormai si fanno film con tanti strumenti e li si può scaricare in una semplice chiavetta.
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Nonostante il divieto di girare film, Jafar Panahi manda alla Berlinale Taxi Teheran e vince meritatamente l'orso d'argento. Si arricchisce la collana delle opere del regista iraniano: arrivate in Italia: "il palloncino bianco", "Il cerchio", "Lo specchio", "Oro rosso" e "offside"; storie delicate i primi due, cupi il terzo e il quarto, apparentemente frivolo il quinto, con una ragazza che ama il calcio e non può vedere la partita allo stadio - fatidico spareggio dell'Iran contro l'Irlanda per accedere alla fase finale del campionato del mondo del 2002- perché non è accompagnata da un congiunto di sesso maschile. Le vicende processuali persecutorie vietano a Panahi di filmare. Ma nella epoca attuale ormai si fanno film con tanti strumenti e li si può scaricare in una semplice chiavetta. Un divieto stupidamente liberticida, quindi. Come quello che non permette di portare una cravatta. Basta un taxi con tanti personaggi che salgono e scendono per girare un ottimo film con un lungo piano-sequenza. Le chiavi da cercare sono il personaggio della nipotina del regista che legge i divieti integralisti sul quaderno di scuola e la lezione di Panahi allo studente aspirante regista su un buon soggetto, subito confezionato nella pellicola. Praticamente tutti i clienti del taxi trasgrediscono i divieti con azioni normalissime in altri paesi. E si espongono in prima persona tutti gli attori del film. Una menzione particolare va alla nipotina del regista, che ha ritirato il premio a Berlino. La sua vivacità e spontaneità ricorda la protagonista dei primi due film citati. Ma che il film non è un gioco ce lo fa capire la scena finale con la polizia al lavoro per cercare prove di reato. Il film è ironico e divertente. Da non mancare anche se pure questa volta non rappresenterà il cinema iraniano al concorso dei premi Oscar, come è accaduto per "Oro rosso", prescelto e poi ritirato.
FabioFeli
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no_data
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domenica 6 settembre 2015
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pessima sceneggiatura
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Film riservato ad una nicchia molto ristretta di spettatori che già possiedono un buona conoscenza della questione iraniana.
Le vicende personali del regista, la censura, le difficoltà nel poterlo girare ed anche il forte valore simbolico del film non giustificano, a mio modesto parere, una sceneggiatura di bassissima qualità.
La proiezione ad un pubblico non iraniano, e quindi non emotivamente coinvolto, produce solo un gran numero di sbadigli. Il numero di "diserzioni" durante la proiezione è stato molto elevato, e questo già a partire dalla prima mezz'ora.
Insomma il classico film acclamato da critici ed intellettuali da salotto che però non coinvolge minimamente il pubblico.
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Film riservato ad una nicchia molto ristretta di spettatori che già possiedono un buona conoscenza della questione iraniana.
Le vicende personali del regista, la censura, le difficoltà nel poterlo girare ed anche il forte valore simbolico del film non giustificano, a mio modesto parere, una sceneggiatura di bassissima qualità.
La proiezione ad un pubblico non iraniano, e quindi non emotivamente coinvolto, produce solo un gran numero di sbadigli. Il numero di "diserzioni" durante la proiezione è stato molto elevato, e questo già a partire dalla prima mezz'ora.
Insomma il classico film acclamato da critici ed intellettuali da salotto che però non coinvolge minimamente il pubblico. Il motivo è semplice: una pessima sceneggiatura. Non trasmette nulla.
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aristoteles
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sabato 5 settembre 2015
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jafar
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Mi ha ricordato il "tassinaro" di Sordi,sebbene ovviamente i contenuti siano completamente diversi,tuttavia l'idea del taxi che attraversa la citta' per raccontarcene l'essenza rimane simile.
Un plauso al regista e agli attori,che rischiano di proprio, causa assurda incivilta' del governo iraniano.
Solo per questo motivo ognuno di noi dovrebbe promuovere il film.
Comunque ritornando all'operato di Panahi,la regia e' asciutta ma convincente come i temi trattati.
Ci sono pero' troppe pause e c'e' troppa lentezza e talvolta si ha il senso di assistere a un vero e proprio documentario.
Se ci dobbiamo fidare della gente del cinema,come consigliato,ripongo in Panahi massima fiducia.
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finni
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sabato 5 settembre 2015
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un film interessante ma con alcuni difetti.
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Nel mio commemto darò più spazio agli aspetti negativi del film, che a quelli positivi, dato che in troppi si sono già lanciati in assurdi panegirici. Nella prima parte, il film è rapido, scorrevole, accattivante. Si susseguono una serie di personggi interessanti, con personalità spiccate, la cui psicologia è abbastanza definita. Ma in breve tempo, il film comincia a diventare lento e macchinoso, segnato da troppe pause e momenti di sospensione. È evidente che la scelta stilistica del regista, sia azzardata ma particolare, ma forse avrebbe dovuto cercare di rendere il prodotto un po più...commerciale. Infatti a mio avviso, i significati sfuggono, e senza alcune dovute spiegazioni, viene lasciata troppa fantasia nell' intendere al pubblico.
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Nel mio commemto darò più spazio agli aspetti negativi del film, che a quelli positivi, dato che in troppi si sono già lanciati in assurdi panegirici. Nella prima parte, il film è rapido, scorrevole, accattivante. Si susseguono una serie di personggi interessanti, con personalità spiccate, la cui psicologia è abbastanza definita. Ma in breve tempo, il film comincia a diventare lento e macchinoso, segnato da troppe pause e momenti di sospensione. È evidente che la scelta stilistica del regista, sia azzardata ma particolare, ma forse avrebbe dovuto cercare di rendere il prodotto un po più...commerciale. Infatti a mio avviso, i significati sfuggono, e senza alcune dovute spiegazioni, viene lasciata troppa fantasia nell' intendere al pubblico.
Forse tutto questo apprezzamento, deriva dal fatto che il regista è sceso nel proibito producendo questo film, e con lui tutti i suoi attori. Non poteva durare più di quanto è durato.
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vanessa zarastro
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giovedì 3 settembre 2015
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cinema come simbolo di libertà
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Vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo festival di Berlino, "Taxi Teheran" è un film iraniano diretto e interpretato da Jafar Panahi. Questo regista è stato condannato dal suo governo a non poter girare film per vent’anni perché ritenuto colpevole di fare propaganda anti-regime. Ciononostante Panahi riesce a girare in clandestinità. Ne è un esempio questo film in cui lui stesso si finge autista di un taxi collettivo e, fissata una telecamera sul cruscotto, e riprende tutti i personaggi che salgono sulla sua auto, e le loro conversazioni. Idea di per sé non originalissima poiché le confidenze ai tassisti hanno sempre stimolato la fantasia di registi più o meno impegnati politicamente.
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Vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo festival di Berlino, "Taxi Teheran" è un film iraniano diretto e interpretato da Jafar Panahi. Questo regista è stato condannato dal suo governo a non poter girare film per vent’anni perché ritenuto colpevole di fare propaganda anti-regime. Ciononostante Panahi riesce a girare in clandestinità. Ne è un esempio questo film in cui lui stesso si finge autista di un taxi collettivo e, fissata una telecamera sul cruscotto, e riprende tutti i personaggi che salgono sulla sua auto, e le loro conversazioni. Idea di per sé non originalissima poiché le confidenze ai tassisti hanno sempre stimolato la fantasia di registi più o meno impegnati politicamente.
"Taxi Teheran" è un esempio di cinema militante che fa riflettere. Sembra che le persone in taxi affrontino vari temi comi, ad esempio, quelli dei reati e delle loro punizioni con posizioni anche diametralmente opposte. Una maestra elementare, infatti, discute con un giovane sedicente ladro, sull’eccesso della pena di alcuni piccoli furtarelli che lei interpreta più come segno di disperazione che come un vero e proprio reato. Una giovane avvocatessa, poeticamente e simbolicamente rappresentata sempre con un mazzo di rose rosse, difende i diritti delle donne cui è vietato perfino accedere allo stadio sportivo, crimine punibile in Iran con la detenzione! Un piccolo trafficante di DVD mette insieme film non ancora usciti a film non distribuiti in Iran giudicati troppo “occidentali” e democratici. Una donna in lacrime accompagna il marito ferito che nel tragitto vuole filmare il suo testamento. Smatphone, macchina fotografica e telecamera sono oggi dunque tutti mezzi della memoria che captano la realtà e il volere delle persone.
Non è mai chiaro il limite tra finzione e realtà. Il mio dubbio, infatti, è proprio su questo, il film non è uno “specchio segreto” perché c’è un disegno dietro, una costruzione, ma non è neanche sufficientemente chiarificatore perché spiega poco e affronta troppe poche cose, richiudendosi più su simboli di libertà. Alla fine il film risulta interessante ma sicuramente non dei migliori di Jafar Panahi.
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laulilla
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giovedì 3 settembre 2015
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neologismo. esimiare o esimiarsi che verbo è?
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non si esimia? Voce del verbo esimiare o esimiarsi? Chi scrive sa che esistono i vocabolari?
[+] precisazione
(di laulilla)
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flyanto
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mercoledì 2 settembre 2015
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l' ennesima condanna di un paese assurdo
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Finalmente Jafar Panahi, dopo la condanna inflittagli dal proprio paese, l'Iran, a non scrivere e filmare più per almeno venti anni ed un certo periodo di detenzione in carcere, nonchè il divieto più assoluto di lasciare la propria terra, consegna al pubblico l'ultima sua opera cinematografica che si rivela essere ancora una volta un documento estremamente interessante di sua denuncia.
Assuntosi come autista di un taxi lungo le strade di Teheran, Jafar Panahi incontra nelle corse che fa svariati personaggi appartenenti alle più differenti classi sociali. Proprio durante questi tragitti in macchina egli, a loro insaputa, filma i propri clienti registrandone anche i dialoghi da cui si evince piano piano la terribile condizione in cui vive il paese.
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Finalmente Jafar Panahi, dopo la condanna inflittagli dal proprio paese, l'Iran, a non scrivere e filmare più per almeno venti anni ed un certo periodo di detenzione in carcere, nonchè il divieto più assoluto di lasciare la propria terra, consegna al pubblico l'ultima sua opera cinematografica che si rivela essere ancora una volta un documento estremamente interessante di sua denuncia.
Assuntosi come autista di un taxi lungo le strade di Teheran, Jafar Panahi incontra nelle corse che fa svariati personaggi appartenenti alle più differenti classi sociali. Proprio durante questi tragitti in macchina egli, a loro insaputa, filma i propri clienti registrandone anche i dialoghi da cui si evince piano piano la terribile condizione in cui vive il paese. Quello più singolare e diretto ma più esplicativo, e pertanto più interessante, è il dialogo che egli conduce con la propria nipotina di circa 8/10 anni. L'epilogo del film non fa che confermare e deplorare il regime dittatoriale e di estrema chiusura in cui l'Iran è costretto a vivere.
Sebbene "Taxi Teheran" non sia così esplicito rispetto ai suoi films precedenti, Jafar Panahi non si esimia dal presentare e conseguentemente condannare, appunto, l'intero regime che governa il proprio paese, in pratica limitando assurdamente ed all'inverosimile la libertà del suo popolo che non ha nemmeno la possibilità di agire e men che meno di ribellarvisi, se non venire imprigionato ed in taluni casi, venire addirittura condannato a morte.
L' " escamotage" trovato da Panahi di fingersi un autista di un taxi e di fare recitare dei "coraggiosi" attori nei ruoli dei clienti (coraggiosi perchè anche agli attori, come a tutte le persone che si dedicano alle varie manifestazioni artistiche vengono considerate scomode e "pericolose" dal regime iraniano) si rivela essere quanto mai vincente, se non del tutto originale, perchè gli permette di "interrogare" le varie persone cogliendone i pensieri, le opinioni ed i vari stati d'animo. Una particolare sensibilità scaturisce nel corso della conversazione con la nipotina (non si sa se la bimba sia veramente sua nipote) verso cui egli dimostra sincero affetto e particolare comprensione in quanto rappresentante della nuova generazione e dunque del futuro del suo paese. Ma, del resto, una particolare sensibilità nei confronti dei bambini, la generazione futura dell'Iran, appunto, era già apertamente emersa nel suo precedente e poetico "Il Palloncino Bianco".
Insomma, se il regista iraniano non aggiunge nulla di nuovo in particolare a quanto detto anni prima nelle sue opere, questa pellicola risulta in ogni caso essere un documento molto importante di denuncia e di lotta continua per un suo sempre sperabile futuro migliore.
Interessante e giustamente insignito dell'Orso d'Oro all'ultimo Festival del Cinema di Berlino.
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maumauroma
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mercoledì 2 settembre 2015
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viva il cinema,viva la liberta'
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che dire di questo film:semplicemente splendido.uno dei massimi registi contemporanei fotografa la realta'del suo paese attraverso i commenti dei passeggeri che salgono sul suo "finto" taxi da lui stesso guidato attraverso le strade trafficate della sua amata teheran.jafar panahi non puo'girare film in iran ,pena la condanna a 6 anni di prigione,eppure ,armato di 3 piccole telecamerine appoggiate sul cruscotto dell'auto ci offre in ottanta minuti con pochi tratti una rappresentazione profonda di questa grande e sfortunata nazione,dell'ottusita' di un regime chiuso e spietato,dei suoi assurdi divieti e obblighi che potrebbero apparire comici se non fossero drammaticamente veri.
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che dire di questo film:semplicemente splendido.uno dei massimi registi contemporanei fotografa la realta'del suo paese attraverso i commenti dei passeggeri che salgono sul suo "finto" taxi da lui stesso guidato attraverso le strade trafficate della sua amata teheran.jafar panahi non puo'girare film in iran ,pena la condanna a 6 anni di prigione,eppure ,armato di 3 piccole telecamerine appoggiate sul cruscotto dell'auto ci offre in ottanta minuti con pochi tratti una rappresentazione profonda di questa grande e sfortunata nazione,dell'ottusita' di un regime chiuso e spietato,dei suoi assurdi divieti e obblighi che potrebbero apparire comici se non fossero drammaticamente veri.magnifiche le scene con la sua(vera/finta) nipotina ,con il (vero/finto) venditore di dvd.commovente la rosa appoggiata sul cruscotto dalla piu' grande attrice iraniana in omaggio al cinema.inquietante il (vero/finto) finale con gli sgherri dei servizi segreti che tentano di impadronirsi della memory card delle telecamere.meritatissimo orso d'oro a berlino.viva il cinema,viva la liberta'.
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m.barenghi
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mercoledì 2 settembre 2015
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come definirlo???
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Non è un film, piuttosto un documentario. Anzi, uno pseudo-documentario, perchè i personaggi pur traendo spunto dalla realtà sono attori, non persone. Una denuncia accorata e dolorosa della censura talora grottesca sul cinema e sull'espressione del pensiero in genere nell'Iran contemporaneo degli ayatollah. Poveretti!!! Ne nasce un'opera integralmente metalinguistica, lentissima, che si svolge in tempo reale, come vuole ovviamente la percorrenza in taxi -peraltro mal guidato dallo stesso regista- per le strade di una brutta Teheran. I movimenti di macchina si limitano agli spostamenti manuali delle telecamerine presenti nel taxi, o alle soggettive manuali della foto-cinecamera della nipote, peraltro petulante e sostanzialmente antipatica.
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Non è un film, piuttosto un documentario. Anzi, uno pseudo-documentario, perchè i personaggi pur traendo spunto dalla realtà sono attori, non persone. Una denuncia accorata e dolorosa della censura talora grottesca sul cinema e sull'espressione del pensiero in genere nell'Iran contemporaneo degli ayatollah. Poveretti!!! Ne nasce un'opera integralmente metalinguistica, lentissima, che si svolge in tempo reale, come vuole ovviamente la percorrenza in taxi -peraltro mal guidato dallo stesso regista- per le strade di una brutta Teheran. I movimenti di macchina si limitano agli spostamenti manuali delle telecamerine presenti nel taxi, o alle soggettive manuali della foto-cinecamera della nipote, peraltro petulante e sostanzialmente antipatica. Mai quanto la coppia di deliranti anziane col pesciolino, che potrebbero funzionare solo se venissero assunte a perifrasi della superstizione religiosa. Comunque molto noioso e assai poco coinvolgente sul piano emozionale (non su quello intellettuale, ma il CINEMA è un'altra cosa!). L'effetto principale che ottiene questa pellicola, a parte la compassione per questi sventurati eredi di una civiltà plurimillenaria e un tempo luminosissima, è quello di distogliere definitivamente lo spettatore pur ben intenzionato da eventuali propositi di viaggio in questo paese, guidato da una dittatura teocratica e becera.
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