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Sherlock, il mito tra tradizione e modernità

Ne L'abominevole sposa Cumberbatch e Freeman abbandonano pc e sms per indossare i caratteristici abiti vittoriani.
di Pino Farinotti

Benedict Cumberbatch (Benedict Timothy Carlton Cumberbatch) (47 anni) 19 luglio 1976, Londra (Gran Bretagna) - Cancro. Interpreta Sherlock Holmes nel film di Douglas Mackinnon Sherlock - L'abominevole sposa.

martedì 12 gennaio 2016 - Focus

L'ennesimo capitolo, l'ennesima contaminazione dell'opera di Conan Doyle è questo Sherlock: L'abominevole sposa che presenta come modello Benedict Cumberbatch, un tipo forte. Si può partire da lui: nell'era recente si è fatto notare con due ruoli che hanno lasciato il segno: in Il quinto potere dove dava corpo e volto a Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, l'uomo che sconvolse la comunicazione web; e in The Imitation Game nel ruolo di Alan Turing, il matematico che decriptò l'"Enigma", la macchina che conteneva i codici segreti nazisti. A posteriori emerse che Turing aveva abbreviato la guerra di almeno un anno, salvando milioni di persone. Ruoli "informatici" decisivi ed eclatanti dunque. Tutta acqua al mulino della popolarità. Ma c'è molto di più: c'è l'Holmes al quale l'attore ha dato vita nella serie televisiva Sherlock. Una rivisitazione interessante, non c'è dubbio. Ma mi concedo prima una digressione.

Mitologia
Sherlock Holmes fa parte della storica, eroica mitologia inglese, partendo da James Bond e procedendo fra Vittoria e le due Elisabette, Nelson e Wellington, fino ad Artù e Lancillotto e a Robin di Locksley. Eroi, alcuni esistiti altri (forse) no. Il racconto, la filmografia che riguarda i cavalieri della tavola rotonda e Robin Hood è ricchissima, ma quella del detective di Conan Doyle è infinita, e inverosimilmente articolata e fantasiosa. Sherlock cominciò ad essere rappresentato secondo tradizione, cioè secondo i segnali ben conosciuti: la pipa, il cappello, il mantello, il violino eccetera. Si trattava di film di diverse lunghezze, tedeschi, americani, danesi, francesi, naturalmente inglesi. Poi arrivò la serie (sul grande schermo, il piccolo ancora non c'era) con Basil Rathbone, perfetto. Come se Doyle lo avesse davvero conosciuto e si fosse ispirato a lui. La Universal applicò a Rathbone le sue brave contaminazioni, ma sono solo licenze quasi dovute. Holmes-Rathbone nasce nel '39, c'è la guerra, e un modello così forte e popolare non può non esservi applicato. Il contesto serviva all'amministrazione come promemoria politico e bellico. L'indicazione era verso il pericolo nazista: attenzione caro Hitler siamo inglesi, non ce la farai con noi. Siamo tutti "Sherlock Holmes". Le storie finivano con un pronunciamento del detective che cammina, col suo Watson al fianco, nella bruma londinese e parla di libertà e di orgoglio britannico. Solo uno degli episodi, Il mastino di Baskerville aderiva filologicamente, e nei costumi, all'estetica e alla cultura vittoriana. Il "Mastino" era un identificatore inalienabile del modello. Non permetteva nessuna licenza. I film furono 14, capolavori. Poi "licenza" diventa il codice primario delle rappresentazioni di Holmes.

Solo alcuni
Grandi attori sono stati impiegati, da Roger Moore a Christopher Lee, a Peter O'Toole a Charlton Heston, solo ricordandone alcuni. C'è stato il solito tentativo di ribaltamento in Senza indizio, dove l'idiota è Holmes (Michael Caine) e l'intelligente è Watson (Ben Kingsley). Disney si è ispirato a Holmes per Basil l'investigatopo. Anche la fantascienza non ha risparmiato il detective: nella serie Star Trek l'androide Data impersona proprio Sherlock. "Serie Rathbone" dunque come legislatore e primo motore del cinema. Se devo indicare altri momenti apicali estraggo i due titoli di Guy Ritchie, una miniserie se vogliamo. Con Robert Downey jr. che fa Holmes. Nei film di Ritchie trovi tutto a cominciare dalla ricostruzione vittoriana decadente, quella vicina all'Holmes originale: ombre lunghe nella notte londinese, il porto delle nebbie (di Londra non di Brest) i laboratori con spirali di vetro e soluzioni chimiche rudimentali di allora, il popolo dei reietti che si rintana nelle fogne all'alba perché sta per levarsi un'ombra di sole pericoloso. E poi il gotico. E poi... Steven Seagal, Chuck Norris, Michael Craig (sì, loro) e poi la velocità connaturata del karate del kung fu, del boxing, e relativo sapore di mission impossible, e anche di Jack Sparrow, e poi sapore, immancabile, di playstation e di fumetto (Lionel Wigram). Quei film sono ottima evasione. Ottima e furba. Il regista gioca su alcuni codici, certo rivisitandoli, che sono certamente alla Doyle: l'occulto, la magia nera e "pratica" (lo dicono nel film), la fantasy, il mistero, le messe nere, tutti ingredienti potenti di quella categoria di storie. In un mio precedente editoriale avevo attribuito a Conan Doyle questo virgolettato: "... Quel Robert Downey jr., un Holmes che si muove come un campione di arti marziali, si veste da donna - e questo magari a fatica l'ho sopportato - ma vederlo stappare una bottiglia di champagne coi denti è assolutamente inaccettabile".
Un altro lavoro citabile è il recente Mistero del caso irrisolto, almeno per una ragione storica, e anagrafica. Doyle non diede mai notizie esatte sulle date di Holmes. Sono state "dedotte"da altri che vi si applicavano. Hanno calcolato che Holmes, nella sua ultima indagine, L'ultimo saluto, del 1914, avesse sessant'anni. Sarebbe nato nel 1854. È una data legittima. Nel Caso irrisoltoil detective ha dunque 93 anni. Se non fosse morto i conti tornerebbero. Il film è ricordabile anche per una bella estetica inglese, le bianche scogliere di Dover per esempio, e poi per un Holmes fuori dal tempo ma credibile, Ian McKellen.

Prequel
Torniamo così all'Abominevole sposa che presenta un prequel radicato e interessante. Deriva infatti dalla serie televisiva Sherlock citata all'inizio, master del 2010, protagonista Benedict Cumberbatch, appunto. La serie si è imposta, ottimo successo. Il format era lo stesso del "primo motore" degli anni Trenta/Quaranta con Rathbone: Sherlock e Watson (Martin Freeman) operano nella Londra contemporanea. Con tutto ciò che ne consegue, a cominciare dalla tecnologia, che è un elemento decisivo nelle evoluzioni. Una volta non c'era il computer, che ha stravolto tutti i metodi di indagine: ma quali ricerche e sistemi deduttivi, premi dei tasti e ti arriva tutto. Basti pensare al Bond di Goldfinger che aveva in macchina un satellitare rudimentale, che allora significava "fantascienza". Adesso quello strumento, molto più sofisticato, ce l'hanno i ragazzini sulle moto. Holmes/Cumberbatch "tecnologico" è semplicemente un contrappasso temporale naturale, nel senso che l'Holmes originale era un tenace e appassionato ricercatore, sempre pronto a usare nuovi strumenti e nuove invenzioni, come detto sopra.
Nel film, grande schermo, Sherlock: L'abominevole sposa, torna invece all'antico. Artificio omologo opposto ai film con Rathbone, dove l'eccezione temporale, era "Il mastino di Baskerville". Siamo nella Londra vittoriana. La vicenda si innesca da un uomo che vede la moglie vestita da sposa. Solo che la moglie è morta anni prima. Steven Moffat e Mark Gatis, gli autori, hanno costruito una storia in cui entrano occulto, fantasy, e mistero. E poi il "fascinans, il mirum e il tremedum", per dirlo alla Rudolf Otto, imprescindibili elementi dell'"Holmes" originale.
Tutto questo: chissà se sir Conan Doyle l'avrebbe gradito.

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