Il regista Chris Columbus, classe 1958, è cresciuto a Youngstown, Ohio, un tempo tra i principali centri minerari degli States, poi un posto dove, come canta Springsteen, si può solo sprofondare. A meno che non si amino il cinema e i fumetti come Chris, bravo disegnatore che sogna fin da piccolo di lavorare per la Marvel. Il destino, dopo l'università a New York (compagno di stanza di Charlie Kaufman), gli fa incontrare un altro signore che di cinema, comics e cultura pop s'intende un bel po': Joe Dante. «Caro Joe, ho scritto una sceneggiatura su un simpatico mostriciattolo che se lo bagni e gli dai da mangiare dopo mezzanotte sono guai...». È Gremlins (1984). 153 milioni di dollari d'incasso e un produttore esecutivo, tale Steven Spielberg, a domandarsi: «sarà mica il caso di non farselo scappare questo ventiseienne che si chiama come lo scopritore delle Americhe?». Difatti Columbus non scappa (più), e adesso con la sua società di produzione, la 1492 Pictures, è uno degli uomini più influenti di Hollywood. Per dire: quando i ragazzi di The Big Bang Theory festeggiano il Columbus Day, è alla maratona dei suoi film che pensano.

Nel 1985 Spielberg ha un'idea: la storia di un gruppo di ragazzini in cerca di un tesoro non su un'isola sperduta nel mare ma in una cittadina dell'Oregon. Chiede a Columbus di scrivere una sceneggiatura sul tema e il risultato sono I Goonies, "solo" 60 milioni di dollari al botteghino ma un futuro da cult movie per almeno un paio di generazioni. Chris, nelle sue storie, coglie perfettamente il desiderio dei ragazzini provinciali di affrancarsi dalla banalità di una vita in minore, l'utopia fantastica e una fame di avventura universali. Due anni dopo, con l'esordio alla regia Tutto quella notte, il suo immaginario si perfeziona. Tipiche famiglie americane, meglio se di provincia, bambini e adolescenti pronti alla fuga anche solo immaginaria, magari con l'aiuto di icone pop (in questo caso il mitico Thor...), e viaggi dell'eroe (o dell'eroina, come in questo caso). La formula funziona e di lì a poco arrivano i blockbuster. Il 1990 è l'anno di Mamma, ho perso l'aereo, per tanti anni la commedia Usa con il maggiore incasso di tutti i tempi (quasi 480 milioni di dollari, record superato di poco da Una notte da leoni nel 2009).

Tre anni dopo tocca a Mrs. Doubtfire (Mammo per sempre), monumento al protagonista trasformista Robin Williams, costretto a fingersi tata per restare un po' più vicino ai suoi figli allontanati dalle severe regole sull'affido dopo il divorzio. Columbus, che a sorpresa non è autore della sceneggiatura, sceglie il basso profilo registico e il film risulta alla fine una specie di one man show dell'attore. Da lì in poi l'ex wonder boy "cresciuto" con Spielberg e Dante alla scuola di Chuck Jones diventa un "professional" capace di sfornare successi sicuri ma un po' anonimi. Sono studiati a tavolino, e francamente intercambiabili, i suoi Harry Potter (La pietra filosofale, 2001, La camera dei segreti, 2002) e Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo (2010).

Oggi torna dietro la macchina da presa (ma anche alle chine: Columbus, da fumettista, è un fanatico degli storyboard, di cui si occupa personalmente) di Pixels, nelle sale dal 29 luglio, fantacomedy su un'invasione aliena sulla falsariga dei videogame anni 80. In poche parole, Pac-Man vuole divorare la Terra. Anche in questo caso, non solo lo script non è di Columbus, ma la storia si ispira a un cortometraggio omonimo diretto dal francese Patrick Jean.