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Super-Santamaria. Cuore e acciaio va…

È lui e non poteva essere che lui, Lo chiamavano Jeeg Robot, il primo supereroe nazionale col cuore di acciaio e il corpo di Claudio Santamaria. Al cinema dal 25 febbraio.
di Marzia Gandolfi

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Claudio Santamaria (49 anni) 22 luglio 1974, Roma (Italia) - Cancro. Interpreta Enzo nel film di Gabriele Mainetti Lo chiamavano Jeeg Robot.
venerdì 19 febbraio 2016 - Jeeg Robot

C'è un ragazzo che corre laggiù sprofondato nella sua felpa e nella fuga prospettica di una Roma torbida come il Tevere in cui ripara per sfuggire la polizia. Perché Enzo Ceccotti non corre "in aiuto di tutta la gente dell'umanità", non ancora almeno. Ladruncolo asociale che vive di espedienti e mendica na piotta, Enzo ha abbracciato, suo malgrado, il lato oscuro della forza che nei bassifondi romani ha il volto dello Zingaro e la violenza cieca della Camorra. Favola urbana di Gabriele Mainetti, al suo esordio (folgorante), Lo chiamavano Jeeg Robot accumula elementi e combina i generi aggiungendo un ingrediente inatteso: il superpotere. Quello che il suo protagonista acquista tuffandosi nelle acque opache del Tevere, riemergendone 'potenziato'.

Ma Enzo non è ancora un supereroe, per quello serve il riconoscimento e l'investitura che avviene con Alessia, una giovane donna abusata dalla vita e dal padre che crede in Hiroshi Shiba, il ragazzo che può diventare un Jeeg.
Marzia Gandolfi

Un ragazzo che ha il "cuore di acciaio" e il corpo appesantito di venti chili di Claudio Santamaria. È lui, e non poteva essere che lui, il primo supereroe nazionale perché l'attore romano ha sgomberato la pulsione narcisista primaria, che affligge la sua categoria, mettendosi al servizio del (solo) discorso artistico e producendo una performance tutta adesione istintiva che il mestiere non ottunde.


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Claudio Santamaria in una scena del film Lo chiamavano Jeeg Robot.
Claudio Santamaria in una scena del film Lo chiamavano Jeeg Robot.
Claudio Santamaria in una scena del film Lo chiamavano Jeeg Robot.

Abitato dall'enigmaticità dei suoi personaggi e da un'ironia sfigurata dall'amarezza, Claudio Santamaria trova finalmente il ruolo all'altezza. Il lunare stupore, l'incorruttibile charme, la competenza emotiva lo hanno reso l'attore più durevolmente grande del cinema italiano, 'spendibile' anche sul palcoscenico internazionale, dove matura l'inclinazione alla fuga e la prestazione in movimento (Casino Royale). Sempre un passo avanti al Bond di Daniel Craig, l'attore esplora una voracità fisica in cui la bellezza del volto diventa secondaria senza essere trascurata.

Casino Royale dimostra e anticipa cosa può fare Santamaria col resto del corpo che adesso è addirittura in grado di saltare-cadere-rimbalzare-spappolarsi-ricostruirsi come fanno gli eroi dei cartoon.
Marzia Gandolfi

Prima rigido e pesante, impacciato da un corpo-scafandro, condannato a ripetere in eterno se stesso davanti a un porno o lungo deambulazioni notturne, acquisisce l'invulnerabilità nel Tevere e dentro un 'romanzo grafico' che permette al personaggio di fuggire l'ordinario e guadagnare l'avventura straordinaria. Santamaria esemplifica allora la visione idealizzata e iperbolica del corpo umano e insieme una figura tragica dal potenziale infinito, esposto a declinazioni drammatiche, alla precarietà, al mutamento, alla possibilità della morte.


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Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli in una scena del film Lo chiamavano Jeeg Robot.
Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli in una scena del film Lo chiamavano Jeeg Robot.
Claudio Santamaria in una scena del film Lo chiamavano Jeeg Robot.

Dentro una delle sequenze più belle, che proietta sulle pareti di un appartamento sordido il celebre anime giapponese, Mainetti sollecita la rottura di un mutismo ostinato, preceduto da una fase di concentrazione. Qualcosa di tenero e sincero, che ha il volto di Ilenia Pastorelli, incrina il disincanto del protagonista fino a fargli credere che tutto quel romanticismo animato non sia poi una trappola menzognera. Momento epifanico in cui Enzo 'vede' Alessia e capisce chi è, osservando smarrito e per la prima volta quel se stesso raddoppiato che (s)corre sul muro e la sigla di "Jeeg Robot". Da qui comincia la sua rigenerazione. Ed è la rigenerazione a fare del film anche una commedia. Una commedia romantica in modo quasi classico.

Amico fragile, 'dandi', boss, serial killer, cantautore del nonsense, voce graffiata, coniuge ossessionato, più spesso abbandonato, l'attore ha dimestichezza col 'fumetto' e la sua narrazione esplosa che ancora una volta riconduce a quella lineare e consequenziale del cinema.
Marzia Gandolfi

Pentothal per Renato De Maria (Paz!), dimostra una vocazione naturale per i personaggi abulici, apatici e depressi chiusi in una stanza a ingollare crema alla vaniglia o a galleggiare tra visioni lisergiche e sogni romantici. E in quello spazio, sempre a mezza luce eppure così definito di oggetti e dettagli rivelatori, i suoi protagonisti si dispongono al gioco, alla crescita come alla deriva. Non intervenire, aspettare, lasciare che ogni impressione o sentimento si compia dentro di loro nel buio, è il principio che muove i personaggi di Claudio Santamaria, che conosce l'arte del segno, il linguaggio intimo degli artisti, innescato dietro il volto fisso e improvvisamente acceso da uno sguardo ardente che chiede il contatto con l'altro (personaggio) e con noi (spettatori).


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