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I 50 anni di Cent'anni di Solitudine

Il romanzo del secolo di Gabriel García Márquez è stato sempre ignorato dal cinema, come se l'autore avesse voluto preservare il suo capolavoro.
di Pino Farinotti

Gabriel García Márquez 6 marzo 1927, Aracataca (Colombia) - 17 Aprile 2014, Città del Messico (Messico).
martedì 6 giugno 2017 - Focus

"Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre lo llevó a conocer el hielo.." Macondo era entonces una aldea de veinte casas de barro y cañabrava construidas a la orilla de un río de aguas diáfanas que se precipitaban por un lecho de piedras pulidas, blancas y enormes como huevos prehistóricos. El mundo era tan reciente, que muchas cosas carecían de nombre, y para mencionarlas había que señalarlas con el dedo." 

Un assaggio, per la musica, per il suono, in lingua spagnola di uno degli incipit più nobili della letteratura del novecento. Eccolo tradotto: "Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito".

Trattasi di Cien años de soledad, Cent'anni di solitudine, romanzo del colombiano Gabriel Garcia Marquez (1927-2014), che si presentò al mondo il 6 giugno del 1967.
Pino Farinotti

L'editoriale parte da un paradosso curioso, magari incomprensibile: il romanzo non è diventato un film. Quasi un unicum, che fa il paio con un altro "titolo del secolo", Il giovane Holden di Salinger. Una ragione può esserci, assolutamente ideale, è come se Garcia Marquez e Salinger volessero preservare le loro opere: letteratura pura, non contaminata dal cinema. Una compensazione può essere considerato il documentario Gabo, su Marquez, dove naturalmente il co-protagonista non può che essere il romanzo.

Quando uscì "Cent'anni" divenne una sorta di big bang della letteratura sudamericana e si pose come un precedente dal quale non si è più potuto prescindere. Condizionando, persino sorpassando, i codici delle grandi letterature occidentali. Allora lo leggemmo tutti, studenti, borghesia, intellighenzia, antagonisti. E non era casuale quel 1967, l'anno degli studenti di Berkeley, che anticiparono i movimenti successivi della Sorbona e della Statale di Milano. "Cent'anni" "calava" dunque su scenari vasti e ardenti, e fu la sua fortuna, se è vera la didascalia corrente in quell'epoca, accreditata da tanta gente, e da molti specialisti: "Garcia era lo scrittore più importante del mondo, così come "Cent'anni" era il libro più importante."


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Un'immagine dal film Gabo.
Lo scrittore Gabriel Garcia Marquez.
Un'immagine dal film Gabo.

Il suggello che accreditava e nobilitava Marquez in assoluto, fu nel 1982 quando gli venne assegnato il Premio Nobel. L'indovino Melquiades racconta quello che sarà il destino della famiglia Buendìa e della città di Macondo, fondata dal capostipite José Arcadio e dalla moglie Ursula. Gli esempi e le guerre, le superstizioni e le magie, sono di infinita fantasia.

Con una metafora centrale, quella del colonnello Aureliano, che combatte trentadue guerre civili e le perde tutte. Quella famiglia è semplicemente la rappresentazione dell'anima dell'America latina, che non può che essere tragica e mai determinata da volontà e impegno. Laggiù nessuno è mai padrone del proprio destino.
Pino Farinotti

Gabo di Justin Webster, racconta la vicenda umana e professionale dello scrittore. Lo ricordano il biografo, il politico, l'amante, gli amici. Emergono subito radice e destino: gran parte della materia di "Cent'anni" e della vita di Gabriel viene dai nonni materni. Anche il racconto della vita privata è il racconto del Sudamerica. Certo sono terre propizie alla scrittura e al dolore relativo che ne deriva. Sono i paesi delle rivoluzioni, delle dittature e delle guerre civili. I paesi di Castro, Guevara e Allende. Tutte ispirazioni irresistibili per un artista che, peraltro, c'era in mezzo. E non è un caso che un altro grande sudamericano, Neruda, anche lui "in mezzo" fosse così politicamente appassionato e attivo.

Marquez non solo scriveva, ma frequentava i Paesi, incontrava i capi, che lo ascoltavano, a volte gli davano retta. E' nota la sua amicizia con Fidel Castro. Nella dialettica dopo la morte del dittatore cubano, se Gabriel fosse stato vivo lo avrebbe difeso a oltranza. Anche se poi era il primo a condannare le prigioni, le torture eccetera. Bill Clinton in Gabo parla di Marquez con la competenza di un critico, soprattutto rileva come lui, presidente, abbia dallo scrittore molto imparato sugli esseri umani, e non solo. Arriva a dichiarare: " se fosse dipeso solo da me avrei riallacciato i rapporti con Cuba e tolto l'embargo". Gabo si chiude con un pensiero sulla morte: "Non mi piace, è l'unica volta che un essere umano non ha la possibilità di scegliere, di opporsi, deve solo subire. No, proprio non mi piace."


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