astromelia
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venerdì 17 novembre 2017
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impeccabile
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sopratutto la delicatezza insita nella tragedia in questo film che stupisce e affascina,e che abbraccia la vita,(e la morte)magnifico ed eloquente,meritevole di un'oscar,personalmente lo ritengo perfetto,per me nulla pecca in difetto,4 stelle e mezzo
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lbavassano
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martedì 10 ottobre 2017
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meglio la tenebra
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Dopo una prima parte piuttosto incerta, in cui si fatica a comprendere la direzione narrativa, i personaggi risultano un po' troppo caricaturali e l'intreccio fra storia pubblica e privata pare una mera giustapposizione meccanica, al pari del romanzo di Amos Oz da cui è stato tratto ("Una storia d'amore e di tenebra") il film cresce e si approfondisce a dismisura nella seconda, quando affronta la "tenebra". Ed è tenebra autentica, anche e forse soprattutto grazie all'interpretazione di Natalie Portman, ma anche all'uso suggestivo della colonna sonora. Meno forte, a mio parere, dal punto di vista registico-visivo il versante onirico rispetto a quello realistico, laddove la biblioteca paterna, ed ancor più i muri di Gerusalemme, rendono appieno il peso oppressivo di una storia millenaria, coniugando al meglio concretezza e metafora.
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Dopo una prima parte piuttosto incerta, in cui si fatica a comprendere la direzione narrativa, i personaggi risultano un po' troppo caricaturali e l'intreccio fra storia pubblica e privata pare una mera giustapposizione meccanica, al pari del romanzo di Amos Oz da cui è stato tratto ("Una storia d'amore e di tenebra") il film cresce e si approfondisce a dismisura nella seconda, quando affronta la "tenebra". Ed è tenebra autentica, anche e forse soprattutto grazie all'interpretazione di Natalie Portman, ma anche all'uso suggestivo della colonna sonora. Meno forte, a mio parere, dal punto di vista registico-visivo il versante onirico rispetto a quello realistico, laddove la biblioteca paterna, ed ancor più i muri di Gerusalemme, rendono appieno il peso oppressivo di una storia millenaria, coniugando al meglio concretezza e metafora. (Orrendo, a prescindere, il titolo italiano).
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siebenzwerg
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giovedì 15 giugno 2017
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il racconto dell'indicibile sogno deluso
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Bellissima interpretazione e soprattutto regia della Portman, delicata e misurata, anzi calibrata sulla corrispondenza tra personale e politico del "contro-esodo" dall'Olocausto in Terra Santa, con le illusioni, le disillusioni, le nostalgie e i sensi di colpa degli scampati, mai però esplicitamente dichiarati. In particolare la tormentata figura emblematica della madre di Amos Oz, per la quale la perdita della bellezza che caratterizzava la sua vita precedente al nazismo resta una ferita incurabile e quasi indicibile. Il montaggio è potente con ritmi e rallentamenti perfetti, la fotografia è magistrale nella sua varietà espressiva. Della recitazione non c'è neanche bisogno di parlarne (in particolare ovviamente Nathalie Portman), di livello altissimo.
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Bellissima interpretazione e soprattutto regia della Portman, delicata e misurata, anzi calibrata sulla corrispondenza tra personale e politico del "contro-esodo" dall'Olocausto in Terra Santa, con le illusioni, le disillusioni, le nostalgie e i sensi di colpa degli scampati, mai però esplicitamente dichiarati. In particolare la tormentata figura emblematica della madre di Amos Oz, per la quale la perdita della bellezza che caratterizzava la sua vita precedente al nazismo resta una ferita incurabile e quasi indicibile. Il montaggio è potente con ritmi e rallentamenti perfetti, la fotografia è magistrale nella sua varietà espressiva. Della recitazione non c'è neanche bisogno di parlarne (in particolare ovviamente Nathalie Portman), di livello altissimo. Una cosa particolarmente notevole è l'uso della voce fuori campo del narratore anziano, che è lo stesso protagonista bambino nelle immagini. Normalmente trovo che l'uso della voce fuori campo sia una dichiarazione di debolezza e incapacità registica di rappresentare in altro modo ciò che è detto. Qui però è diverso: i commenti fuori campo sono molto lirici più che descrittivi e soprattutto accompagnati da immagini possenti che bilanciano (anzi quasi a mettere a volte in secondo piano) l'invadenza della voce narrante; un uso quindi molto intelligente ede fficace della voce fuori campo. Nessun cedimento al patetico eppure arrivano immagini emozionanti e penetranti di amore e di dolore.
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samanta
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sabato 10 giugno 2017
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sognare è anche morire
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Il film è tratto da romanzo autobiografico del famoso scrittore israeliano Amos Moz "Una storia di amore e di tenebre" libro che non ho letto, ma che a parere dei competenti è stato ampiamnete ridotto nella versione cinematografica. Natalie Portman è la regista al suo primo lugometraggio, l'attrice oltre ad interpretare la protagonista, ha scritto la sceneggiatura (oltre ad essere anche uno dei produttori). La trama: il film è ambientato a Gerusalemme nel periodo 1945-1948 e narra le vicende della famiglia ebrea Klausner composta dalla madre Fania (Natalie Portman), dal marito Ariel (Gilad Kahana) e dal figlio di 10 anni Amos, ed emigrata in Palestina con tutti i parenti (genitori, sorelle, cugini) dalla Polonia prima dello scoppio della II seconda guerra mondiale.
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Il film è tratto da romanzo autobiografico del famoso scrittore israeliano Amos Moz "Una storia di amore e di tenebre" libro che non ho letto, ma che a parere dei competenti è stato ampiamnete ridotto nella versione cinematografica. Natalie Portman è la regista al suo primo lugometraggio, l'attrice oltre ad interpretare la protagonista, ha scritto la sceneggiatura (oltre ad essere anche uno dei produttori). La trama: il film è ambientato a Gerusalemme nel periodo 1945-1948 e narra le vicende della famiglia ebrea Klausner composta dalla madre Fania (Natalie Portman), dal marito Ariel (Gilad Kahana) e dal figlio di 10 anni Amos, ed emigrata in Palestina con tutti i parenti (genitori, sorelle, cugini) dalla Polonia prima dello scoppio della II seconda guerra mondiale. La madre cade in una depressione sempre più acuta non sopportando l'ambiente ristretto in cui vive, malgrado abbia un marito amorevole e di buon carattere e l'ottimo rapporto con il figlio la malattia la condurrà ad un tragico epilogo. Il film è centrato sul rapporto stretto della madre con il figlio Amos a cui racconta delle storie (direi quasi incubi) ricavati dai suoi sogni o da flashback della sua vita passata. Il film a mio avviso è deludente, ha una trama sfilacciata con dialoghi spesso banali o noiosi, e con il continuo intervento della voce di Amos vecchio che ha lo scopo di chiarire i punti oscuri della vicenda. La regia si direbbe è sfuggita di mano alla regista e sembra l'applicazione del principio "volere e non potere" e certamente non è aiutata da una sceneggiatura (anch'essa della Portman) carente, anche la fotografia assai "sgranata" è mediocre come la recitazione.Infatti la Portman che è una buona attrice (ricordiamo l'Oscar per il "cigno nero") non sfugge alla mediocrità generale delle interpretazioni, da cui si salva il figlio Amos ((Amir Tessler) che pur essendo assai giovane si esprime con una recitazione convincente. Per concludere la Portman non è Clint Eastwood o Mel Gibson e forse sarebbe bene ripensasse a non ripetere altre regie ma a limitarsi a quello che sa fare e cioè l'attrice. Il film è stato un flop commerciale negli USA ove ha incassato meno di 600.000 $ a fronte di una spesa di 4 milioni. Il film termina con una frase della madre ricordata dal figlio "ogni sogno realizzato è deludente" che direi descrive bene il tentativo della Portman come regista.
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flyanto
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venerdì 9 giugno 2017
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un profondo ed amorevole rapporto tra una madre e
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Tratto dal romanzo di Amos Oz "Un Racconto di Amore e Tenebra", "Sognare é Vivere" è il film in cui Natalie Portman, qui in veste di regista oltre che di interprete, presenta l'infanzia dello scrittore ed il suo rapporto con la madre. Un rapporto, come si evince dalle scene e dal libro stesso, molto profondo con la genitrice che, donna molto bella ed intelligente e piena di fantasia, pur morendo anzitempo all'età di 38 anni per depressione, influenzò notevolmente l'Amos bambino contribuendo a fargli seguire e coltivare la sua già spiccata dote di scrittore.
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Tratto dal romanzo di Amos Oz "Un Racconto di Amore e Tenebra", "Sognare é Vivere" è il film in cui Natalie Portman, qui in veste di regista oltre che di interprete, presenta l'infanzia dello scrittore ed il suo rapporto con la madre. Un rapporto, come si evince dalle scene e dal libro stesso, molto profondo con la genitrice che, donna molto bella ed intelligente e piena di fantasia, pur morendo anzitempo all'età di 38 anni per depressione, influenzò notevolmente l'Amos bambino contribuendo a fargli seguire e coltivare la sua già spiccata dote di scrittore.
Il ritratto che la Portman presenta della donna viene molto ben rappresentato attraverso note dolenti e malinconiche che ne riflettono lo stato d'animo triste e soprattutto deluso dopo che, nata ricca e in un felice ambiente familiare, le brutture del secondo conflitto mondiale, la conseguente povertà, l' abbandono della Polonia dove ella era nata verso Gerusalemme, le problematiche ed i pericoli sorti in seguito alla nascita dello Stato d'Israele, le hanno minato profondamente la psiche e l'entusiasmo di vivere, rendendola vulnerabile e protesa direttamente verso la morte.
Natalie Portman, qui alla sua prima prova registica, riesce appieno a rendere l'idea della situazione e soprattutto della condizione psicologica di questo particolare personaggio femminile e del suo rapporto amorevole col figlio Amos e pertanto, si può dire che il film risulta riuscito in pieno, grazie ad un andamento dai toni sommessi e dolcemente tristi che ben si accordano a tutta l'atmosfera i generale.
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ashtray_bliss
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sabato 15 aprile 2017
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ritorno alle origini.
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Discreto tentativo, affascinante ma non pienamente coinvolgente ed emotivamente toccante, quello di Natalie Portman che ritorna alle sue origini, in terra e lingua ebraica per trasportare sullo schermo uno dei maggiori successi letterari di sempre, fuori e dentro Israele; le memorie di Amos Oz intitolate appunto A Tale of Love and Darkness. Primo debutto alla regia per l'attrice premio Oscar che ha insistito affinchè la produzione del film coinvolgesse il suo paese d'origine e affinchè lei stessa potesse interpretare la parte principale parlando in ebraico. Una mossa coraggiosa quanto azzardata (almeno per il pubblico mainstream) che tuttavia riafferma l'appartenenza dell'autrice ad una specifica identità culturale, sociale e storica.
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Discreto tentativo, affascinante ma non pienamente coinvolgente ed emotivamente toccante, quello di Natalie Portman che ritorna alle sue origini, in terra e lingua ebraica per trasportare sullo schermo uno dei maggiori successi letterari di sempre, fuori e dentro Israele; le memorie di Amos Oz intitolate appunto A Tale of Love and Darkness. Primo debutto alla regia per l'attrice premio Oscar che ha insistito affinchè la produzione del film coinvolgesse il suo paese d'origine e affinchè lei stessa potesse interpretare la parte principale parlando in ebraico. Una mossa coraggiosa quanto azzardata (almeno per il pubblico mainstream) che tuttavia riafferma l'appartenenza dell'autrice ad una specifica identità culturale, sociale e storica.
Il film dunque, come l'omonimo libro, ripercorre l'infanzia dell'autore Amos Oz (quest'ultimo uno pseudonimo scelto dallo scrittore) durante gli anni d'infanzia vissuti in una Gerusalemme infranta e instabile, dapprima presieduta dagli inglesi, poi fieramente vincitrice dell'indipendenza e nuovamentes convolta dalla guerra civile e dai crescenti conflitti con i Palestinesi.
Il racconto della Portman regista si concentra volutamente sulla figura della bella ed enigmatica Fania, la madre amorevole ma fragile del piccolo Amos, ma racconta anche in modo impeccabile delle condizioni famigliari nelle quali è cresciuto il bambino. Una cosa che colpisce molto positivamente del film è il risalto che viene dato al mosaico linguistico vigente nella maggior parte delle famiglie ebree emigrate in Palestina prima e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Nella stessa famiglia di Oz la madre ha come prima lingua il polacco e il padre il lituano, provenendo entrambi da paesi dell'est europeo. Eppure in casa entrambi parlano ebraico al figlio mentre sono fluenti in una dozzina di altre lingue tra cui l'arabo e l'inglese. Il carattere culturale della famiglia viene ben descritto e si nota come il piccolo cresca introverso ma con una spiccata passione per i libri, i quali abbondano in casa, e come sia affascinato dalle conversazioni a carattere letterario e filosofico dei genitori e dei loro amici.
La parte però, più debole del film è proprio quella che riguarda il personaggio intrigante e cupo di Fania, donna audace e coraggiosa che si ammala di depressione e si spinge al suicidio all'età di 38 anni a causa delle troppe delusioni e degli stess subiti. Natalie Portman per rappresentare al meglio la psicologia fragile della donna si avvale dei una tecnica narrativa costituita da continui flashback nel passato della stessa, dall'infanzia all'età adulta, mescolandoli con sequenze oniriche e surreali che rappresentano le frequenti storie che Fania racconta al figlio, e che rappresentano per lei una valvola di sfogo dall'asfissiante realtà quotidiana. Tali storie mescolano elementi di fantasia pura ad eventi del suo passato e avranno un profondo impatto sul figlio pre-adolescente influenzandolo a diventare poi uno scrittore.
Sfortunatamente tale tecnica, benchè interessante, viene sviluppata in modo piuttosto confusionario e sconclusionato rendendo talvolta difficile seguire la storia, mentre le sequenze non confluiscono in modo omogeneo e fluido l'una nell'altra, alternando i diversi livelli temporali, e dando l'impressione di essere il prodotto d'un montaggio frammentato e frammentario.
Apprezzabile invece l'atmosfera poetica e nostalgica che permea la pellicola dove la Portman si dimostra in grado di raccontare una storia colma di dolore e riguardante una condizione estremamente complicata, debilitante e devastante (la depressione) con grazia e delicatezza. Lei stessa è molto intensa, come sempre, nel ruolo principale mentre convincenti risultano anche gli attori secondari. Nota di merito senz'altro per il bimbo, attraverso il quale si ricostruiscono i pezzi del puzzle della sua infanzia felice, all'insegna della cultura e dell'amore per i libri, ma anche sconvolta dalla morte prematura della madre affetta da una grave forma di depressione.
Molto bella la fotografia che alterna colori vividi e brillanti a quelli cupi e nostalgici proprio per evidenziare il contrasto psicologico ed emotivo al quale vanno incontro progressivamente i suoi protagonisti.
In definitiva la Portman dà prova di essere un'ottima attrice e una abile regista in grado di mettere in atto la non facile trasposizione di uno dei libri più venduti e amati di Amos Oz. Forse scegliendo uno stile di narrazione più lineare e includendo maggiormente nel lungometraggio la minoranza palestinese sarebbe stato un ottimo e morabile risultato. Il film è comunque estremamente gradevole, godibile, delicato e poetico e merita assolutamente di essere scoperto e visionato. 3/5.
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