Tra le piccole perversioni degli onnivori di cinema - cioè coloro che non saltano nessun film perché in ciascuno c'è sempre un pezzo di mondo da scoprire, qualsiasi qualità possegga - c'è l'affetto verso attori in disarmo.

Prendiamo Hugh Grant e il suo nuovo Professore per amore, diretto dal fido Marc Lawrence. Si tratta di una commedia romantica decisamente sopra la media, dove lo spunto principale sta nel fatto che il protagonista è uno sceneggiatore in crisi, finito a insegnare presso un college di provincia. Se è vero che prevedibilità del riscatto e routine degli snodi di trama risultano evidenti a chiunque mastichi almeno un po' della commedia di provincia (quella in cui un metropolitano, magari originario del luogo, si misura con le piccole ma sane ambizioni di un microcosmo), la qualità di scrittura e la scioltezza della struttura "meta-cinematografica" aiutano a goderselo senza sensi di colpa.
Ma non è questo il tema. Il tema è Hugh Grant (e, in misura minore, Marisa Tomei). Ormai lontanissimo dai successi degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, Grant è precipitato in un buco nero. Nessun ruolo è sembrato in grado di accompagnarlo oltre i 50 anni, compiuti nel 2010, una volta sparita l'aria british da eterno ragazzo e il tocco irresistibile del suo essere ironicamente fuori posto. Film come Operazione U.N.C.L.E. cominciano a incastonargli ruoli secondari plastici e pop, eppure Professore per amore potrebbe tranquillamente essere un film della sua golden age - simile per certi versi a Scrivimi una canzone - se non fosse condannato all'anonimato che dura dalla fine del suo statuto di star.

Artisticamente parlando, il cinema è crudele. Il commento di uno spettatore - carpito in sala - è stato "Oddio, gli è esplosa la faccia", riferita al volto al tempo stesso riconoscibile e vistosamente imbolsito di Grant. La sceneggiatura prova a posizionare il suo personaggio in una zona adatta alla sua età (un divorzio, un figlio diciottenne, un lontano passato di successi), ma poi la rom-com lo pretende rubacuori sia di svenevoli studentesse sia di una collega coetanea più indipendente della media.
Nelle rughe del sorriso di Grant, nella fatica persino fisica a camminare e gesticolare come venti anni fa, nei vestiti inadatti alla sua anagrafe, nello stridere del suo risveglio a letto con una teen ager, c'è tutta la "verità" che ancora il cinema - in epoca digitale e nell'apparente era del trionfo del falso - continua invece a riservare. C'è da dire che Hugh Grant è sempre stato un tipo acuto e dotato di grande humour (come quando affermò, a proposito dei suoi ruoli monocordi, "Che volete che ci faccia? Potreste immaginarmi in un film di Lars von Trier?"). Dunque abbiamo il sospetto che sia perfettamente consapevole di questa situazione. Detto questo, cinefilia è anche accompagnare nei film minori e nella produzione di pellicole "al tramonto" attori che un tempo furono certezze al botteghino e che ora richiamano solamente i fedelissimi e appunto gli onnivori cultori della materia.

Accennavamo a Marisa Tomei, attrice tra le più sensualmente autentiche del cinema americano, lei invece mai davvero assurta a star ma capace di attraversare una filmografia di qualità con figure di donna indipendente e intrigante. Anche il suo volto non nasconde l'appesantimento, anche il suo sorriso sembra meno luminoso di un tempo, eppure tra lei e le magre, affilate, "strabelle" perfettine del college di Professore per amore non c'è gara nemmeno per un minuto.