felix silvestri
|
venerdì 25 ottobre 2013
|
zagor, uno splendido cinquantenne
|
|
|
|
Qualcuno ha detto che l’infanzia è l’unico luogo che non riusciamo mai ad abbandonare. Forse la pensa così anche Riccardo Jacopino, regista del documentario Noi Zagor, che celebra i cinquanta anni dello “Spirito con la scure” con una minuziosa indagine sulle origini, sul periodo aureo e sull’attuale splendida maturità del fumetto ideato da Guido Nolitta e disegnato da Gallieno Ferri. Proprio da Ferri, ottuagenario che vive in nel suo buon ritiro ligure, comincia il racconto: la conquista di una fisionomia sia grafica che psicologica, l’evoluzione di un personaggio che è meno piatto di altri eroi della Bonelli (sarebbe troppo definirlo “eroe problematico”, secondo la celebre definizione di Lukàcs?); l’arrivo di Cico, ‘spalla’ comica, ‘doppio’, complemento indissolubile come Leporello per Don Giovanni, Sancio Panza per Don Chisciotte, Ollio per Stanlio etc.
[+]
Qualcuno ha detto che l’infanzia è l’unico luogo che non riusciamo mai ad abbandonare. Forse la pensa così anche Riccardo Jacopino, regista del documentario Noi Zagor, che celebra i cinquanta anni dello “Spirito con la scure” con una minuziosa indagine sulle origini, sul periodo aureo e sull’attuale splendida maturità del fumetto ideato da Guido Nolitta e disegnato da Gallieno Ferri. Proprio da Ferri, ottuagenario che vive in nel suo buon ritiro ligure, comincia il racconto: la conquista di una fisionomia sia grafica che psicologica, l’evoluzione di un personaggio che è meno piatto di altri eroi della Bonelli (sarebbe troppo definirlo “eroe problematico”, secondo la celebre definizione di Lukàcs?); l’arrivo di Cico, ‘spalla’ comica, ‘doppio’, complemento indissolubile come Leporello per Don Giovanni, Sancio Panza per Don Chisciotte, Ollio per Stanlio etc.; e quindi il successo italiano e internazionale in paesi sorprendenti (vedi il telefilm turco degli anni settanta); infine la creazione di una factory organizzata con ritmi produttivi quasi fordisti, ma dove tutti, disegnatori e sceneggiatori, sembrano accomunati dalla consapevolezza di aver trovato nel lavoro l’appagamento di un sogno infantile: vivere per sempre dentro Darkwood, ad onta dei capelli grigi e dei figli grandi, ma non più come lettori incantati, bensì come creatori di incanti per i lettori di oggi. Da questo punto di vista la sequenza più emozionante del film è il ritorno di Moreno Burattini, erede del mitico Bonelli-Nolitta, nei boschi della natia Gavinana, dove da piccolo si rifugiava a leggere gli adorati ‘giornalini’, prima di scambiarli o giocarseli con i compagni: nelle immagini (quasi alla Mallick) di Jacopino (e negli occhi del piccolo Burattini) i faggi e i castagni della montagna pistoiese sembrano trasformarsi nella prodigiosa e disinvolta vegetazione darkwoodiana, moderna riproposizione della selva nella quale si perdevano i cavalieri erranti ariosteschi, luogo eternamente disponibile a ogni avventura.
E come capita ai grandi fenomeni popolari, Zagor è interclassista e scavalca le generazioni e quindi può mettere d’accordo un diciassettenne e un ultra cinquantenne, un operaio e un filosofo della scienza (si veda la testimonianza del devotissimo zagoriano prof. Giulio Giorrello)
I pochi fortunati che abbiano visto 40%, il precedente lungometraggio di Jacopino, una commedia corale abientata a Torino e recitata benissimo da attori non professionisti, non faticheranno a trovare un filo rosso tra l’esordio e l’opera seconda: in entrambi emerge l’interesse, la curiosità dell’autore per delle comunità ‘marginali’ (una cooperativa sociale, una casa editrice di fumetti), per individui capaci di inseguire anche tra molte contraddizioni un sogno collettivo, un’idea di positiva di socialità, fuori dalla monocultura narcisistica dei nostri tempi, a cui spesso pare non ci sia verso di sfuggire. Inoltre c’è l’amore per il cinema in tutte le sue declinazioni, incluse quelle minori (i b-movies, di cui Zagor sembra essere una sorta di catalogo ragionato, le commedie brillanti, il noir); infine la musica, che scandisce molto modernamente (ma senza essere invasiva e petulante) il ritmo dei due film, e in particolare in questo Noi, Zagor si avvale di un brano del cantautore Graziano Romani, nei cui echi spreengstiniani Darkwood si avvicina curiosamente al Nebraska.
[-]
[+] grazie
(di ricca62)
[ - ] grazie
[+] complimenti, ottima recensione!
(di antonio montefalcone)
[ - ] complimenti, ottima recensione!
|
|
[+] lascia un commento a felix silvestri »
[ - ] lascia un commento a felix silvestri »
|
|
d'accordo? |
|
eugenio
|
martedì 5 novembre 2013
|
un eroe sempreverde
|
|
|
|
In una Milano squassata da una pioggia battente e fitta quasi torrenziale, quella che i metereologici sono soliti definire clima “bomba d’acqua”, si è svolta nell’atmosfera intima e quasi perduta del Cinema Palestrina di Milano (zona piazzale Loreto) rigorosamente singola sala, il docu-film dedicato allo spirito con la scure, il personaggio inventato dall’estro di Nolitta e dalla mano di Ferri nel lontano 1961.
Grande è stata la partecipazione del pubblico come era facile immaginare data anche la forza del fumetto che negli ultimi tempi sta andando controtendenza rimanendo un buon caposaldo della fornace Bonelli pur con la crisi imperante della carta stampata che morde il freno oggi più che mai.
[+]
In una Milano squassata da una pioggia battente e fitta quasi torrenziale, quella che i metereologici sono soliti definire clima “bomba d’acqua”, si è svolta nell’atmosfera intima e quasi perduta del Cinema Palestrina di Milano (zona piazzale Loreto) rigorosamente singola sala, il docu-film dedicato allo spirito con la scure, il personaggio inventato dall’estro di Nolitta e dalla mano di Ferri nel lontano 1961.
Grande è stata la partecipazione del pubblico come era facile immaginare data anche la forza del fumetto che negli ultimi tempi sta andando controtendenza rimanendo un buon caposaldo della fornace Bonelli pur con la crisi imperante della carta stampata che morde il freno oggi più che mai.
La passione sembrava il comune denominatore in ogni persona che era accorsa a vedere il film: dai classici nerd , ai partecipanti del forum dello Spirito con la scure- Ramath- in casacca rossa con lo stemma al centro dell’aquila simbolo di Zagor, ai bambini che accompagnavano il padre (non viceversa come avviene normalmente) fan “per osmosi” del fumetto e che sfruttavano l’occasione per porre domande a Moreno Burattini, redattore e sceneggiatore principale della serie e Roberto Piere, grafico della Sergio Bonelli Editore.
Il titolo paradigmatico è stato il miglior modo per definire la serata: corale,simpatica e all’insegna del divertissment. Noi Zagor, infatti, è un film che unisce le emozioni e la passione che lo spirito con la scure ha esercitato nei bambini di allora (che scambiavano come ricorda Marco Laurenti le strisce per i cantuccini inconsci di aver dilapidato un patrimonio oggi) ora divenuti autori e disegnatori costruttori di quegli stessi sogni che loro stessi alimentavano in passato verso nuovi autori in un moto perpetuo che è quello della fantasia stessa.
Ovvero inimmaginabile ed emozionante. Ed è di emozioni che il documentario sembra pervaso. Scandito in sette capitoli, di cui solo il primo dedicato come è giusto a Gallieno Ferri che dalla sua casa sulla scogliera di Recco racconta la gestazione del fumetto (la candidatura dopo gli studi a un concorso in Francia, gli incerti inizi,la conoscenza con Tea Bonelli e il figlio e il sodalizio con quest’ultimo per la creazione di un personaggio “avventuroso” lontano dai canoni rigorosi texiani) , Noi Zagor dedica i rimanenti allo studio del personaggio con esimi interventi (Giorello e Boschi tra i tanti) dedicato come è ovvio alla figura dochisciottesca di Cico.
Il personaggio, buffo discendente dei conquistadores, ricorda infatti il Sancho Panza per le buffe avventure e gag che lo contraddistinguono (frutto di un lavoro certosino e di talento oltre che di continua collaborazione tra autori-disegnatori) e che stemperano evidentemente la carica tragica di alcune scene di lotta contro i vari nemici alla ricerca di una giustizia mai sommaria. Non c’e’ infatti in Zagor la lotta con il nemico per ucciderlo, le atmosfere alla dark novel che negli anni settanta stavano prendendo piede in America quanto la volontà di creare, come ha affermato in sala il filosofo Giorello, un personaggio umano caratterizzato quindi dalle sue molteplici luci e ombre, sconfitto talune volte da avversari più forti o costretto ad uccidere nel momento in cui la scelta non offriva altrettanto. L’idea quindi di un personaggio “complesso” pur apparentemente invincibile nelle sue mostrine e nella casacca rossa da “Uomo mascherato”, nasconde dietro di sé le tragedie dell’uomo contemporaneo proiettate in un non luogo (che geograficamente può essere collegato tra L’Illinois e la Pennysilvania) ricco di anacronismi ma non per questo meno affascinante.
Come giustamente analizzato da Jacopino, l’autore del documentario, nella foresta di Darkwod ben resa anche musicalmente da Graziano Romani, il cantautore che ha collaborato anche nei dvd dedicati a Tex, si scontrano civiltà sconosciute,alieni, scienziati pazzi (Hellingen col suo Titan), vampiri (Rakosi), mostri millenari risorti, accomunati tuttavia da una trama che sa stupire e soprattutto raccontare qualcosa che quei bambini di una volta leggevano sdraiati sull’erba. Uno dei punti di forza del documentario è proprio questo: non rendere nota la cinquantennale vita editoriale ma “rappresentarla” attraverso gli occhi di un appassionato della serie e quindi focalizzandosi (dal quarto capitolo in avanti) sugli eventi zagoriani: le manifestazioni all’estero come in Croazia in cui intervenne lo stesso presidente e le gag della creazione di un degno “schizzo” ad opera di Sedioli, i raduni al ristorante con gli aficionados e i lettori dello spirito con la scure, gli smodati eccessi (il lettore di Roma che ha rinunciato alla casa paterna cedendo la sua parte alla sorella per poter acquistare i primi cento numeri originali e completi della serie oppure la famiglia con la villetta tappezzata di quadri zagoriani o l’appassionato papà al punto da vestire e forse traumatizzare chissà il figlio con una maglietta con la stemma dell’aquila) ma soprattutto la passione e la fatica che ogni mese portano in edicola le fatidiche novantotto tavole.
Quest’aspetto, importantissimo, ha avuto il giusto (ma a mio avviso non completo) peso nella creazione del documentario. E’ stata sottolineata la difficoltà di trovare storie sempre più avvincenti per un pubblico divenuto negli anni esigente, la gestazione della sceneggiatura con la visione di alcune tavole e incontri tra lo stesso Burattini con i collaboratori (Rauch,Verni) per la rivisitazione del soggetto e addirittura la corsa all’errore trovato poche ore prima della stampa e ai rimedi utilizzati dai grafici per porre una “pezza” al prodotto (mani mancanti,personaggi spariti misteriosamente, inadeguatezze stilistiche) con attenzione anche a volti non noti (che cioè non compaiono nella prima di copertina come autori o disegnatori) che svolgono importantissime funzioni per rendere fruibile e accettabile il prodotto in fase di stampa.
Una giusta valorizzazione del lavoro della squadra di Buonarroti che nel documentario ha un peso non indifferente nella comunicazione di una passione divenuta lavoro e del viaggio sulle ali della fantasia che il personaggio continua a suscitare tra gli appassionati grazie a un bel lavoro d’equipe.
Complessivamente soddisfatto e anche divertito da alcuni interessanti aneddoti personali della vita degli autori (il padre di Burattini che non ha mai letto un albo del figlio), un omaggio di un appassionato per degli appassionati di genere ma anche del fumetto in generale grazie alla sua generalità
[-]
|
|
[+] lascia un commento a eugenio »
[ - ] lascia un commento a eugenio »
|
|
d'accordo? |
|
|