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Il cinema della collettività

Epica e solidarietà in The Spirit of '45. Da giovedì 12 settembre al cinema.
di Roy Menarini

In foto una scena di The Spirit of '45.

domenica 15 settembre 2013 - Approfondimenti

Proprio mentre si parla tanto di documentario, grazie alla storica vittoria veneziana di Sacro GRA, ecco che un film come The Spirit of '45 mescola ancora una volta le carte in tavola. Molti si sono accorti di quanto sia difficile parlare di documentario con chi non conosce in profondità il cinema. E quanta confusione si faccia intorno a un "genere" che viene identificato per lo più con il reportage, e dunque richiesto di una equidistanza come quella che si desidera dai telegiornali (illusione peraltro frustrata). E invece il mondo del documentario è vastissimo, e comprende film di montaggio (o found footage), film-invettiva alla Michael Moore, film di osservazione partecipata come quello di Gianfranco Rosi, ibridi tra finzione e documentario come quelli di Pietro Marcello, indagini su aspetti poco narrati della vita quotidiana (la maggior parte)... Tra i tanti, ci sono anche quelli di ricostruzione storica, come questo di Ken Loach, che pur tuttavia - senza mai mentire o barare - non nasconde comunque il proprio spirito di parte. Un film laburista, si è detto. Aggiungiamo: un film laburista secondo la definizione di tanti anni fa, non certo il laburismo di Blair, molto avversato dal regista inglese.
Lo spirito del titolo - che giunge poco dopo altri spiriti, quelli alcolici di La parte degli angeli - riguarda il desiderio di ricostruzione della Gran Bretagna post-bellica. L'interesse del film risiede anche nelle forme storiografiche attraverso cui Loach decide di mettere in scena la battaglia tra i laburisti e Churchill, durante la celeberrima campagna elettorale del '45, ovvero come un capitolo della lotta tra socialismo e capitalismo, pre-esistente alla Seconda Guerra mondiale e presente per tutto il Novecento. Si tratta di un classico espediente marxista, che in Loach assume una dimensione affettuosa e umana grazie ai personaggi in scena. Ben lungi dal rappresentare pure funzioni esplicative di stampo documentale, le persone intervistate - anziani testimoni dell'epoca o analisti di oggi - costituiscono un corollario dei personaggi presenti nei film di finzione di Loach. Si tratta di minatori, portuali, sindacalisti, infermiere e tutti coloro che sono stati beneficiati dalla grande ricostruzione laburista del '45-'48, con le nazionalizzazioni industriali e soprattutto la riforma sanitaria nazionale (modello per quelle successive dell'Europa moderna) e l'assegnazione delle case popolari - forse il momento più commovente del film, dove vecchi cittadini oggi al tramonto della loro esistenza ricordano che cosa abbia significato per loro trasferirsi da uno slum infestato da cimici e sporcizia a una casa vera e propria, con giardino e bagno personale.
Un mondo per noi lunare, se non fosse che altre parti del pianeta attraversano i medesimi traumi e la stessa povertà, ancora nel 2013. E soprattutto un mondo di cui Loach è cantore inesausto, qualsiasi strumento egli utilizzi per raccontarlo. Di qui la sensazione che questo scontro tra proletari e capitalisti, nel suo cinema, funzioni come detonatore di una vera e propria epica. I due titani della storia, qui messi in scena con lo spirito di chi si sente nel giusto e con la malinconia di chi si avverte sconfitto, hanno sempre costituito, nel suo cinema umanista e collettivo, una forma di racconto mitico, di scontro infinito con tanto di eroi (quotidiani) e cattivi (eterni), sullo sfondo del lavoro e della società.

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