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La politica degli autori: Jean-Pierre Jeunet

Il suo sguardo combacia con quello di un cinema ad altezza di bambino.
di Mauro Gervasini

In foto una scena del film.
Helena Bonham Carter (57 anni) 26 maggio 1966, Golders Green (Gran Bretagna) - Gemelli. Interpreta La dottoressa Clair nel film di Jean-Pierre Jeunet Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet.

mercoledì 27 maggio 2015 - Approfondimenti

«Mi piace raccontare una realtà dalle dimensioni diverse» disse Jean-Pierre Jeunet, classe 1953, presentando al Festival di Cannes il suo film più celebre, Il favoloso mondo di Amélie (2001). Chissà se si riferiva ai nani da giardino, quelli che nella fiaba della fanciulla più famosa del cinema francese si fanno fotografare nelle più esotiche località del pianeta. Anche guardando Lo straordinario viaggio di T.S. Pivet, nelle sale da giovedì 28, si capisce come a Jeunet, più che la realtà, interessino le dimensioni. Mai conformi, spesso elaborate da sguardi di bimbo o da immaginari in libera uscita. Il mondo attraverso il fantastico, come nel suo capolavoro L'esplosivo piano di Bazil (2009), clamoroso flop in Italia (non però in patria) che andrebbe invece proiettato nelle scuole, anche in loop. Performance di altissimo livello di Dany Boon, che si trasforma da comico "di parola" (Giù al nord) in una specie di Tati delle banlieue, trascinandosi dietro una corte dei miracoli fantasiosa e rivoluzionaria.

Al di là delle trame, di Jeunet a sorprendere sono le intuizioni visive, personali anche se filtrate attraverso più riferimenti (nel caso di L'esplosivo piano di Bazil si va da Tex Avery a Buster Keaton). Un talento visionario che può provocare reazioni contrarie, per saturazione dell'immagine e sfinimento dei sensi. E infatti la critica ha spesso storto il naso. I primi due film sono più radicali di quelli successivi (a fare da spartiacque con la seconda parte della carriera una grossa produzione americana, Alien - La clonazione, 1997, giustamente dimenticata). Delicatessen (1991) e La città perduta (1995), entrambi realizzati in coppia con l'ex disegnatore di fumetti Marc Caro. Se Delicatessen ha dalla sua gusto del grottesco e stile iperbolico da bande dessiné, decifrati attraverso una messa in scena da cinema quasi avanguardista, con trovate anche di scrittura intelligenti (non si dimenticano i trogloditi vegetariani...), La città perduta si ricorda per la magniloquenza estenuante (e anche, ma qui in senso positivo, per la superba prova di Dominique Pinon, l'attore "clone").

Va detto che con Il favoloso mondo di Amélie, clamoroso successo internazionale (è tuttora il titolo francese che ha incassato in assoluto di più fuori dall'Esagono), e l'uscita di scena di Caro, lo stile di Jeunet tende ad acquietarsi un poco (tanto che Bazil pare un'eccezione), forse perché inserito in un contesto produttivo più mainstream. Il rischio, anche in Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, è il sentimentalismo di maniera, chiave emozionale per rapportarsi con la storia (come in Una lunga domenica di passioni, 2004, ambientato in piena prima guerra mondiale) e in questo caso con i grandi temi del cinema americano, dal viaggio fisico a quello psicologico di formazione. T.S. Spivet è un bambino prodigio nato in una comunità rurale del Montana destinato (come i nanetti...) a scoprire il mondo, e a riplasmarlo secondo il suo talento (a dieci anni inventa la macchina del moto perpetuo). Il suo sguardo combacia con quello di un cinema ad altezza di bambino. Dimensioni, appunto. Che come è noto, contano.

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