Aquadro

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Amare online e crisi comunicazionale Valutazione 3 stelle su cinque

di BrunoZucchermaglio


Feedback: 110
lunedì 20 febbraio 2017

La vera crisi che l’Occidente  sta attraversando non è tanto quella economico-finanziario, come si crede, bensì quella comunicazionale.
L’ormai noto paradosso che il mondo a nord della famigerata linea di Brandt sta vivendo è infatti quello di una società in cui i mezzi di comunicazione sono alla portata di tutti, agilmente accessibili e fruibili, invadenti e ubiquitari come nemmeno l’Orwell del “1984” aveva osato immaginare, dunque con una potenzialità comunicativa prossima all’eccesso che si risolve però in incapacità di percepirsi in presenza, di guardarsi negli occhi, semplicemente di parlare con chi ci sta accanto e ci sfiora.
Con la fresca immediatezza di un giovane regista toscano, che ha diretto un cast di ragazzi altrettanto “veri”, “Aquadro” racconta la storia di due adolescenti di Bolzano che non riescono a vivere la loro storia d’amore come una volta erano le storie d’amore dei “liceali”.
I “liceali”, oggi, vivono infatti costantemente on line, pedissequamente collegati con social network, tramite skype, chat, email , webcam, sms e, quando non sono collegati in rete con un pc o un tablet, a fatica riescono a non filtrare la realtà che si palesa davanti a loro con un qualche apparecchio come la foto o la videocamera di un telefonino che la media, la filtra, appunto, distanziandola da loro stessi in modo tale da renderla più facilmente gestibile. Reificata, trasformata in immagine da codificare e maneggiare su un tablet o sul desktop di un portatile, l’immagine della propria ragazza diventa meno difficile da “maneggiare” di quanto invece lo sia una persona reale e realmente contestualizzata nel mondo vero che fa sempre più paura.
Il film, che è uscito su cubovision in streaming la scorsa primavera e che ora è disponibile su raicinemachannel, è realizzato sena sbavature e senza falsi pudori e non a caso è ambientato nella più nordica delle città italiane, Bolzano, che si colloca nella tradizione mittel-nordeuropea della filmografia dedicata al mondo dei giovani che in Italia fa invece da sempre fatica a trovare un suo pubblico.
Il regista è molto bravo a dirigere i giovani attori che si distinguono per la loro capacità a recitare in modo mai al di sopra delle righe e sempre con la piena consapevolezza del loro ruolo. In particolare i due protagonisti, interpretati da Lorenzo Colombi e da Maria Vittoria Barrella, sono veri e autentici senza nessuna ammaccatura o imperfezione, e chiunque abbia avuto a che fare con un attore e ancor più con un giovane attore privo o con poca esperienza sa quanto ciò non sia scontato.
Lorenzo Colombi è bravissimo nel suo difficile ruolo di adolescente sfigato che sfigato non è, che dietro quel suo volto apparentemente imperturbabile di outsider o di ragazzo timido, introverso e “diverso”, incarna in realtà la “normalità” dell’oggi ovvero il fatto che la vita pare sempre più dover essere vissuta in rete, on demand, accalappiata nella ragnatela della percezione multimediale, tanto online quanto offline.
Non è da meno Maria Vittoria Barrella che interpreta invece il ruolo di una adolescente sì inserita nella datità multimediale della quotidianità adolescenziale postmoderna, ma non al punto da perdere la concreta freschezza della sua giovinezza ancorata al mito del primo amore e della prima volta, anche se con tutte le pertinentizzazioni e dunque le evoluzioni che dal secolo scorso ad oggi tale mito ha inevitabilmente subìto.
Abbiamo un Papa che dispensa le sue benedizioni via social network ma che poi si tuffa dietro le quinte fra la gente scavalcando le transenne per toccare ogni fedele con mano e per parlargli guardandolo negli occhi. Lo fa, Papa Francesco, perché probabilmente ha compreso la difficoltà della comunicazione vis-a-vis che attanaglia le società postindustriali in cui ad essere virtuali non sono solo le operazioni finanziarie che infatti prima o poi si afflosciano come castelli di carta sgualcita, ma anche le relazioni diadiche, triadiche, di gruppo, di quelle che una volta erano le comitive e le bande di amici.
“Aquadro” è un bell’esempio di buon cinema, semplice, posato, misurato ma al tempo stesso senza peli sulla lingua e senza miniature né dunque manierismi d’ogni sorta.
Un bell’auspicio, e un augurio, ovvero che, chissà, forse il nuovo e promettente cinema italiano può ripartire da una terra quasi non-italiana ma così profondamente mitteleuropea qual è (o dovrebbe essere) l’Alto Adige.

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