Dan Brown - Il Simbolo Perduto

Il giovane Robert Langdon (Ashley Zukerman), professore di simbologia, sarà costretto a risolvere una serie di enigmi per rintracciare il suo mentore, Peter Solomon (Eddie Izzard), rapito da un uomo che si fa chiamare Mal'akh (Beau Knapp), un fanatico di simboli e miti. La scomparsa di Solomon è annunciata dal ritrovamento, non casuale, della sua mano mozzata, lasciata da Mal'akh in bella vista nel Campidoglio di Washington. Tra mitologia cristiana e simboli massonici, ha così inizio la ricerca di un potere divino nascosto da secoli.

Sono passati cinque anni dall'ultimo adattamento di un libro di Dan Brown, Inferno (2016), terzo capitolo cinematografico diretto da Ron Howard, come i precedenti Il codice Da Vinci (2006) e Angeli e demoni (2009). Sebbene il testo originario di Brown sia ambientato dopo le vicende della trilogia, il personaggio del Prof. Langdon subisce in Il simbolo perduto un ritorno al passato, ricollocato in un periodo della sua giovinezza.

L'operazione svolta da Dan Dworkin e Jay Beattie per Peacock è quindi sia quella di sviluppare un prequel, sia di rivitalizzare il personaggio e le atmosfere di Brown in una nuova edizione seriale, con la speranza di rinnovare il successo raggiunto con gli adattamenti cinematografici. Una speranza che rimane tale a causa di alcune scelte narrative discutibili e della trascuratezza nei confronti del nuovo formato adottato.

Per quanto riguarda l'operazione del prequel, il processo è funzionale: Ashley Zukerman, nel ruolo di Langdon, riesce a creare un ponte ideale con la caratterizzazione effettuata da Tom Hanks nella trilogia cinematografica, sebbene il personaggio ancora come una funzione narrativa, un bacino di saperi - simboli, interpretazione di miti e leggende, conoscenze letterarie e storiche - che sono utili esclusivamente alla comprensione della storia. Forse in maniera più retorica rispetto al Langdon di Hanks, l'adesso giovane professore sembra quasi aver bisogno di dimostrare le proprie conoscenze, talvolta senza un preciso scopo.

Se da un lato ciò potrebbe ricondurre a una ridefinizione del personaggio, ora allievo in erba e quindi con la necessità di dimostrare le proprie conoscenze, dall'altro questa continua esposizione non combacia con lo status del personaggio stesso - già docente universitario e posto al centro di un'avventurosa ricerca in quanto "massimo esperto" del settore. Ne risulta un uomo a tratti superbo e contemporaneamente - come nel caso di Hanks e del personaggio letterario di Brown - poco carismatico.

Il revival, così come l'estensione narrativa che la serialità richiede, è invece determinato dall'introduzione di rapporti umani nel migliore dei casi trascurabili, e perciò critici. La relazione sentimentale di Robert con la giovane Katherine Solomon (Valorie Curry), figlia del suo mentore ed esperta di pseudoscienze, svanisce presto e non aggiunge elementi caratteriali utili; similmente l'agente Alfonso Nuñez (Rick Gonzalez) compare come una macchietta funzionale all'azione, l'exit strategy perfetta in più occasioni, ma gratuita e poco strutturata.

Ne deriva così un'operazione ambiziosa che si regge quasi esclusivamente sulla concatenazione di eventi: un indizio porterà a un nuovo indizio, che porterà a un altro e a un altro ancora, in un vortice narrativo in realtà fin troppo lineare e prevedibile, soprattutto in relazione al personaggio antagonista, le cui origini verranno spiegate - con un flashback classico e organico - quando ormai già era chiaro il suo background.

Il simbolo perduto promette, sin dal primo episodio, una serie di colpi di scena che però saranno costantemente smorzati, senza mai raggiungere l'apice emozionale promesso: alla suspense si preferisce la sorpresa, all'intrigante viaggio in un labirinto di simboli e miti si sostituisce l'intento di descriverli accademicamente e pedantemente, e anziché coinvolgere lo spettatore, quest'ultimo viene semmai educato, per farlo accedere - se non ha ancora spento il proprio schermo - all'indizio successivo. 