angelo bottiroli - giornalista
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domenica 23 giugno 2013
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bello, intenso e con un cast eccezionale
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A cinque anni di distanza dall’ultimo film (Leoni per Agnelli) e a 75 anni computi, Robert Redford torna sul grande schermo come regista e come attore di questo nuovo film “La regola del silenzio”.
Insieme a lui un casti eccezionale di attori come Shia LaBeouf, Julie Christie, Nick Nolte, Susan Sarandon, Sam Elliott, Brendan Gleeson, Terrence Howard, Richard Jenkins, Anna Kendrick, Brit Marling, e molti altri.
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A cinque anni di distanza dall’ultimo film (Leoni per Agnelli) e a 75 anni computi, Robert Redford torna sul grande schermo come regista e come attore di questo nuovo film “La regola del silenzio”.
Insieme a lui un casti eccezionale di attori come Shia LaBeouf, Julie Christie, Nick Nolte, Susan Sarandon, Sam Elliott, Brendan Gleeson, Terrence Howard, Richard Jenkins, Anna Kendrick, Brit Marling, e molti altri.
Siamo in presenza di un Thiriller ricco di suspence ed emozioni, con una trama appassionante e intricata: n seguito all’arresto di una componente di un gruppo pacifista radicale attivo negli anni della guerra nel Vietnam rimasta in clandestinità per decenni, un giovane giornalista, Ben Shephard, avvia una serie di indagini.
La prima ed eclatante scoperta è legata proprio a Jim Grant avvocato vedovo che vive ad Albany.
Di qui inizia una serie incredibile di scoperte legate agli avvenimenti che si sono verificati 30 anni prima.
Due ore intense con una buona interpretazione di tutti gli attori coinvolti: nessuno da oscar, ovviamente, ma tutti molto credibili nelle loro rispettive parti anche se appare un po’ tirata il ruolo di Robert Redford, padre di una bambina di 10 anni, raro ma ammissibile se uno a 60 anni sposa una donna di 40.
Ottimi i paesaggi delle foreste americane, buona la trama con una dose calibrata di suspence e con i protagonisti che si interrogano su quali siano in realtà le cose importanti della vita.
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maxmusic
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venerdì 21 giugno 2013
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redford e sarandon, altro pianeta
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Non passerà certo alla storia il film, anche se tratta un tema interessante.
Quello che fa la differenza in queste pellicole è l'interpretazione di due grandi attori. Robert Redford e Susan Sarandon (per lei poco più di un cameo purtroppo) marcano ancor più il divario tra loro ed il resto del cast.
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cenox
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mercoledì 12 giugno 2013
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un grande cast per un ottimo thriller d'indagine
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Il protagonista e regista è Redford, che interpreta un avvocato, padre di una bambina, che conduce una vita tranquilla come tanti altri, ma che in realtà in passato ha fatto parte di movimenti pacifisti radicali, i quali sono ricercati per la morte di un poliziotto a seguito di una rapina. L'FBI dopo averlo rintracciato grazie al lavoro dell'abilissimo giornalista interpretato da Labeouf, incomincerà la propria caccia all'uomo, icurante di sapere la verità fino in fondo sui fatti accaduti in quella tragica rapina. Redford contatterà gli altri apparteneti al gruppo, ormai tutti con una nuova vita sotto mentite spoglie, per cercare di riuscire a scagionarsi e a tornare da sua figlia da uomo pulito.
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Il protagonista e regista è Redford, che interpreta un avvocato, padre di una bambina, che conduce una vita tranquilla come tanti altri, ma che in realtà in passato ha fatto parte di movimenti pacifisti radicali, i quali sono ricercati per la morte di un poliziotto a seguito di una rapina. L'FBI dopo averlo rintracciato grazie al lavoro dell'abilissimo giornalista interpretato da Labeouf, incomincerà la propria caccia all'uomo, icurante di sapere la verità fino in fondo sui fatti accaduti in quella tragica rapina. Redford contatterà gli altri apparteneti al gruppo, ormai tutti con una nuova vita sotto mentite spoglie, per cercare di riuscire a scagionarsi e a tornare da sua figlia da uomo pulito. Un ottimo thriller con diverse stars del cinema, soprattutto vecchie glorie, che dimostrano di saperci ancora fare.
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giurg 63
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sabato 18 maggio 2013
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inossidabile redford
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Questo film ha una trama troppo esile e si riduce a una caccia all'uomo che è in fuga dal proprio passato di attivista rivoluzionario. Malgrado ciò Redford mantiene più che mai il suo immutato fascino, così come Susan Sarandon e Julie Christie danno prova della loro bravura e grandissima esperienza recitativa.
Non una grande pellicola, dunque, ma ugualmente meritevole di essere vista.
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astromelia
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giovedì 16 maggio 2013
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a tratti inconcludente
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in realtà darei quasi tre stelle se non fosse che il film si arena nelle parti cruciali quelle dove ci dovrebbe essere maggiore risoluzione tipo la scoperta della figlia prima di redford della sua vera genitorietà,rimane il senso a mezz'aria il padre adottivo non lo dice esplicitamente e lei non si capisce se l'accetta con rassegnazione fatto è che non s'incontra col vero padre e la madre,è proprio lì che il film pecca di pressapochismo,mo dispiace ma le trame si devono capire altrimenti lo spettatore rimane interdetto,in conclusione il film passa nella sua integrità...
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kyotrix
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sabato 11 maggio 2013
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buono ma inconcludente
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Finito il film mi sono chiesto: e allora? Tutta questa ricerca giornalistica per scoprire cosa? Che il protagonista SPOILER non era presente alla rapina e cerca di convincere la sua ex compagna di allora ( con la quale avevano un bambina piccola poi affidata al loro amico ) a costituirsi?
Boh, mi ha lasciato l'amaro in bocca, ma si e' lasciato guardare bene.
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topolino pino
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giovedì 25 aprile 2013
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errori del casting
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Oltre ad avere una trama già sfruttata in altre decine di pellicole, questo film fa acqua da tutte le parti. Il film è ambientato all'inizio del 2000: nonostante sia ispirato a un libro, il cui protagonista è un ex terrorista sessantottino, che, dopo trent'anni, esce dalla clandestinità, la produzione ha reclutato attori ultra 70enni (Robert Redford e Julie Christie) al posto di attori al massimo 50enni! Queste incongruenze rendono ridicole e risibili le scene di Redford con la figlia di 8 anni, nonchè le scene dei suoi allenamenti di "running". A parte gli errori della produzione e del direttore del "casting", ritengo imperdonabile la presunzione di Redford, il quale si ostina a interpretare ruoli a egli non più confacenti.
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Oltre ad avere una trama già sfruttata in altre decine di pellicole, questo film fa acqua da tutte le parti. Il film è ambientato all'inizio del 2000: nonostante sia ispirato a un libro, il cui protagonista è un ex terrorista sessantottino, che, dopo trent'anni, esce dalla clandestinità, la produzione ha reclutato attori ultra 70enni (Robert Redford e Julie Christie) al posto di attori al massimo 50enni! Queste incongruenze rendono ridicole e risibili le scene di Redford con la figlia di 8 anni, nonchè le scene dei suoi allenamenti di "running". A parte gli errori della produzione e del direttore del "casting", ritengo imperdonabile la presunzione di Redford, il quale si ostina a interpretare ruoli a egli non più confacenti. Invece, merita un buon voto il giovane Shia LaBeouf, il quale appare sempre credibile e appassionato nella propria interpretazione. Buone anche le interpretazioni degli altri attori non protagonisti Susan Sarandon e Stanley Tucci. Al massimo un 6!
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andreafalci
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sabato 26 gennaio 2013
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la legge è legge
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Un film che toccando marginalmente i movimenti pacifisti contro la guerra fatta dagli Americani nel Vietnam, in quanto per autofinanziarsi tali movimenti effetuano una rapina in banca e ci scappa il morto; per ben trentanni probabilmente grazie allo stile di vita e al silenzio tenuto dagli ormai ex pacifisti, questi la fanno franca; ma grazie alle tecnologie moderne e all errore di una componente della banda che usa la propria carta di credito, l ' FBI l'arresta e da qui iniziano i guai per il resto della banda, tra i quali Robert Redford, che riesce a fuggire alla cattura, fino a che riesce a trovare la compagna che aveva ucciso durante la rapina, ma questa si rifiuta di consegnarsi, nel rattempo Robert viene catturato, ma la vera colpevole ci rioensa e si costituisce scagionando Robert che può finalmente vivere libero e felice con la piccola figlia di dodici anni.
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Un film che toccando marginalmente i movimenti pacifisti contro la guerra fatta dagli Americani nel Vietnam, in quanto per autofinanziarsi tali movimenti effetuano una rapina in banca e ci scappa il morto; per ben trentanni probabilmente grazie allo stile di vita e al silenzio tenuto dagli ormai ex pacifisti, questi la fanno franca; ma grazie alle tecnologie moderne e all errore di una componente della banda che usa la propria carta di credito, l ' FBI l'arresta e da qui iniziano i guai per il resto della banda, tra i quali Robert Redford, che riesce a fuggire alla cattura, fino a che riesce a trovare la compagna che aveva ucciso durante la rapina, ma questa si rifiuta di consegnarsi, nel rattempo Robert viene catturato, ma la vera colpevole ci rioensa e si costituisce scagionando Robert che può finalmente vivere libero e felice con la piccola figlia di dodici anni. Per il giornalista non resta che buttare alle ortiche tutte le ricerche fatte per fare scoop giornalistici, ma in compenso conosce una bella ragazza...... . Film ottimamente interpretato e riflessivo che mette in evidenza che molti casi possono oggi essere risolti assegnando alla giustizia i colpevoli, grazie al progresso tecnologico e scientifico.
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nino pell.
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lunedì 21 gennaio 2013
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efficienza e contraddizioni del sistema
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Film sicuramente interessante che racconta uno spaccato di storia americana a partire dal periodo risalente alla fine degli anni '60 caratterizzato dal movimento dei pacifisti radicali contro la guerra in Vietnam. "La regola del silenzio" mette soprattutto in evidenza l'efficienza dell'FBI ma anche le contraddizioni del sistema, queste ultime messe in risalto dalle parole pronunciate dal protagonista J. Grant al giornalista Ben Shepard nel corso delle sequenze conclusive relative al suo inseguimento. Il livello interpretativo degli attori è naturalmente di un certo livello e il regista Robert Redford cura con maturità e mestiere questo film più che discreto. Peccato per qualche lungaggine di troppo, elemento quest'ultimo, tra l'altro, tipico della produzione cinematografica americana degli
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Film sicuramente interessante che racconta uno spaccato di storia americana a partire dal periodo risalente alla fine degli anni '60 caratterizzato dal movimento dei pacifisti radicali contro la guerra in Vietnam. "La regola del silenzio" mette soprattutto in evidenza l'efficienza dell'FBI ma anche le contraddizioni del sistema, queste ultime messe in risalto dalle parole pronunciate dal protagonista J. Grant al giornalista Ben Shepard nel corso delle sequenze conclusive relative al suo inseguimento. Il livello interpretativo degli attori è naturalmente di un certo livello e il regista Robert Redford cura con maturità e mestiere questo film più che discreto. Peccato per qualche lungaggine di troppo, elemento quest'ultimo, tra l'altro, tipico della produzione cinematografica americana degli anni '70 a cui il buon Redford sicuramente si è ispirato
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jaylee
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sabato 19 gennaio 2013
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cose sbagliate dalla parte giusta
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Nona regia per il mito del cinema americano, Robert Redford, icona del cinema impegnato e sociale USA. Dopo aver affrontato il pericoloso connubio tra stampa e politica in Leoni Per Agnelli, e la difficile convivenza tra giustizia e garantismo in The Conspirator, stavolta Redford porta sulla scena una tematica molto europea (ed italiana in particolare), ovvero la riconciliazione di un passato violento con la giustizia del presente: la trama racconta di alcuni appartenenti al movimento di sinistra radicale Weather Underground, che avevano realizzato delle dimostrazioni violente a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, per poi dileguarsi nella clandestinità sotto false identità. Quando una di queste viene catturata, un giovane cronista (Shia LeBoeuf) riuscirà a far venire allo scoperto Jim Grant (Redford), che si era ricostruito una vita come avvocato, mettendo su famiglia.
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Nona regia per il mito del cinema americano, Robert Redford, icona del cinema impegnato e sociale USA. Dopo aver affrontato il pericoloso connubio tra stampa e politica in Leoni Per Agnelli, e la difficile convivenza tra giustizia e garantismo in The Conspirator, stavolta Redford porta sulla scena una tematica molto europea (ed italiana in particolare), ovvero la riconciliazione di un passato violento con la giustizia del presente: la trama racconta di alcuni appartenenti al movimento di sinistra radicale Weather Underground, che avevano realizzato delle dimostrazioni violente a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, per poi dileguarsi nella clandestinità sotto false identità. Quando una di queste viene catturata, un giovane cronista (Shia LeBoeuf) riuscirà a far venire allo scoperto Jim Grant (Redford), che si era ricostruito una vita come avvocato, mettendo su famiglia. Sarà costretto a sfuggire alla polizia e ad andare a ritroso nel network che nascondeva gli ex Weather Men fino a ritrovare l’unica che possa scagionarlo da un’accusa di omicidio, ovvero l’ex compagna di lui sia di battaglie che di vita, Mimi Lurie (Julie Christie).
Per tanti versi Redford è un monumento del cinema, tanto è vero che questo film annovera un cast stellare anche per piccole parti (oltre a Redford e Christie, Susan Sarandon-bravissima come sempre-, Sam Elliott, Chris Cooper, Stanley Tucci, Nick Nolte, Richard Jenkins, Terrence Howard, Anna Kendrick…), segno di stima per il regista e probabilmente approvazione della tematica liberal. Le recitazioni sono tutte di alto livello, con l’eccezione del giovane protagonista maschile, Le Boeuf, francamente a questo punto della sua carriera da considerare sopravvalutato e tutto sommato del buon Redford, non tanto per la qualità della sua prestazione, ma per i segni dell’età (dignitosissima!) che sembra stridere con l’età che dovrebbe avere il suo personaggio.
Lodevole l’idea di fondo e buona l’idea, solo discreto il risultato finale, che, soprattutto nella seconda parte, appare prevedibile, incluso il finale.
Non privo comunque di (qualche) colpo di scena, La regola del Silenzio è una thriller elegante e tradizionale nello stile ed ha ovviamente il suo punto di forza nell’identificazione dello spettatore con i personaggi che, per parafrasare il protagonista, avevano ragione, ma facevano cose sbagliate. Una sintesi estremamente efficace e pulita che, per qualche ragione, è sempre stata molto difficile da ammettere in Italia o nel resto d’Europa, laddove ci sono sempre state partigianerie di stampo calcistico su parte di alcuni movimenti violenti degli anni 70… il fine NON giustifica i mezzi. Non lo faceva con le regole di prima , ed ancor meno con le regole di adesso, anche se la tentazione di strade violente per ridurre ingiustizie sociali e politiche, forse ancor più evidenti di quelle di una volta, può essere forte. (www.versionekowalski.it)
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