maria f.
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domenica 19 gennaio 2014
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evviva i buoni film!
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Film azzeccatissimo. Garrone ha indovinato tutto: dagli attori, ai colori, ai dialoghi, è riuscito a disegnare con puntualità una fetta cospicua che popola la nostra società. Ha scelto di ambientare la storia a Napoli ma è una realtà che può appartenere a tutto lo stivale, i personaggi descritti possono far parte del ceto povero o ricco ma ciò che accomuna tutti è il basso livello culturale, condizione che li rende fragili e influenzabili e anche per questo si nutrono di programmi televisivi scadenti come il Grande Fratello. Apparire, il desiderio di avere visibilità partecipando al provino del G. F:, coinvolge Luciano Ciotola, famiglia e quartiere.
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Film azzeccatissimo. Garrone ha indovinato tutto: dagli attori, ai colori, ai dialoghi, è riuscito a disegnare con puntualità una fetta cospicua che popola la nostra società. Ha scelto di ambientare la storia a Napoli ma è una realtà che può appartenere a tutto lo stivale, i personaggi descritti possono far parte del ceto povero o ricco ma ciò che accomuna tutti è il basso livello culturale, condizione che li rende fragili e influenzabili e anche per questo si nutrono di programmi televisivi scadenti come il Grande Fratello. Apparire, il desiderio di avere visibilità partecipando al provino del G. F:, coinvolge Luciano Ciotola, famiglia e quartiere. Tutti lo incoraggiano, lo spingono, lo pompano, lo rassicurano che sarà lui uno dei prescelti, e questo delirio di consensi lo lusinga, lo culla nel sogno di potere cambiare così la propria vita, economicamente ma soprattutto vivere in un mondo dove tutto è facile e dove non c’è bisogno di faticare ma il solo fatto di esistere ti dà soldi, popolarità, reputazione. La sua vita di affetti, di lavoro si ferma, tutto il suo essere si concentra in quell’attesissima telefonata di convocazione, comincia il suo distacco dalla realtà, si convince che lo staff del G.F. prima di dargli completa fiducia ha bisogno di controllare la sua vita, il suo modo di essere e di rapportarsi con i suoi simili, quindi, certo di essere spiato, e per dare un’ottima opinione di sé, regala ai poveri spogliandosi di tutto ciò che ha per apparire generoso e quindi degno e meritevole di essere selezionato e accolto. Apparire è questa la parola “chiave”, il ritornello che accompagna il protagonista, le leit- motive dell’opera. La risata finale prolungata e amplificata con cui si conclude il film appartiene a Luciano che nella sua esaltazione crede di essere entrato a far parte della casa, oppure è la firma del G.F. che con grande sadismo si beffa di lui e di quelli ingenui e sprovveduti come lui? Per tutto il team una grande lode, Nando Paone in testa. maria f.
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homer52
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sabato 16 novembre 2013
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la vita è uno stato mentale
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Fantastica rappresentazione di quel dramma esistenziale che può essere la ricerca d'una scorciatoia per il "paradiso" (ammesso e non concesso che il benessere economico e la notorietà siano il paradiso) attraverso la speranza d'un premio in alternativa ad una vita di duro lavoro. Il film si snoda attraverso un delicato intreccio fra umorismo e disperazione, con tinte felliniane, in una bellissima Napoli tanto aristocratica quanto decadente e termina con un'ostentata risata: ritrovata consapevolezza o irreversibile pazzia? Sì, perché in fondo, come dice il giardiniere del film "Oltre il giardino", la vita è uno stato mentale.
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mareincrespato70
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domenica 3 novembre 2013
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napoli come italia al cubo
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Ero scettico di fronte a questo film di Garrone, pensavo avesse sconfinato in un campo minato rispetto al suo stile realistico-documentaristico.
Invece il "nostro" Matteo nazionale, romano che conosce Napoli in maniera ormai così profondamente sorpendente, si conferma autore e regista italiano di respiro internazionale, completo.
Reality è un film tanto spiazzante quanto acutamente intelligente nella sua analisi di come la fascinazione dell'orrendo barnum mediatico, con la finzione che elide e divora la propria realtà quotidiana, abbia conquistato la "gente".
Teatro, direi quasi naturale, della rappresentazione di questa ossessione pervicace che distrugge la vita del protagonista, è Napoli nella sua declinazione popolare e consumistica; palcoscenico partenopeo che ormai Garrone dimostra di conoscere sin nelle sue più intime pulsioni e rappresentazioni, con stupefacente abilità nel cogliere il "berlusconi in me" germogliato nell'anima partenopea (ma direi italiana; se non fosse che, Bocca, per me intelligentemente, definì Napoli come "l'Italia al cubo").
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Ero scettico di fronte a questo film di Garrone, pensavo avesse sconfinato in un campo minato rispetto al suo stile realistico-documentaristico.
Invece il "nostro" Matteo nazionale, romano che conosce Napoli in maniera ormai così profondamente sorpendente, si conferma autore e regista italiano di respiro internazionale, completo.
Reality è un film tanto spiazzante quanto acutamente intelligente nella sua analisi di come la fascinazione dell'orrendo barnum mediatico, con la finzione che elide e divora la propria realtà quotidiana, abbia conquistato la "gente".
Teatro, direi quasi naturale, della rappresentazione di questa ossessione pervicace che distrugge la vita del protagonista, è Napoli nella sua declinazione popolare e consumistica; palcoscenico partenopeo che ormai Garrone dimostra di conoscere sin nelle sue più intime pulsioni e rappresentazioni, con stupefacente abilità nel cogliere il "berlusconi in me" germogliato nell'anima partenopea (ma direi italiana; se non fosse che, Bocca, per me intelligentemente, definì Napoli come "l'Italia al cubo").
Straordinario cast di caratteristi napoletani in stato di grazia (su tutti Nando Paone) con il protagonista Aniello Arena davvero sugli scudi per la sua bravura. Una splendida e indovinata colonna sonora accompagna questa ossessione di vita sotto i riflettori: orwell in salsa partenopea, direi. Finale inquietante girato con lo stile ormai maturo del grande regista.
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stefano bruzzone
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giovedì 3 ottobre 2013
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indefinibile
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sulla scia di Gomorra, Garrone gira un altro spaccato di vita napoletana raccontandoci la storia di un pescivendolo che per arrotondare compie piccole truffe. un giorno i figli lo convincono a fare un provino per il grande fratello e da quel giorno la sua vita sarà sconvolta sino alla pazzia. regia, dialoghi, fotografia e location sono da "già visto" in Gomorra. anche questo continuo ricorrere ai sottotitoli per comprendere lo stretto dialetto napoletano è roba già vista e alla lunga stufa. diciamo che passi per questi 2 film ma il prossimo, caro garrone, cambia genere. di contro bisogna riconoscere che garrone è bravo e gira bene e le location sono sempre suggestive ma, mentre gomorra aveva un'identità precisa e definita, qui il film risulta di difficile collocazione.
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sulla scia di Gomorra, Garrone gira un altro spaccato di vita napoletana raccontandoci la storia di un pescivendolo che per arrotondare compie piccole truffe. un giorno i figli lo convincono a fare un provino per il grande fratello e da quel giorno la sua vita sarà sconvolta sino alla pazzia. regia, dialoghi, fotografia e location sono da "già visto" in Gomorra. anche questo continuo ricorrere ai sottotitoli per comprendere lo stretto dialetto napoletano è roba già vista e alla lunga stufa. diciamo che passi per questi 2 film ma il prossimo, caro garrone, cambia genere. di contro bisogna riconoscere che garrone è bravo e gira bene e le location sono sempre suggestive ma, mentre gomorra aveva un'identità precisa e definita, qui il film risulta di difficile collocazione. non è un drammatico e non si ride come si dovrebbe in una commedia. forse è un pezzo di teatro alla de filippo più adatto al palcoscenico che al grande schermo.
Voto: 6
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gianleo67
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martedì 3 settembre 2013
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i paradisi artificiali della medialità
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Fruttivendolo napoletano con moglie e 3 figli a carico nutre una passione istintiva per il mondo dello spettacolo e della televisione e nel frattempo sbarca il lunario con il suo mestiere e piccole truffe che ruotano attorno al mondo degli acquisti rateali di robot per cucina. Spinto dalla famiglia e aiutato da un suo conterraneo che ha vinto un famoso reality, partecipa alle selezioni per il 'Grande Fratello' sviluppando progressivamente una psicosi dissociativa legata alle immaginarie aspettative sulla sua partecipazione al programma fino a perdere il lavoro e la tranquillità familiare. Quando,supportato dalla moglie e dagli amici,sembra essersi ripreso...
Puntando sul dualismo tra mondo reale e la sua fittizia rappresentazione (riproduzione) televisiva e tra la percezione obiettiva della realtà e una sua deriva psicotica e irrealistica, Matteo Garrone costruisce con una infallibile progressione geometrica la lenta ed inesorabile (impercettibile) discesa agli inferi di un uomo qualunque stritolato da un meccanismo di suggestione collettiva che sembra sublimare e condensare le teorie popperiane sul potere di suggestione e coercizione del mezzo televisivo e sulla sua inesorabile pervasività.
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Fruttivendolo napoletano con moglie e 3 figli a carico nutre una passione istintiva per il mondo dello spettacolo e della televisione e nel frattempo sbarca il lunario con il suo mestiere e piccole truffe che ruotano attorno al mondo degli acquisti rateali di robot per cucina. Spinto dalla famiglia e aiutato da un suo conterraneo che ha vinto un famoso reality, partecipa alle selezioni per il 'Grande Fratello' sviluppando progressivamente una psicosi dissociativa legata alle immaginarie aspettative sulla sua partecipazione al programma fino a perdere il lavoro e la tranquillità familiare. Quando,supportato dalla moglie e dagli amici,sembra essersi ripreso...
Puntando sul dualismo tra mondo reale e la sua fittizia rappresentazione (riproduzione) televisiva e tra la percezione obiettiva della realtà e una sua deriva psicotica e irrealistica, Matteo Garrone costruisce con una infallibile progressione geometrica la lenta ed inesorabile (impercettibile) discesa agli inferi di un uomo qualunque stritolato da un meccanismo di suggestione collettiva che sembra sublimare e condensare le teorie popperiane sul potere di suggestione e coercizione del mezzo televisivo e sulla sua inesorabile pervasività. Grazie al meccanismo di precisione meccanica di una studiata sceneggiatura e alla naturale elaborazione di uno stile di realismo 'in presa diretta' (camera mobilissima, veloci stacchi in primo piano, lunghe carrellate orizzontali) l'occhio del regista sembra mostrare gli effetti (insinuandone nel contempo il sospetto) di una edulcorazione della realtà prodotta dal potere di deformazione del mezzo di registrazione (cinematografico, televisivo, letterario) trasformando i personaggi da soggetti attivi e consapevoli del loro destino agli oggetti passivi di un arcano e imponderabile disegno demiurgico; un piccolo laboratorio sociologico di una delle possibili derive di questo imperio mediatico (quello del regista? quello della televisione? quello dello scrittore?) fino al sospetto insinuante di una ineludibile manipolazione della realtà (ricordate il miraggio del 'cinema verità' degli anni '60?). Costruito come un piccolo apologo sul mondo artificioso della televisione e attraversato dalla ipnotica melodia di una fiabesca colonna sonora (che introduce con il lungo piano sequenza iniziale la megalomane e pacchiana ricostruzione di un matrimonio da fiaba) è un film di amara ironia che non sembra avere sbavature o attimi di cedimento nel portare alle estreme conseguenze il suo discorso sociale, non mancando tuttavia di manifestare apertamente i propri intendimenti teorici attraverso una sarcastico riferimento alla irrilevante influenza di suggestione del potere religioso ai tempi 'dell'altare catodico' (il discorso del prete, gli effetti involontari di un indotto solidarismo umano, il pretesto della via crucis nella fuga finale del protagonista verso un paradiso artificiale). Folgorante il finale dove il protagonista si aggira come un fantasma mediatico tra gli indaffarati ospiti della 'casa': delirio dissociativo o realtà? Attori non professionisti diretti magistralmente ed uno straordinario protagonista maschile per uno dei migliori film italiani dell'ultimo ventennio. Grand Prix Speciale della Giuria a Matteo Garrone al Festival di Cannes 2012 e un'incetta di premi nazionali.
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beppe baiocchi
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domenica 23 giugno 2013
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qualcuno mi sta osservando
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Napoli, Luciano è un pescivendolo, un uomo comune che invogliato dalla famiglia a fare i provini del Grande Fratello, cade in una forte depressione non riuscendo più a capire i confini di ciò che è reale e ciò che non lo è.
Garrone dipinge un affresco della società moderna italiana (di un livello culturale medio-basso). Vada chiarito che questo non è un film denuncia sul Grande Fratello in se, ma il regista vuole mostrarci una decadenza culturale di una società. Il Reality che Garrone vuole metterci in mostra è quello di una società profondamente colpità da fenomeni socio-culturali legati a doppio filo con il dualismo di essere e apparire.
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Napoli, Luciano è un pescivendolo, un uomo comune che invogliato dalla famiglia a fare i provini del Grande Fratello, cade in una forte depressione non riuscendo più a capire i confini di ciò che è reale e ciò che non lo è.
Garrone dipinge un affresco della società moderna italiana (di un livello culturale medio-basso). Vada chiarito che questo non è un film denuncia sul Grande Fratello in se, ma il regista vuole mostrarci una decadenza culturale di una società. Il Reality che Garrone vuole metterci in mostra è quello di una società profondamente colpità da fenomeni socio-culturali legati a doppio filo con il dualismo di essere e apparire. Luciano (un grandissimo Aniello Arena) infatti spinto da questo fenomeno cade in una discesa nella follia, e vive lui stesso, nella sua testa, un reality, credendo di essere costantemente controllato, niente riescono a fare gli amici, la moglie, la famiglia, a volte anche loro complici della sua disperazione.
I toni sono quelli del dramma, con una vena di commedia grottesca, nera, che nonostante la pesantezza di un tema quanto mai delicato riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo, grazie anche a una fotografia eccezzionale, colorata, ma che via via, procedendo nel film come l'animo di Luciano si incupisce, grazie a un cast di bravi attori, tra tutti il già citato Aniello Arena, e il sempre bravo Nando Paone (ah gli attori di teatro) e la buona mano del regista.
Un film difficile da descrivere, ma che ha dalla sua la forza di far comprendere esattamente allo spettatore di ciò di cui parla, forse proprio perchè è una storia popolare (nel senso che parla di gente comune). Sicuramente da vedere
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slowfilm
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domenica 9 giugno 2013
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il nuovo eden dei reality
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Napoli, Luciano Ciotola è un pescivendolo con moglie e figli, un certo talento istrionico e il desiderio bruciante di partecipare al Grande Fratello, del quale adora i volti, gli applausi, la sottocultura. Quando un provino rende concreta la possibilità di entrare nella Casa, Luciano si perde nell’attesa, sviluppa un buon armamentario di nevrosi e paranoie, scollandosi progressivamente dalla realtà.
Reality è il film italiano più bello degli ultimi anni – e lo dico da non garroniano – su cui si potrebbe scrivere un libretto, a ricostruirne la portata estetica e contenutistica, l’amore per il cinema e la sua storia, lo specchio della riflessione sociale, le personalità attoriali.
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Napoli, Luciano Ciotola è un pescivendolo con moglie e figli, un certo talento istrionico e il desiderio bruciante di partecipare al Grande Fratello, del quale adora i volti, gli applausi, la sottocultura. Quando un provino rende concreta la possibilità di entrare nella Casa, Luciano si perde nell’attesa, sviluppa un buon armamentario di nevrosi e paranoie, scollandosi progressivamente dalla realtà.
Reality è il film italiano più bello degli ultimi anni – e lo dico da non garroniano – su cui si potrebbe scrivere un libretto, a ricostruirne la portata estetica e contenutistica, l’amore per il cinema e la sua storia, lo specchio della riflessione sociale, le personalità attoriali. Ma non è questa la sede, qui l’opera di Garrone sarà trattata epidermicamente.
Garrone e Sorrentino hanno seguito un percorso per molti versi sincronico; giovani registi, si sono fatti notare con un pugno di film e nel 2008 hanno raggiunto assieme l’apice, il primo con Gomorra e il secondo con Il Divo, di gran lunga le pellicole italiane più note e discusse degli ultimi anni. Hanno definito i loro nomi e gli stili, e i film successivi sono quindi chiamati a esprimere prima di tutto spontaneità e urgenza artistica. Il confronto è fra due virtuosismi differenti: chiuso nelle geometrie Sorrentino, creatore di spazi artificiali fotografati da una macchina da presa statica e frontale, lunghi pianosequenza in perpetuo movimento per Garrone, alla ricerca di un cinema più affettivo.
Reality è un’amarissima commedia dall’originale alchimia. I suoi protagonisti provengono dagli strati popolari di Napoli, e hanno a che fare con i luoghi comuni del caso: matrimoni neobarocchi, piccole truffe, abitudini propiziatorie e figure iconiche. Nonostante questo, regia e scrittura trovano un equilibrio che rende universale il messaggio e conserva il carattere eccessivo e iperreale del soggetto senza scivolare nel grottesco, un registro in alcuni casi troppo facile e accogliente. A rivoluzionare e nobilitare il film un’impostazione nostalgica, neorealista, che effettivamente richiama le parabole felliniane, ma anche l’eleganza e la cura per le scene di Visconti. La luce, il volti, lo sguardo che segue le vicende in lunghe sequenze naturali e pittoriche, gli scambi fra i personaggi che nascondono e costruiscono costantemente la propria personalità, sono le tensioni artistiche che sorreggono Reality.
Sarebbe riduttivo limitare il soggetto alla citazione e la presenza del circo che ruota attorno al Grande Fratello. Nel suo impianto classico, il film inquadra una modernissima paura di non essere osservati e un’assunzione della finzione (televisiva, ma non necessariamente) come unica vera realtà; una realtà più densa, compiuta e sensata, per la quale la vita terrena viene considerata una propedeutica preparazione. E allora è ferocemente ironica la ricorrenza di figure e manifestazioni religiose (un’ossessione che ricorda un Abel Ferrara disintossicato: siamo i nuovi italoamericani), in una rilettura della spiritualità, del sacrificio e della ricerca del paradiso che si risolve nelle luci eterne e spettrali del reality.
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zummone
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mercoledì 29 maggio 2013
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il grottesco non basta, delusione!
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E Matteo Garrone fece un passo falso. Può capitare a tutti, soprattutto dopo il successo, anche internazionale, di un film come "Gomorra", quattro anni fa. Con "Reality" Garrone pecca di presunzione, pur mantenendo lo sguardo attento alle vicende umane più anomale.
La storia del film ruota intorno al suo protagonista Luciano (Aniello Arena), pescivendolo napoletano, animale da palcoscenico per la famiglia e gli amici, grazie alla sua simpatia.
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E Matteo Garrone fece un passo falso. Può capitare a tutti, soprattutto dopo il successo, anche internazionale, di un film come "Gomorra", quattro anni fa. Con "Reality" Garrone pecca di presunzione, pur mantenendo lo sguardo attento alle vicende umane più anomale.
La storia del film ruota intorno al suo protagonista Luciano (Aniello Arena), pescivendolo napoletano, animale da palcoscenico per la famiglia e gli amici, grazie alla sua simpatia. Un giorno, anche per far contenti i figli, fa un provino per il "Grande Fratello" e intravede la possibilità di partecipare al famoso reality show, per riscattare una vita non propriamente agiata, anzi fatta anche di piccole truffe. Il desiderio sempre più irrazionale di partecipare al programma, porterà Luciano a diventare quasi paranoico, facendo allontanare i suoi cari, facendolo decidere di vendere la pescheria, sentendosi continuamente spiato. Una vera e propriaossessione, che non si riparerà mai del tutto, fino alla conclusione della storia, sospesa e onirica.
Garrone sceglie un taglio personale e toccando la corda del grottesco, calando la storia e i suoi personaggi, nel contesto napoletano a lui congeniale. Tuttavia dilata il film fin troppo, sbrodola, diventa quasi ossessivo come il suo protagonista. Una compagnia di interpreti molto naturali, guidati dall'ottimo Arena (attore anomalo, in quanto detenuto a Volterra, con una condanna all'ergastolo), ma è la sceneggiatura che non convince. Quasi che Garrone, a voler far satira a tutti i costi, abbia rappresentato un mondo della tv e dello spettacolo, per come il clichè più degradante, magari anche estero, lo vede. Ma non si capisce più se era voluto, o gli è semplicemente sfuggita la mano. Chissà i francesi che ci hanno visto, per premiarlo a Cannes, con il Gran Premio della Giuria?
Un incidente di percorso, insomma... ma si sa: non bastano le migliori intenzioni, per evitare la strada dell'inferno.
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g.trama
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giovedì 16 maggio 2013
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rappresentazione della rappresentazione: l'ironia.
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Ecco che finalmente un regista italiano si misura con il complicato e complesso tema del voyerismo, base e motore del mezzo cinematografico dagli albori ad oggi. Matteo Garrone si confronta con Hitchcock, Kieslowski, Powell, per citarne solo alcuni e lo fa con il suo personalissimo stile che coincide con l’ampio utilizzo della camera a spalla, di piani sequenza dal ritmo disteso, ma dai movimenti di camera improvvisi, di una colonna sonora in netta contrapposizione con il realismo delle immagini, di scenografie ora decadenti ora sfarzose, ma in entrambi i casi barocche, di una recitazione del tutto naturale. Ancora una volta e fortunatamente si ragiona sulla forma in modo da plasmare, in un secondo luogo, i contenuti o il contenuto, già ben esplicitato nel titolo stesso della pellicola.
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Ecco che finalmente un regista italiano si misura con il complicato e complesso tema del voyerismo, base e motore del mezzo cinematografico dagli albori ad oggi. Matteo Garrone si confronta con Hitchcock, Kieslowski, Powell, per citarne solo alcuni e lo fa con il suo personalissimo stile che coincide con l’ampio utilizzo della camera a spalla, di piani sequenza dal ritmo disteso, ma dai movimenti di camera improvvisi, di una colonna sonora in netta contrapposizione con il realismo delle immagini, di scenografie ora decadenti ora sfarzose, ma in entrambi i casi barocche, di una recitazione del tutto naturale. Ancora una volta e fortunatamente si ragiona sulla forma in modo da plasmare, in un secondo luogo, i contenuti o il contenuto, già ben esplicitato nel titolo stesso della pellicola. Reality contiene in sé una doppia accezione: la realtà del quotidiano (significato) rappresentata attraverso la finzione della messa in scena (significante) e la realtà del reality show, altro significato per citare ancora una volta il caro strutturalismo, filtrata dalla messa in scena cinematografica, significante che si assume anche il compito di scarnificare e smascherare i meccanismi della messa in scena di un altro mezzo ancora, quello televisivo. Siamo nel pieno della finzione, poichè nient’altro che rappresentazione della rappresentazione, e Garrone non nasconde ma mostra ampiamente, non ci prende per semplici incassi da cosiddetto cinema mainstream, ma per esseri pensanti e soprattutto, aggiungerei, fruitori di un testo da leggere e interpretare. Per cui non ha senso denigrare il cinema in favore della letteratura, perchè un testo da leggere o analizzare lo possiamo trovare anche in un film, spetta a noi farlo e spetta anche a noi cogliere tutta la carica ironica contenuta in primo luogo nel titolo stesso della pellicola (siamo nel pieno della finzione, ovvero della rappresentazione) e poi e, volendo anche più esplicitamente, nella pellicola stessa e nel suo esemplare finale aperto, finale in cui Luciano, reso magistralmente dalla faccia beffarda e tragicomica di Aniello Arena, riesce a raggiungere la casa del Grande Fratello da voyeur e non da partecipante, concedendosi una continua risata beffarda e liberatoria, apparentemente ingiustificata - anche perchè lo spettatore televisivo è oramai abituato a fruire delle immagini della trasmissone in questione già ampiamente codificate, senza avere alcuna reazione emotiva - ma piena di senso proprio perchè immotivata, soggettiva, arbitraria: rende esplicita ancora una volta quella che è l’ironia del titolo e del testo e, soprattutto, sospende finalmente il giudizio. Grande merito questo di Garrone e sua invidiabile finezza in un Paese in cui non è solo lo spettatore prima e il cittadino poi a giudicare, ma anche e soprattutto l’arte e chi la produce.
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marcos76
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venerdì 5 aprile 2013
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magnifico film.
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Grande film di qualità, da vedere e da rivedere, che trasmette una ferocie crirtica alla società attuale basata eslusivamente sull'immagine. Garrone si conferma ( se c'e n'era ancora bisogno) tra i più talentuosi giovani registi italiani.
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