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In competizione le cime tempestose e dark

Applausi e qualche timido fischio per Wuthering Heights.
di Ilaria Ravarino

In foto la regista Andrea Arnold insieme al cast del film Wuthering Heights in occasione del photocall.
Andrea Arnold (63 anni) 5 aprile 1961, Dartford (Gran Bretagna) - Ariete. Regista del film Wuthering Heights.

martedì 6 settembre 2011 - Incontri

Applausi e qualche timido fischio in sala hanno accolto oggi Wuthering Heights, la personale rivisitazione del capolavoro di Emily Brontë Cime Tempestose ad opera della regista Andrea Arnold. In concorso con il cupo adattamento di uno dei romanzi più visitati dal cinema occidentale, dopo aver vinto il Premio della Giuria a Cannes nel 2009 con Fish Tank, la Arnold esordisce così in un genere, quello del film in costume, che pochi le avrebbero cucito addosso. Il risultato, del tutto originale, ha prevedibilmente generato in sala reazioni eterogenee: «L'idea dell'adattamento non mi è mai piaciuta – ha detto la regista – ma è stato come se non avessi scelta. Avevo davanti a me un libro gotico, femminista, socialista, sadomasochista, freudiano, incestuoso, violento e viscerale. Sapevo che qualsiasi tentativo avessi fatto non avrebbe mai reso giustizia a quel romanzo, ma una volta iniziato non potevo più tirarmi indietro. È stata come un'ossessione». E per complicarsi ulteriormente la vita («Film difficilissimo, a un certo punto ho pensato di essere perseguitata da una maledizione»), la Arnold ha compiuto alcune scelte radicali: un cast di attori non professionisti tra cui il protagonista James Howson, un solo volto noto strappato alla fiction Skins (quello dell'attrice Kaya Scodelario), e una decisione rivoluzionaria. Quella di affidare il ruolo del bianco Hitcliffe a un attore afroamericano: «Hitcliffe è braccato, è perseguitato, in mezzo agli altri personaggi spicca come un alieno. Dargli un colore di pelle diverso mi è sembrato l'unico modo per rafforzare questa sensazione».

Perché ha scelto un adattamento così cupo, ossessivo e violento?
Arnold: Quando comincio un progetto non ho un piano, il lavoro è come un viaggio. Man mano che vado avanti si precisa lo stile, la direzione. Non ho deciso di fare un film cupo: volevo solo onorare l'essenza del libro della Brontë, che per me è un romanzo assolutamente cupo. Si diceva addirittura che lei stessa non volesse farlo leggere, che lo tenesse da parte come una specie di folle diario: mi sono avvicinata al progetto con grandissimo rispetto, come se avessi a che fare con una materia intima e privata.

Rispetto al romanzo la natura sembra indifferente alle passioni dei personaggi: perché?
A: No, non sono d'accordo, anzi. La natura nel film è parte integrante del tutto, è nel tessuto stesso della storia.

Dal dramma sociale di Fish Tank al film in costume: come è avvenuto questo passaggio?
A: Ho accettato subito quando il produttore me lo ha proposto, avevo letto il libro a 20 anni e mi sono detta che sarebbe stato un bellissimo viaggio. Non avevo considerato che sarebbe stato un viaggio anche molto difficile. Quel che mi attirava era il racconto della natura e dell'interazione tra le persone in un posto isolato, l'idea di poter giocare col suono e di avere a che fare con un libro profondo e strano, molto interessante per le donne. Siamo tutte un po' ossessionate da questo Hitcliffe, che non è un maschio fallico ma androgino.

Nel film manca tutta la seconda parte del libro. Completerà mai la storia?
A: Il libro mi piace nella sua interezza ed è un peccato aver dovuto abbandonare la seconda parte. Ma così il film sarebbe durato 7 ore... Mi rattrista che manchi quella parte, fondamentale affinché il cerchio della storia si chiuda, e perché in questo modo alcuni personaggi restano un po' irrisolti. Sono molto rammaricata di non averlo potuto concludere, ma fa parte dei compromessi che si devono accettare. Comunque no, non farò il sequel.

Perché ha scelto di concentrarsi sulla storia di Hitcliffe?
A: Me lo ha chiesto il produttore, e la scelta mi ha interessata fin da subito. La storia di Hitcliffe tocca un tema che mi ha sempre colpito molto: quando un bambino viene maltrattato, che adulto diventerà? Quel personaggio mi ha letteralmente agganciata.

Nel suo film parlano più i silenzi che i dialoghi. È stato difficile dirigere gli attori?
A: Il cinema è fatto di immagini e mi piace molto dirigere le interpretazioni in assenza di parola. Non avere un dialogo a volte può render tutto più facile.
Scodelario: È stato molto interessante, non l'avevo mai fatto prima. Nel silenzio non devi controllare il corpo, non hai battute da ricordare, puoi rilassarti. Uno stato mentale tranquillo rende la recitazione più naturale.

Ha scelto la Scodelario dopo averla vista in tv?
A: No, quando l'ho vista non avevo mai nemmeno letto di quella serie. L'avevo notata in un video e mi sembrava andasse bene, ci siamo incontrate a Londra e le ho dato subito fiducia. È una questione di istinto, non di provini.
S: Ero terrorizzata all'idea di fare un film storico in costume, io che ho origini brasiliane... Il mio agente mi ha portata quasi a forza all'incontro con Andrea, e la sua calma mi ha subito rilassata. Mi ha detto che nemmeno a lei piacevano i film storici! Questo film è stata una cosa completamente nuova per me e diversa da quel che mi aspettavo. Non ho fatto provini e accanto a me recitavano ottimi attori non professionisti: questo dimostra che non c'è bisogno di fare scuole di recitazione, se si incontra il regista giusto.

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