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Il clown on the road

L'imperfetto vagabondaggio di Sorrentino e Sean Penn.
di Roy Menarini

In foto Sean Penn nel ruolo di Cheyenne, ex rockstar protagonista di This Must Be the Place di Paolo Sorrentino.
Sean Penn (65 anni) 17 agosto 1960, Santa Monica (California - USA) - Leone. Interpreta Cheyenne nel film di Paolo Sorrentino This Must Be the Place.

lunedì 17 ottobre 2011 - Approfondimenti

Che This Must Be the Place rappresenti un film di svolta per Paolo Sorrentino sembra palese a tutti. Sia a coloro che plaudono a questa trasformazione internazionale, sia a quelli che rimangono legittimamente perplessi di fronte al nuovo film del regista napoletano. Qualche ragione per dubitare della riuscita di questa pellicola va analizzata, infatti, con estrema serenità. Anzitutto, le reazioni più tiepide non devono in alcun modo riguardare una presunta genuflessione di Sorrentino alle leggi del mercato internazionale. L'operazione produttiva messa in piedi dalla Indigo Film, la presenza di cotanti partner istituzionali, un protagonista come Sean Penn, la distribuzione su suolo americano da parte dei fratelli Weinstein, sono tutti aspetti positivi e in grado di scuotere dall'apatia il lamentoso e depresso mondo produttivo nostrano.

Detto ciò, tuttavia, appare altrettanto ovvio che la regia di Sorrentino, pur non smarrendo l'abitudine a stupire in ogni inquadratura con soluzioni visive articolate e immaginifiche, si adegua a stilemi autoriali che non gli sono per nulla consoni. Si pensi a una delle innovazioni più importanti imposte al cinema italiano dal nostro autore, ovvero il differente rapporto tra suono e immagini, tra colonna sonora ed elementi visivi creati in opere come Le conseguenze dell'amore e Il divo (enfatizzate a dismisura in L'amico di famiglia), con iniezioni geniali di pop, techno, jazz, musica sinfonica e sperimentale in un caleidoscopio eccezionale. Di questo aspetto non c'è nemmeno un ricordo lontano nel nuovo This Must Be the Place, dove tutta la cultura rock sciorinata con cura – a cominciare dalla presenza feticistica di David Byrne – dà come frutto un congegno audiovisivo molto più tradizionalista e conservativo, specialmente nell'ultima parte, quando i nodi si sciolgono e il sentimentalismo prende un po' il sopravvento.

Ma, a parte questa sensazione di grande cura formale non sostenuta dal fuoco vivo della passione narrativa (altrove invece punto di forza delle opere sorrentiniane), il problema più serio riguarda proprio la maschera da clown di Sean Penn. Conciato, sì, come Robert Smith dei Cure, ma anche e soprattutto come Edward mani di forbice, egli rappresenta un freak originale e coinvolgente nelle prime inquadrature, ma poi pare incapace di sviluppare il suo personaggio dal punto di vista emotivo e del racconto. Quasi come se quel trucco dark, "indossato" per proteggersi da un mondo che non lo comprende, finisse col costituire una sorta di prigione iconografica, una presenza ossessiva per lo spettatore, un elemento di stucchevole ripetitività che non riesce del tutto a interagire con gli altri personaggi.

E così, tra lezioni scolastiche sulla storia del rock, personaggi presi di peso dalla letteratura di Sam Shepard e dal cinema di Wim Wenders, ralenti da videoclip di lusso, discutibili colpi di scena sospesi tra Shoah e pop, This Must Be the Place rischia di rappresentare una sfarzosa passerella di presentazione mondiale per un regista di enorme talento, ma non il film necessario e sorprendente che aspirava ad essere.

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