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tremalnaik
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sabato 13 aprile 2013
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un regista che sa osare
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Sorrentino, con una scelta scomoda per un regista italiano, rinuncia a occuparsi delle beghe nostrane come nel Divo, forse perché ha capito che da tempo all'estero non interessano a nessuno.
Si occupa invece di una rockstar decaduta, un incrocio fra Robert Smith (il look) e Ozzy Osborne (l'intercalare).
Certo la sceneggiatura non è granché.
Di Sorrentino sorprende però la grande originalità nella caratterizzazione dei personaggi, l'esuberanza visiva e talvolta visionaria, la capacità di girare scene perfette (quella dei talking heads, dell'aguzzino lasciato sulla neve, di Penn davanti al frigo ...).
Un film senz'altro imperfetto, ma che non lascia indifferenti.
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Sorrentino, con una scelta scomoda per un regista italiano, rinuncia a occuparsi delle beghe nostrane come nel Divo, forse perché ha capito che da tempo all'estero non interessano a nessuno.
Si occupa invece di una rockstar decaduta, un incrocio fra Robert Smith (il look) e Ozzy Osborne (l'intercalare).
Certo la sceneggiatura non è granché.
Di Sorrentino sorprende però la grande originalità nella caratterizzazione dei personaggi, l'esuberanza visiva e talvolta visionaria, la capacità di girare scene perfette (quella dei talking heads, dell'aguzzino lasciato sulla neve, di Penn davanti al frigo ...).
Un film senz'altro imperfetto, ma che non lascia indifferenti.
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amandagriss
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mercoledì 27 marzo 2013
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un uomo allo specchio
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Sean Penn nelle mani del demiurgo Sorrentino si lascia plasmare e trasfigurare per incarnare,nel corpo e nell'anima,un moderno clown di nero vestito,asessuato,triste,depresso o“forse solo annoiato”, stanco e accartocciato su se stesso,fragile come una scultura di cristallo,pacato e lento nelle parole e nei gesti, sensibile fino ad essere emotivamente senza pelle,dotato di un'ironia sofisticata e corrosiva,ancorato ad un passato che rifugge ma di cui non può fare a meno.Il passato,il suo rifugio,il suo presente e probabilmente anche il suo futuro se un evento improvviso non fosse giunto a distoglierlo da quel vivere'in sospensione',in perenne raggomitolata intimità con se stesso,richiamandolo alla realtà,inducendolo ad emergere dal suo liquido amniotico:una villa dall'arredo minimalistico, svuotata del presente e munita di piscina che mai ha visto acqua,il vicino centro commerciale,le solite,poche care facce.
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Sean Penn nelle mani del demiurgo Sorrentino si lascia plasmare e trasfigurare per incarnare,nel corpo e nell'anima,un moderno clown di nero vestito,asessuato,triste,depresso o“forse solo annoiato”, stanco e accartocciato su se stesso,fragile come una scultura di cristallo,pacato e lento nelle parole e nei gesti, sensibile fino ad essere emotivamente senza pelle,dotato di un'ironia sofisticata e corrosiva,ancorato ad un passato che rifugge ma di cui non può fare a meno.Il passato,il suo rifugio,il suo presente e probabilmente anche il suo futuro se un evento improvviso non fosse giunto a distoglierlo da quel vivere'in sospensione',in perenne raggomitolata intimità con se stesso,richiamandolo alla realtà,inducendolo ad emergere dal suo liquido amniotico:una villa dall'arredo minimalistico, svuotata del presente e munita di piscina che mai ha visto acqua,il vicino centro commerciale,le solite,poche care facce.In una Dublino silente assente dalla caotica frenesia contemporanea.La morte del padre-deceduto a New York-lo costringe ad uscire allo'scoperto',ad abbandonare l'ordinaria monotonìa(voluta,cercata e che ha finito con l'imprigionarlo)di un'esistenza-surrogato,la cui piattezza comincia a far sentire tutto il suo peso schiacciante.Così,con al seguito un piccolo trolley(la sua essenza irrisolta)approda negli States e raggiunge il capezzale del genitore defunto, con cui non parlava da trent'anni.Verrà a conoscenza di un doloroso episodio che gli sconvolse l’esistenza -allora era solo un bambino- senza più abbandonarlo.Provvederà a rendergli giustizia.La morte,per rammaricarsi e rimpiangere di aver permesso alla vita di lasciar scivolar via gli affetti più cari.La morte,per riconciliarsi spiritualmente,come espressione di un vincolo sempiterno,che si rafforza invece di estinguersi, come estremo atto d'amore,come regalo di speranza per chi non si aspetta e crede di non volere più niente.La morte,per guardarsi dentro e riuscire a comprendere oltre ogni incomprensione,per non ripetere irrimediabilmente gli errori dei padri,per rendersi conto della vita,del presente costantemente sotto gli occhi eppur impalpabile,sfuggente, inafferrabile.Respiro internazionale in questo racconto commovente quanto eccentrico,bizzarro e personalissimo secondo lo stile del regista-autore campano,che partendo dal luogo comune del viaggio come introspezione,tanto caro alla settima arte,disegna 1 road movie esistenziale,curioso,indecifrabile,originale quanto il suo protagonista,il quale,sotto lo strato di spesso cerone che lo rende un ridicolo anacronismo,finirà col trovare l’uomo che è oggi,non più'scollato'dal presente ma'saldato'in esso.Forte è la componente visionaria,che affascina,ipnotizza(David Byrne che canta This must be the place su un palco con scenografia in divenire),mai fine a se stessa,simbolo del percorso umanissimo del nostro.Gli spazi immensi,i colori accesi,il vento sulla pelle,il soffermarsi sui volti,sui gesti,sui particolari fisici della gente comune che incrocia sul suo cammino sono la meraviglia che contiene il mondo,di cui per tanto tempo si è privato e che adesso si scopre,folgorato,a contemplare.Tempi dilatati,modalità di ripresa assai suggestive e ricercate, carrellate e piani sequenza atti ad esprimere stati d'animo,sottolineare parole e invitarci al loro ascolto(la scena-medesima ripresa reiterata-in cui il vecchio nazista in carrozzina comincia a parlare).Sean Penn giganteggia:ammalia lo spettatore col suo perfetto travestimento.
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akira76
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lunedì 11 febbraio 2013
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indimenticabile
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un film che ti rimane dentro
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mystic
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venerdì 1 febbraio 2013
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sorrentino on the road in un'america idealizzata
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Cheyenne (Sean Penn) è un'ex stella del rock annoiata e depressa. Alla morte del padre decide che è arrivato il momento di cercare il soldato nazista che lo aveva umiliato nel campo di concentramento di Auschwitz ponendo fine all'inseguimento iniziato dal genitore attraverso le immense regioni del Nord America, dove il criminale, da qualche parte, si è rifugiato.
Si dice che Sean Penn avesse tanto apprezzato il precedente lavoro del regista italiano (Il Divo) a tal punto che a Cannes, dove era stato presentato il film e dove l'attore era presidente di giuria, si fosse spontaneamente offerto di lavorare al suo successivo progetto, concretizzatosi con This Must Be The Place.
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Cheyenne (Sean Penn) è un'ex stella del rock annoiata e depressa. Alla morte del padre decide che è arrivato il momento di cercare il soldato nazista che lo aveva umiliato nel campo di concentramento di Auschwitz ponendo fine all'inseguimento iniziato dal genitore attraverso le immense regioni del Nord America, dove il criminale, da qualche parte, si è rifugiato.
Si dice che Sean Penn avesse tanto apprezzato il precedente lavoro del regista italiano (Il Divo) a tal punto che a Cannes, dove era stato presentato il film e dove l'attore era presidente di giuria, si fosse spontaneamente offerto di lavorare al suo successivo progetto, concretizzatosi con This Must Be The Place.
Si tratta, finalmente e al di là dei gusti personali, di un film italiano moderno di cui andare orgogliosi. E nonostante il film sia di poche parole, è tanto ben scritto da evitare sviluppi narrativi scontati.
Il ritmo è lento, almeno nella prima mezzora, scandito dalla personalità di Cheyenne, ma allo stesso tempo costruisce un ritratto dettagliato del protagonista in nemmeno 2 ore.
Ci sono elementi che richiamano la stravaganza visiva dei Coen - un pistacchio gigante, un'enorme bottiglia di birra per passaggio a livello e molti altri - le cui allegorie richiamano forse l'american dream di Sorrentino. E a proposito di Coen, che non sia una coincidenza la presenza della McDormand nel cast (che peraltro si comporta molto bene)? O la presenza di un ambiente annoiato e paesaggi grandangolari? Ma, in fondo, sono le splendide musiche di David Byrne che, unite alle spettaccolari panoramiche degli States, ci accompagnano per gran parte del film. Ed è una strana sorpresa guardare un film sul rock e sul punk senza mai vedere Cheyenne esibirsi su un palco o ritornare nel mondo dello spettacolo.
E' un road-movie incentrato sui panorami spettaccolari di un America idealizzata e sugli sguardi in primo piano del protagonista, tanto intensi, sentiti e ispirati da far tremare. E il trucco non fa altro che accentuare il talento di un attore che non vuole porsi dei limiti, dando vita a un uomo, che rischiava di diventare una poco convincente caricatura o una sorta di mimo, in viaggio solo con il proprio trolley. Cheyenne è un bambino cresciuto, tanto che è semplicemente sconcertante (sia per lui che per il pubblico) la scoperta dell'olocausto di cui non era mai venuto a conoscenza (e lo spettatore ha come la percezione di riscoprire un dramma dimenticato) attraverso una carrellata di diapositive.
A molti non piacerà, ma rimane un'opera prima quasi perfetta.
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daniele frantellizzi
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giovedì 24 gennaio 2013
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un viaggio introspettivo
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In fondo, era prevedibile.
Un regista dallo spiccato talento, i cui film sono fondati sullo spessore dei personaggi cui da vita più che sulle trame, incrocia il suo cammino con il più talentuoso tra gli interpreti contemporanei, ed il gioco è fatto: il risultato è un vero gioiello.
Paolo Sorrentino ama, da sempre, mettere in scena delle storie che facciano solamente da contenitore e da sfondo, tutt’al più da contorno, ai personaggi che le animano, che sono i veri perni delle sue pellicole. Basti pensare all’arbitro de L’uomo in più o al grottesco usuraio de L’amico di famiglia passando per il metodico Titta de Le conseguenze dell’amore.
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In fondo, era prevedibile.
Un regista dallo spiccato talento, i cui film sono fondati sullo spessore dei personaggi cui da vita più che sulle trame, incrocia il suo cammino con il più talentuoso tra gli interpreti contemporanei, ed il gioco è fatto: il risultato è un vero gioiello.
Paolo Sorrentino ama, da sempre, mettere in scena delle storie che facciano solamente da contenitore e da sfondo, tutt’al più da contorno, ai personaggi che le animano, che sono i veri perni delle sue pellicole. Basti pensare all’arbitro de L’uomo in più o al grottesco usuraio de L’amico di famiglia passando per il metodico Titta de Le conseguenze dell’amore...per terminare con il Divo dei Divi, quel Giulio Andreotti rappresentato nella pellicola sinora più famosa, il cui titolo sintetizza meglio di qualunque commento l’essenza stessa dei film dell’autore napoletano, Il Divo, appunto, come a sintetizzare che della vicenda poco ce ne importa in confronto alle peculiarità intrinseche ed estrinseche dell’uomo che vi è calato.
Sean Penn è un attore dal talento straordinario,la cui ascesa è iniziata anni fa e non si è mai arrestata, forse in questo momento all’apice della forma più che mai e giunto alla definitiva consacrazione nell’Olimpo degli dei Hollywoodiani.
Il risultato del loro incontro, è questo This must be the place, un film geniale nella sua semplicità, irriverente, simpatico, camaleontico, buffo, profondo, indagatore, introspettivo, grottesco, a tratti surreale ma profondamente umano.
Al centro del palcoscenico vi è una ex Rock Star in crisi esistenziale, Cheyenne, che nel look ci ricorda molto da vicino il Robert Smith che fu leader dei The Cure. La scusa per metterlo in movimento è la ricerca di un ex criminale di guerra nazista, carceriere del padre... il risultato? Uno splendido ritratto dell’uomo - in senso lato - e delle sue psicosi, delle sue ansie, dei suoi rancori e delle sue ambizioni. Unito ad un ritratto altrettanto bello dell’America - intesa come zona geografica - dipinta con maestria tramite un viaggio che si snoda dal deserto del New Mexico alle montagne innevate dello Utah, ed evidenziato da una fotografia splendida.
Un viaggio, quello di Cheyenne, che serve a mostrare la ricerca del sé, della propria identità...un viaggio reale e metaforico al tempo stesso, surreale ma mai banale, splendidamente irriverente... intimamente profondo e grottescamente divertente al tempo stesso.
Il finale sta tutto in uno sguardo di uno Sean Penn da Oscar: recita quasi senza aver bisogno della parola, il cambiamento dell’uomo sta tutto nella differenza delle sue espressioni, ottimamente studiate in fase di sceneggiatura e superbamente messe in essere dall’attore Californiano.
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pietroleone
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mercoledì 23 gennaio 2013
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i rimpianti di una vita
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Cheyenne è una vecchia pop star la quale senza rendersene conto probabilmente campa di rendita sulla sua gloriosa carriera musicale. Tutto scorre liscio fino alla morte del padre (ebreo), che Cheyenne non ha visto gli ultimi 30 anni di vita. Una volta tornato dal padre già morto scopre l'ossessione del padre, ritrovare un vecchio generale nazista risalente alla sua permanenza ad auschwitz.
Il film è dxiretto da Paolo Sorrentino, il quale lo rende un film apprezzabile, a tratti drammatico, malinconico ed esilarante.
Molte scene del film risultano essere troppo lente, ma quasi sempre sono coperte da un ottima scelta musicale che, lascia tempo allo spettatore per riflettere sulle problematiche più comuni che talvolta la vita può darti.
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Cheyenne è una vecchia pop star la quale senza rendersene conto probabilmente campa di rendita sulla sua gloriosa carriera musicale. Tutto scorre liscio fino alla morte del padre (ebreo), che Cheyenne non ha visto gli ultimi 30 anni di vita. Una volta tornato dal padre già morto scopre l'ossessione del padre, ritrovare un vecchio generale nazista risalente alla sua permanenza ad auschwitz.
Il film è dxiretto da Paolo Sorrentino, il quale lo rende un film apprezzabile, a tratti drammatico, malinconico ed esilarante.
Molte scene del film risultano essere troppo lente, ma quasi sempre sono coperte da un ottima scelta musicale che, lascia tempo allo spettatore per riflettere sulle problematiche più comuni che talvolta la vita può darti. Suggestiva è la scena in cui Cheyenne si rende conto che nonostante tutto suo padre l'ha sempre amato e lui non l'ha mai capito in quanto non ha mai avuto figli e non ha mai saputo trovare l'amore. Cheyenne all'inizio sembra un personaggio ingenuo, magari subdolo, stonato e pieni di difetti e superficialità. Ma durante il film si scopre sensibile, generoso (come quando compra la piscina al figlio di rachel ha paura dell'acqua e gli compra una piscina) e veramente attaccato alla realisticità dei sentimenti, tanto da abbandonare la superficialità dell'essere alla fine del film.
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liuk!
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mercoledì 16 gennaio 2013
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sviluppato male
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Il film ruota attorno ad un unico personaggio caricaturale attorniato da comparse e macchiette. Tra il grottesco, allucinato, depresso e schizzato, Sean Penn fa suo un ruolo difficile per chiunque e lo sviluppa egregiamente. Purtroppo il resto è caos. Una trama discreta e potenzialmente interessante e poetica, viene sviluppata malissimo, attraverso una cozzaglia di sequenze inutili, mal spiegate, che fanno innervosire lo spettatore per buona parte della pellicola. Troppe cose non spiegate e lasciate all'intuizione, più casuale che ragionata, portano la storia verso un finale in netta ripresa, che parzialmente salva tutto il lavoro. Occasione mancata per il regista ma performance e successo, quindi, per il protagonista.
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claddfever
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martedì 15 gennaio 2013
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tutto fumo e niente arrosto
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SORRENTINO DELUDENTE. SPRECATA LA COLLABORAZIONE CON PENN
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claddfever
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martedì 15 gennaio 2013
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tutto fumo e niente arrosto
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PURTOPPO NON BASTA INGAGGIARE SEAN PENN E DISEGNARLI UN PERSONAGGIO PITTORESCO INTORNO PER AVERE IN MANO UN FILM DA URLO. TUTT'ALTRO,DELUDENTE,SENZA NE CAPO NE CODA. SENZA ALCUN MESSAGGIO E NESSUNA MORALE. NIENTE DI NUOVO DA PROPORRE SOTTO OGNI PUNTO DI VISTA. E ONESTAMENTE IL PROTAGONISTA APPUNTO è BEN COSTRUITO ESTETICAMENTE MA NON ACQUISISCE UN CARISMA AVVOLGENTE COME VOLEVA SICURAMENTE IL REGISTA. I RIFERIMENTI AL NAZISMO SONO FUORI LUOGO E STERILI. VOTO 0
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gianleo67
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lunedì 7 gennaio 2013
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un luogo remoto chiamato casa
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Cheyenne,rockstar di mezza età che si è ritirita a vita privata in un ameno paesino irlandese insieme alla moglie vigile del fuoco, passa le sue giornate trascinando un carrellino della spesa in un centro commerciale o giocando in borsa, in uno stato semi catatonico che fa tuttavia intravedere, dietro un'apparente e autarchica indolenza e al bizzarro aspetto da punk invecchiato, una personalità dall'intelligenza acuta e sferzante. Lo richiama alla vita ed al suo doloroso passato, la morte del genitore, un ebreo americano di origine polacche con cui era in rotta da tempo e che ha passato la vita a dare la caccia al 'capò' del campo di concentramento che lo vessò durante la sua prigionia.
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Cheyenne,rockstar di mezza età che si è ritirita a vita privata in un ameno paesino irlandese insieme alla moglie vigile del fuoco, passa le sue giornate trascinando un carrellino della spesa in un centro commerciale o giocando in borsa, in uno stato semi catatonico che fa tuttavia intravedere, dietro un'apparente e autarchica indolenza e al bizzarro aspetto da punk invecchiato, una personalità dall'intelligenza acuta e sferzante. Lo richiama alla vita ed al suo doloroso passato, la morte del genitore, un ebreo americano di origine polacche con cui era in rotta da tempo e che ha passato la vita a dare la caccia al 'capò' del campo di concentramento che lo vessò durante la sua prigionia. In trasferta newyorkese, dopo le esequie del padre, accetterà l'incarico dei suoi familiari di ritrovare l'ormai novantenne nazista, partendo per un 'tour' attraverso gli States e per un viaggio dentro se stesso, alla ricerca della propria identità di figlio e di un irrosolto rapporto familiare. Vedere Sean Penn acconciato a quel modo (il 'falso cognome' del suo personaggio è Smith come il front end dei Cure di cui ricorda l'immagine dark) e seguendo le sue idiosincrasie da artista 'bruciato' verrebbe da pensare ad una scaltra operazione di un Sorrentino in trasferta anglosassone che cerca di rinnovare il suo linguaggio (tra il grottesco a l'analisi sociologica) per un debutto che colpisca la vista e lo stomaco dello spettatore, spiazzandone le apparenti e prevedibili aspettative e scimmiottando l'estetica,ironica e dissacrante, delle produzioni indipendenti alloctone. In realtà è proprio il linguaggio registico la cifra particolare e qualificante di una visione che sapientemente dilata i tempi del racconto (una lentezza a tratti esasperante) e muove l'occhio filmico lungo traiettorie centrifuge di piani sequenza che sembrano ricercare un 'altrove' indefinito cui aspira l'inquieta e apatica immobilità del protagonista, prigioniero di un passato irrisolto (i suoi rimorsi di artista futile e 'maledetto' e di un rapporto filiale tormentato) e di un presente irresoluto di pensionato dello show biz. Il tema dell'abbandono che sembra rimanere latente nella prima parte del film, viene quindi sviluppato attraverso l'evoluzione di un personaggio che muove dalla sordina delle sue relazioni 'a responsabilità limitata' (una moglie ed un'amica che gli danno sicurezza e conforto) verso un viaggio incerto e spericolato alla ricerca di un passato sconosciuto e tormentato (una giovinezza vissuta nel rifiuto familiare e nelle peregrinazioni di una tragica ossessione paterna), puntando molto sulle straordinarie doti camaleontiche di uno Sean Penn che si dimostra artista a tutto campo, istrione fino al ridicolo di una maschera grottesca ma anche dotato di una infinita sensibilità umana e professionale, sublime giullare della contemporaneità. Forse qualche eccesso didascalico e qualche forzatura narrativa nella seconda parte (on the road) fanno arricciare il naso per i margini di inverosimiglianza che la scrittura si concede (il broker che affida il suo pick up al bizzarro sconosciuto incontrato nel sushi bar, la figura un pò bolsa del 'cacciatore di nazisti' sanguigno e attempato, l'eremo tra le nevi dello Utah scelto da un novantenne non autosufficiente) ma nel complesso rimane una indiscutibile coerenza tematica e momenti di intenso lirismo tra le parole della deliziosa ballad dei Talking Heads performed by David Byrne che dà il titolo al film o quelle dei ricordi d'infanzia paterni che la preda nazista ripete nel finale come un mantra catartico. La scena finale del'figliol prodigo' che sembra ritornare sorridente dopo un lungo viaggio è qualcosa che scalda il cuore. Illuminante.
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