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Aung San Suu Kyi, la voce della speranza

Vita e opera del premio Nobel per la pace che ha ispirato Luc Besson.
di Tirza Bonifazi

In foto Michelle Yeoh, nel ruolo di Aung San Suu Kyi nel film The Lady - L'amore per la libertà di Luc Besson.
Michelle Yeoh (Chu-Khen Yeoh) (61 anni) 6 agosto 1962, Ipoh (Malesia) - Leone. Interpreta Aung San Suu Kyi nel film di Luc Besson The Lady - L'amore per la libertà.

lunedì 26 marzo 2012 - Approfondimenti

Rangoon, 13 novembre 2010 - Aung San Suu Kyi è libera. La leader dell'opposizione birmana è stata rilasciata intorno alle 17.15 di oggi... La notizia faceva il giro del mondo e con lei le prime parole pronunciate in pubblico dalla leader del movimento nonviolento e premio Nobel per la pace Suu Kyi: "Dobbiamo lavorare insieme, all'unisono, per raggiungere il nostro obiettivo... C'è un tempo per il silenzio e un tempo per parlare. Non vi vedo da così tanto, abbiamo molte cose da dirci. Quando è tempo di parlare, non rimanete in silenzio".

La politica e la bellezza dell'arte
Il suo destino era già scritto. Nata in una famiglia di attivisti – il padre fu segretario del Partito Comunista della Birmania, la madre divenne una delle figure politiche di maggior rilievo del paese –, Aung San Suu Kyi, anche conosciuta come Daw Suu Kyi, si appassiona presto alla politica. Con la laurea a Oxford in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia la giovane parte per New York dove trova lavoro presso le Nazioni Unite. Di quegli anni rimane una meravigliosa testimonianza raccolta in un'intervista realizzata nel 1996 sul progetto del museo virtuale multimediale che avrebbe racchiuso le quattrocento opere fondamentali della storia dell'umanità. "Immagino che le aspirazioni spirituali non siano tutto, quando parliamo di arte, delle arti creative" disse in quell'occasione. "Penso che l'uomo crei anche solo per amore della pura bellezza, e anche questo è molto importante. La bellezza ci fa vedere il mondo in modo diverso, allarga la nostra visuale. E la bellezza può assumere qualsiasi forma e dimensione. Una delle cose più belle che io abbia mai visto, è la vetrata dipinta che si trova alle Nazioni Unite, la vetrata di Marc Chagall. Quando la vidi per la prima volta, sapevo ben poco di Chagall. Certo, lo conoscevo di nome, avevo visto le fotografie di alcune sue opere, e alcuni dei suoi dipinti in qualche museo. Ma in un certo qual modo non aveva destato il mio interesse. Invece, quando vidi quella vetrata dipinta, alle Nazioni Unite, i blu intensi e brillanti, ho pensato: questa è davvero la bellezza dell'arte. Ero capace di stare seduta a guardarla per ore, e non stancarmene mai. Ogni volta che andavo a lavorare al Segretariato per le Nazioni Unite, davo un'occhiata alla vetrata. Tutti i giorni facevo in modo di passarci davanti, solo per dare un'occhiata e godere della sua bellezza. Non penso ci sia nulla di sbagliato nel provare piacere per qualcosa di bello; non c'è niente di male. E penso che si potrebbe addirittura dire che c'è qualcosa di spirituale, nel godimento della bellezza fine a se stessa, non perché si pensa di poterne trarre qualche vantaggio. Solo nel sedercisi di fronte. Io e un mio amico ogni tanto andavano a sederci di fronte alla vetrata di Chagall e dicevamo 'Riposiamoci un po' e restiamo solo a guardare'. Il semplice stare a guardare ci faceva sentire più riposati, ed è per questo che l'ho inserita tra le opere che secondo me andrebbero conservate per il futuro".

Tale padre (e madre), tale figlia
Si diceva che il destino di Daw era già segnato. Dopo la parentesi statunitense, quella delle Nazioni Uniti e di Chagall, per intenderci, nel 1988 Daw torna in Birmania e, seguendo le orme del generale Aung San, eroe dell'indipendenza birmana, fonda la Lega Nazionale per la democrazia in risposta alla presa di potere di una nuova giunta militare. Quello stesso anno la figlia del grande leader tiene il suo primo discorso in pubblico di fronte a migliaia di persone con alle spalle il ritratto del padre. L'impatto sulla folla è così forte che poco dopo Daw viene messa agli arresti domiciliari dai militari al potere che la considerano una minaccia troppo pericolosa. Tra le parole che avevano risuonato quella mattina d'agosto alla Shwedagon Pagoda, a Rangoon, con le quali si era rivolta ai reverendi monaci e al popolo dopo aver chiesto un minuto di silenzio per i tremila dimostranti per la democrazia che erano stati uccisi barbaramente in quel mese rivoluzionario, c'era il ricordo del generale. "In quanto figlia di mio padre, non potevo restare indifferente di fronte a tutto ciò che sta accadendo". Se suo padre aveva liberato la Birmania dagli inglesi lei avrebbe dato la vita per liberarla dai militari. E lo avebbe fatto professando la nonviolenza. Influenzata dal pensiero di Gandhi che diceva che bisogna combattere la violenza perché il bene che pare derivarne è solo apparente; il male che ne deriva rimane per sempre, Daw fonda la sua politica sul concetto della nonviolenza come cardine di ogni movimento di dissenso divenendo lei stessa, proprio come insegnava il Mahatma, il cambiamento che voleva vedere avvenire nel mondo. Tutti gli sforzi che Daw compie in questo senso sono ripagati in qualche modo dal premio Nobel per la pace conferitole nel 1991 come riconoscimento della sua lotta per la democrazia e i diritti umani. Sono ripagati solo in parte perché allo stesso tempo la sua vita privata e professionale è segnata dai continui arresti domiciliari. Daw viene privata della sua libertà, e di conseguenza della sua famiglia – alla quale viene negato di farle visita –, per un totale di quindici anni, di cui gli ultimi sette consecutivi. Tanto da venire considerata la più importante dissidente dai tempi della detenzione di Nelson Mandela.

Un personaggio divenuto parte della cultura pop
Tanti sono quelli che negli anni si sono mossi in favore della liberazione di Daw, tra i quali anche diversi artisti della musica. Il cantautore iralandese Damien Rice le ha dedicato "Unplayed Piano", canzone che ha eseguito dal vivo nel 2006 durante il Nobel Peace Prize Concert, a Oslo. Qualche anno prima gli U2 avevano appoggiato Aung San Suu Kyi nella sua lotta per ottenere libere elezioni in Birmania con il brano "Walk On" in cui si parla di un uccellino che canta in una gabbia aperta, che volerà solo per la libertà chiedendo ai fan di indossare la maschera dell'attivista politica durante i loro concerti quando l'avessero suonata. I R.E.M. hanno contribuito a risvegliare l'opinione pubblica intorno al caso Aung San Suu Kyi e la violazioni dei diritti umani in Birmania quando hanno collaborato alla campagna per la libertà della Birmania, e anche i Coldplay e i Pearl Jam hanno donato alcune delle loro canzoni per un album di beneficenza cui ingressi andavano direttamente alla causa di Daw. Dentro o fuori dalle sbarre del suo domicilio al quale è stata costretta per tanti, troppi anni, l'attivista politica è entrata a far parte della cultura pop. Ora più che mai con il film di Luc Besson e attraverso la recitazione della star di Hong Kong Michelle Yeoh, The Lady.

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