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Proteggersi da un'ossessione

Take Shelter descrive in modo metaforico la schizofrenia dell'America attuale.
di Giancarlo Zappoli

In foto una scena del film con l'attore Michael Shannon che interpreta il protagonista Curtis LaForche.

lunedì 27 agosto 2012 - Approfondimenti

Di fronte a un film come Take Shelter (in streaming fino al 2 settembre su MYMOVIESLIVE!) si possono assumere due collocazioni in qualità di spettatore. La prima si lega strettamente al plot di base e può offrire un ampio spettro di interesse a partire dalla frase, tratta da un manuale, dietro la quale il protagonista Curtis LaForche cerca di proteggersi: "Ci sono cinque possibili sintomi per la schizofrenia: deliri, allucinazioni, discorsi insensati, comportamenti inspiegabili, assenza di sensazioni. Io ho i primi due." Grazie a un impareggiabile Michael Shannon, sempre più abile nel cesellare personaggi disturbati apparentemente simili ma prodighi nel disvelarsi diversi l'uno dall'altro, perché sostenuti dalla sua acuta analisi attoriale. Grazie anche a Jessica Chastain che il pubblico italiano dovrebbe avere l'opportunità di vedere in Wilde Salome di Al Pacino per potersi rendere pienamente conto della proteiforme versatilità di un'attrice destinata a lasciare una profonda traccia nel cinema. Su questa direttrice Jeff Nichols è abilissimo nel mescolare gli indizi e spingere chi guarda a 'credere' in quanto Curtis esperimenta per poi svelargli che si tratta di sensazioni del tutto personali oppure di incubi il risveglio dai quali non è privo di conseguenze. Una volta compreso il gioco resta ugualmente il desiderio di scoprire che cosa accadrà di quella famiglia operaia, già segnata dalla mancanza di udito della piccola figlia Hannah, costretta ora a confrontarsi con un disturbo psichico che non è facile curare se i mezzi sono limitati e vengono poi dispersi per correre dietro a un'ossessione. Perché il protagonista diviene sempre più consapevole della propria 'diversità' sulla quale pesa per di più la tara di una possibile ereditarietà in linea materna. Chi guarda viene invitato a chiedersi se, e in che misura, Curtis stia precipitando nel baratro della follia e quanto invece non possa conservare una parte di ragionevolezza e di preveggenza.
C'è però un livello più complesso di quello (pur efficace) di superficie che connota questo film e per affrontarlo occorre risalire di un decennio. Correva l'anno (come avrebbero detto le cronache di altri tempi) 2002 e Signs, un film di M. Night Shyamalan, incassava nel primo weekend agostano (periodo di punta negli States) più di 60 milioni di dollari essendone costati 72 (nel mondo si sarebbe alla fine arrivati a più di 408). Il film raccontava di un sacerdote che aveva gettato la tonaca alle ortiche dopo la morte della moglie in un incidente. Messo di fronte a una minaccia aliena riusciva, con le sue poche forze, a venirne a capo. Nei panni del reverendo Graham Hess l'allora 'legionario di Dio' Mel Gibson. Il quale offriva al grande pubblico americano una metafora per l'uscita dall'incubo delle Twin Towers. Perché una mazza da baseball (quale sport più identificativo per gli americani?) diveniva strumento determinante per la vittoria. Unita all'elemento primordiale e purificatore per eccellenza: l'acqua. Grazie a questi due veri 'segni' (al di là di quelli tracciati nei campi di grano dagli alieni) il sacerdote sconfiggeva il Male e riacquistava la Fede reindossando la veste talare. Gli spettatori statunitensi compresero. Premiarono di conseguenza il film che aveva individuato la retorica giusta per spingerli a un collettivo stand up seppure in sala.
Dieci anni (due guerre e due crisi economiche) dopo, Take Shelter torna a descrivere in modo metaforico lo Stato dell'Unione. Perché Curtis LaForche rappresenta, con grande profondità di introspezione e attenzione ai minimi dettagli anche sul piano sonoro, la schizofrenia dell'America attuale. Ciò che vede (o che crede di vedere) non fa altro che alimentare paure e chiusure sempre più radicali. Curtis vorrebbe poter sperare ma le sue ossessioni lo allontanano da ogni speranza mentre in famiglia si vagheggia di una vacanza al mare e la moglie vende tessuti ricamati a mano al mercato del sabato (proprio mentre lui proietta i propri incubi sulla realtà). Non manca in lui l'apparentemente assurdo desiderio di potersi dire 'malato' trovando così una certificazione all'inutilità dei suoi sforzi (e dei suoi impegni economici che mettono a serio rischio il ménage familiare). Curtis rappresenta l'America che ha sperato in Obama che sta però, dopo quattro anni, cominciando a dubitare che si possa fare a meno di 'proteggersi' ("Take Shelter" significa appunto "Mettersi al riparo"). L'"Yes We Can" ha, per certi settori della popolazione, sensibilmente diminuito la propria forza di stimolo.
Ecco allora che la paura della catastrofe si insinua nei singoli e in una parte non secondaria dello Stato per espandersi poi (sono cronache politico/economiche dei nostri tempi) in altre aree del globo. Il tornado (terroristico/economico/politico) sta per arrivare spazzando via quel poco di certezze che ancora sopravvivono? Se sì è meglio comprare sempre metaforiche maschere antigas per utilizzarle in un rifugio/nazione in cui arroccarsi (magari aderendo al Tea Party). È ciò su cui contano appunto i conservatori più accaniti. Alleati in ciò a chi ha fatto della "Shock Economy" (ben descritta in suo libro dal titolo omonimo da Naomi Klein) il cavallo di Troia per le più bieche speculazioni. Visto da questo punto di osservazione Take Shelter si rivela ancor più interessante lasciando a noi l'impegno di 'leggere' un finale che si presenta come una certificazione di uno stato d'animo collettivo e non solo individuale.

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