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Mostrologia di J.J. Abrams

Da Lost a Cloverfield fino a Super 8, la paura è sempre mostruosa.
di Gabriele Niola

Una foto di scena del film Super 8 di J.J. Abrams.
Joel Courtney - Acquario. Interpreta Joe nel film di J.J. Abrams Super 8.

lunedì 1 agosto 2011 - Approfondimenti

Che nell'immaginazione di uno dei cineasti più interessanti dell'era moderna ritorni con grande frequenza la figura della creatura mostruosa dice molto riguardo quello che la cultura statunitense sta esprimendo al cinema e alla televisione.
Già nel pilota di Lost (l'unico episodio interamente concepito e diretto da Abrams) era presente una figura mostruosa non ben identificata, probabilmente nemmeno nella testa dell'autore, che agitava gli alberi e minacciava quella permanenza isolana che i passeggeri del volo 815 pensavano sarebbe stata transitoria (illusi!). Il perfezionamento dell'idea di minaccia mostruosa è arrivata poi in un prodotto in cui Abrams era ancora una volta produttore e burattinaio: Cloverfield, la creatura gigante che attacca New York, senza nessun richiamo godzilliano e apparentemente senza motivo. Infine in Super 8 l'idea del mostro diventa più sentimentale, si appoggia alle suggestioni extraterrestri, è meno misteriosa e forse si fa metafora più esplicita che mai dei mostri interiori di quegli uomini che pensano di essere minacciati.

Lost, il mostro interiore
In principio era Lost. In principio è sempre Lost per qualsiasi discorso si voglia fare sull'audiovisivo consumato dalla massa negli ultimi 8 anni. E al principio di Lost c'è Abrams.
Nell'episodio pilota della serie determinante degli anni '00 ci sono moltissime suggestioni, stimoli, sviluppi e spunti (quello degli orsi polari diventerà un tormentone risolto solo da un episodio speciale distribuito dopo la fine ufficiale della serie). Tra questi c’è la minaccia per eccellenza: una creatura probabilmente mostruosa, che nella notte lancia urla di una tipologia mai sentita, agita le fronde di alberi grossi e alti e minaccia i naufraghi.
Come in Il pianeta proibito questa prima forma di mostro abramsiano, già dotato di quella componente di mistero che sarà la cifra di tutta la sua attività, sembrava riflettere le paure dei protagonisti, quasi fosse un prodotto del loro inconscio. Con la sua "assenza", il mostro di Lost, per come lo aveva cominciato ad accennare Abrams, doveva essere una minaccia vaga e terrificante, buona per suggerire che quel disastro aereo non fosse solo un incidente. Il mostro iscriveva l'evento in qualcosa di più grande introducendo la dialettica tra fede e ragione interna ad ogni personaggio che avrebbe dominato tutte le 6 stagioni.

Cloverfield, il mostro allegorico
Nonostante in molti si siano misurati direttamente con la materia, a qualche anno di distanza possiamo dire senza timore di esagerazione che è Cloverfield, il miglior film sul disastro dell'11 Settembre 2001 realizzato ad Hollywood.
Il mostro che all'improvviso, apparentemente senza motivo e con una furia distruttiva inedita attacca New York, visto dall'occhio di una videocamera come le mille che ci hanno raccontato il vero panico nelle strade di Manhattan, è un salto semiotico completamente diverso rispetto a Lost.
Non sono le paure dei cittadini ma lo spettro di ciò che è accaduto effettivamente. Il mostro come simbolo dell'inspiegabile, non tanto a livello storico e politico, ma a livello umano e immediato. Siamo dunque lontani dal di poco precedente film coreano The Host, in cui la creatura che attacca la città è il più classico dei prodotti dell'inquinamento e degli abusi umani sulla natura.
In Cloverfield non c'è origine e ancora una volta il mistero è l'arma attraverso cui Abrams proietta una paura concreta (perchè mostruosa) su concetti più grandi. I protagonisti non vedono la creatura (dotata di una forma inedita al grande pubblico grazie al design di Neville Page), ma solo la distruzione che provoca nascosta dietro i grandi grattacieli e quei detriti lasciati sul suo cammino che infine costringeranno l'esercito ad un attacco massiccio che oltre alla creatura distruggerà gran parte di una città che non potrà più essere la stessa.
Per rendere quella paura che le vere immagini dell'11 Settembre non sempre riescono a restituire Abrams inventa una figura gigantesca e visivamente minacciosa. Per raggiungere il vero orrore passa per un finto terrore.

Super 8, il mostro della cattiveria umana
In un film dichiaramente spielberghiano andare in deroga ad una delle più note e più rivoluzionarie regole fantascientifiche introdotte dal regista di E.T., ovvero la natura invariabilmente positiva degli extraterrestri, è segno di un’idea estremamente personale sull’utilità di una figura mostruosa.
Questa volta però la creatura partorita da Abrams (e disegnata sempre da Neville Page) è artista del proprio mistero, non è nascosto dai movimenti di macchina del regista ma in grado di nascondere la propria mole eccessiva nei piccoli anfratti di una cittadina di provincia. Un'iperbole stilistica che conferma la volontà di J.J. Abrams di utilizzare il mistero e il nascondimento per elevare i suoi mostri da creature più o meno fisiche a paure ancestrali.
Nè incubo interiore, nè metafora di un disastro reale, l'alieno dalla forma mostruosa di Super 8 è più umano degli altri, ha delle motivazioni, un'origine e un obiettivo, per la prima volta è a tutti gli effetti un personaggio e diventando tale inevitabilmente è specchio dell'atteggiamento che gli altri personaggi (cioè la società per esteso) hanno verso di lui.
Nel solco inaugurato da District 9 e seguito da Monsters, l'alieno è una vittima della crudeltà terrestre, incapacitato a fuggire e impossibilitato ad integrarsi per la sua natura radicalmente differente. L'altro per antonomasia non ci vuole conquistare nè aiutare, vorrebbe solo andarsene ma il suo aspetto mostruoso gioca contro di lui, suscitando anche nello spettatore un iniziale timore del diverso che induce a schierarsi contro, in ottemperanza al "principio di Frankenstein".
Più diretto, più esplicito e più elaborato che in precedenza l'ultimo mostro di Abrams è un veicolo ancor più efficace del passato per parlare d'altro e confermare che qualsiasi discorso il cinema americano intavoli oggi, passa attraverso l'analisi di una paura tanto generica quanto ancestrale, esplicabile ricorrendo alla figura classica della creatura mostruosa terrorizzante che tutti facilmente possono percepire come nemica. Anche quando non lo è.

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