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Dalla regia occulta della sceneggiatura alla sbornia emotiva del set

Francesco Bruni, l'esordio da regista con Scialla!
di Marianna Cappi

Fabrizio Bentivoglio con il regista e sceneggiatore Francesco Bruni sul set del film Scialla! (Stai sereno).
Fabrizio Bentivoglio (67 anni) 4 gennaio 1957, Milano (Italia) - Capricorno. Interpreta Bruno nel film di Francesco Bruni Scialla! (Stai sereno).

martedì 2 agosto 2011 - Incontri

Diceva Calvino che “la fantasia è come la marmellata: bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane”. Ebbene, della solidità di quel pane rispetto alla fantasia di alcuni bravi registi italiani, ma anche del buon gusto della marmellata, si è occupato spesso Francesco Bruni, sceneggiatore di tutti i film di Paolo Virzì, delle commedie di Ficarra e Picone, degli esordi di Mimmo Calopresti, della fortunatissima vita sul piccolo schermo del Commissario Montalbano, e altro ancora. Con Scialla! (Stai sereno), Bruni balla da solo, per la prima volta, e non archivia il file dopo aver apposto la parola fine sul copione ma si alza dalla scrivania e va dietro la macchina da presa per girare un film, il suo film. Storia di Luca, alunno ribelle, e di Bruno, professore malinconico, che si trovano costretti ad una convivenza forzata che aprirà a ciascuno la misteriosa esistenza dell’altro, Scialla! è in concorso nella sezione Controcampo Italiano del prossimo imminente Festival di Venezia. Nel cast, il giovane esordiente Filippo Scicchitano con Fabrizio Bentivoglio, Barbora Bobulova, Vinicio Marchioni.

Francesco, perché l’hai fatto?
È successo che per la prima volta ho scritto un copione da solo, senza che fosse destinato ad un regista, quindi anche in totale libertà, potendo scegliere tutto. Ne è uscito un film che mi corrispondeva completamente, sia come temi che come tono, così alla fine il produttore mi ha proposto di girarlo e io ho detto di sì, anche perché mentre lo scrivevo inconsciamente secondo me ci stavo già pensando e quindi lo scrivevo in una forma che avrei potuto girare. E poi faccio cinquant’anni a settembre e ho cominciato a pensare che un’esperienza del genere avrei voluto farla: passare dall’altra parte, dopo 20 anni che scrivo film. Infatti è stata un’esperienza bellissima.

Vien da pensare che l’aspetto più sconosciuto e problematico, per uno scrittore che si trova a gestire un set, sia la direzione degli attori. È stato così?
In realtà quello è l’aspetto in cui ero più forte, perché vengo da un’esperienza di teatro, agli inizi della mia carriera, quando stavo ancora a Livorno. Avevamo una compagnia teatrale, con Virzì, per la quale recitavamo, dirigevamo e scrivevamo. Quello degli attori è un mondo che mi sono sempre sentito molto vicino, infatti il rapporto con gli attori sul set è stato splendido; casomai la mia preoccupazione era più tecnica, fotografica. Per questo mi sono fatto un film mentale, inquadratura per inquadratura, in alcuni casi ho fatto anche uno storyboard, per le scene più complicate, e sono arrivato sul set stra-preparato. Sapevo quello che volevo, tanto che in alcuni casi mi hanno dovuto dire: “aspetta, vagliamo un’altra ipotesi”, e talvolta lo abbiamo fatto, ma io avevo le idee molto chiare, il film lo avevo già “visto”. È un discorso da sceneggiatori: vedere il film in fase di scrittura è una cosa che gli sceneggiatori dovrebbero fare. La “regia occulta della sceneggiatura”, che può condizionare quella concreta, del set, è una cosa che io ho sempre praticato, apertamente quando lavoravo con Virzì (scrivevamo già montando il film) e un po’ sottobanco e clandestinamente quando lavoravo con altri registi. Ho sempre scritto in modo da suggerire delle immagini precise, senza per questo far ricorso necessariamente a nominare campi e piani. Nella buona letteratura la regia è sempre implicita. Nel romanzo dell’800 –Dickens, Flaubert, ecc.- c’è proprio una scrittura cinematografica. Questo tipo di scrittura è stata un’ottima guida sul set perché tutti avevano “visto” lo stesso film, fondamentalmente; dagli attori al direttore della fotografia allo scenografo, che mi ha portato a vedere dei luoghi esattamente come li avevo pensati.

Come nasce questa storia? Cosa puoi raccontarci della trama?
La storia è il racconto della convivenza forzata tra un padre e un figlio, che all’inizio del film non solo non si conoscono ma non sanno neanche dell’esistenza l’uno dell’altro. Il padre non sa di aver avuto un figlio quindici anni prima da una relazione fugace e il figlio non sa chi sia suo padre. Un espediente della madre li mette insieme, quando lei manda il ragazzo a lezione dal padre, senza rivelare le reciproche identità, solo che ad un certo punto la donna affida il ragazzo all’uomo per un tempo più lungo, perché ha un’ultima opportunità di lavoro all’estero come cooperante, e mentre il figlio continua a non sapere che quello è suo padre, l’uomo a questo punto è stato informato. Bruno è un cinquantacinquenne un po’ misantropo, abbandonato a se stesso, che vive ormai in riserva; Luca invece è uno scapestrato, vitale, simpaticissimo quindicenne con la tendenza a mettersi nei guai. All’inizio Bruno vive la presenza del ragazzo solo come un fastidio, poi, piano piano, si appassiona e riscopre la sua vocazione paterna, fino a quando il ragazzo non si mette in un guaio grosso e… di qui in poi non posso più dire niente.
È difficile dire com’è nata questa storia. Ci sono tanti elementi. Uno è sicuramente il desiderio di rivalutare la figura dei padri che, mi pare, per una di quelle strane congiure o somme di coincidenze massmediologiche, ultimamente sembrano solo degli stupratori assassini di mogli disgraziati frustrati che non hanno più un ruolo, e io essendo un babbo volevo vendicare la categoria. L’altro elemento è la mia esperienza personale della scuola e dell’insegnamento – al Centro Sperimentale ma anche nei licei, dove ho fatto dei seminari di sceneggiatura- e dunque il rapporto con i giovani e con la cultura, che trovo abbia un peso sempre meno rilevante nella loro formazione. E infine il mio rapporto con mio figlio.

Che relazione hai stabilito con Filippo, il ragazzo che hai scelto come protagonista?
Sembra incredibile ma ho trovato Filippo per caso, perché era venuto ad accompagnare un amico al provino. Io in quel momento non c’ero. Gli avevano dato delle battute degli amici del protagonista e a lui veniva da ridere continuamente. Siccome ha un sorriso meraviglioso e uno sguardo dolcissimo, appena l’ho visto l’ho fatto richiamare. Mi sono convinto subito che fosse lui, perché ha questo misto di spacconeria romana e dolcezza che mi è piaciuto immediatamente. Lui si è messo subito ad imparare il copione, è stato disponibilissimo, sempre puntuale, però tendenzialmente sfugge alla prospettiva di fare l’attore, per cui quando vede una mia telefonata adesso mi richiama sempre lui. Credo che abbia un gran desiderio di tornare a rifugiarsi a fare quello che faceva prima, cioè niente. È molto spaventato dalla prospettiva del cinema. Sul set abbiamo avuto un ottimo rapporto, come del resto l’ha avuto con tutta la troupe: è stato adorato e adottato dai macchinisti e Fabrizio Bentivoglio, che è diventato padre da poco tempo, è stato molto molto affettuoso con lui. Una bella storia, finora.

Come hai creato la coppia Bentivoglio - Bobulova? E il resto del cast?
Ho scritto il copione su Bentivoglio. Avrei avuto serie difficoltà a rimpiazzarlo, se non avesse accettato. Per me lui era il personaggio, perché Fabrizio è uno dei pochissimi, se non l’unico attore italiano che ha quei tempi comici, che è compassato, lento. Io come modello avevo Bill Murray e lui è il nostro Bill Murray, con l’aggiunta che è un uomo molto affascinante. Dunque ha bellezza, fascino e comicità insieme, che è un mix rarissimo. Barbora, invece, è venuta a fare un provino. Io l’avevo vista sempre in ruoli molto diversi da questo e quindi non avevo pensato a lei da subito, però ha fatto un provino talmente convincente che l’ho presa al volo. È straordinaria nel film, strepitosa, ha capito il personaggio forse anche meglio di me. Poi c’è Vinicio, che si è reso disponibile con grande gentilezza. Lui è fondamentale per il film perché incarna esattamente il tipo di personaggi verso i quali io voglio fare anche un po’ di satira, vale a dire la malavita fascinosa che è stata un po’ propagandata da certo cinema e televisione, che ha raccontato quel mondo come glamour e fico. Vinicio, perciò, è venuto molto intelligentemente a prendersi in giro in questo film. Infine c’è Raffaella (Lebboroni, ndr), mia moglie, che ho visto all’opera con i ragazzi e sapevo che sarebbe stata un’insegnante straordinaria, e poi molti altri attori in ruoli minori.

Come s’inserisce il tuo film nel panorama italiano? A quale modello ti sei ispirato?
Se ho fatto un film è anche perché pensavo che sarebbe stato diverso da quello che vedevo, e anche che facevo, e avevo in mente qualcosa che in Italia non si fa tantissimo, il modello della commedia del cinema indipendente americano. Con rispetto parlando, sto pensando a titoli come Juno, Broken Flowers, ai film di Reitman, che in generale mi piacciono tantissimo. Ultimamente le commedie che mi hanno convinto di più sono tutte americane, da I ragazzi stanno bene a Lo stravagante mondo di Greenberg, quindi come riferimento estetico avevo quel tipo di cinema. Anche in Italia ci sono autori a cui mi sento vicino, che fanno commedie particolari, non intese in senso strettamente commerciale: Archibugi, Luchetti, il Zanasi di Non Pensarci e Gianni Di Gregorio. Di Gregorio per me è stato molto importante: è stata una grande spinta vedere cos’era riuscito a fare, passando da sceneggiatore a regista, e soprattutto la leggerezza con cui lo aveva fatto. Inconsciamente, è probabile che sia stato una delle molle che mi ha spinto alla regia, l’ho detto anche a lui. Ho amato moltissimo sia Pranzo di Ferragosto che Gianni e le donne. Per me è un po’ un punto di riferimento.

Confermi la leggenda per cui la prima volta scatenerebbe poi una sorta di febbre della regia? Con quali sintomi?
È vero. Io sono tornato a scrivere: sto scrivendo con Virzì, ho scritto il nuovo Ficarra e Picone, i nuovi Montalbano, una commedia per Umberto Carteni e Fabio Volo che andrà in ripresa tra poco, Studio illegale, però nella mia testa adesso c’è sempre l’idea di un secondo film.
Fare lo sceneggiatore e non fare il regista è come fare la preparazione con una squadra di calcio e tutti gli allenamenti ma non andare in campo la domenica. Il set è un’emozione fortissima dalla quale, peraltro, chiunque non ne faccia parte è automaticamente escluso. Prima, quando andavo in visita, non capivo questa magia del set: non sapevo dove mettermi, mi sembrava che facessero sempre le stesse cose, non capivo cosa stessero facendo, mi annoiavo. Invece, quando ci sei dentro, è come una specie di gita scolastica e il sentimento affettivo tra chi condivide il set è fortissimo, un po’ come quando rimani bloccato su un treno o un traghetto in un luogo di vacanza e pensi che quelle persone che hai conosciuto lì non le perderai mai per tutta la vita, poi magari torni a casa, ci esci a cena insieme e già senti che non è più la stessa cosa. Però lì, in quel momento, c’è un sentimento fortissimo, che per me che sono sempre stato chiuso in casa a scrivere da solo, o tutt’al più con una o due persone, è stata una sbornia emotiva fortissima. Alla fine ci sono state lacrime, abbracci, promesse di non perdersi mai. Dunque ho voglia di rifarlo, ma devo stare attento a non rifarlo solo per la voglia di rifarlo. Però ho capito una cosa: prima ero molto critico verso i registi che continuano a girare fino a novant’anni, mentre ora non lo sono più. Li capisco: non è per la fama o il successo che lo fanno, è proprio per quella cosa lì, quell’esperienza umana meravigliosa che è il set.

Scialla! sarà presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Controcampo Italiano. Che aspettative hai? Chi vorresti che lo vedesse?
Le mie aspettative riguardo a Venezia sono inesistenti, nel senso che quando ho fatto il film non pensavo minimamente alla partecipazione ad un festival e quindi già il fatto di essere lì, anche a Controcampo, mi riempie di soddisfazione. Oltretutto, mi pare che la 01 ci creda molto e quindi spero che lo promuoverà bene, lo farà uscire in un buon periodo dell’anno. Il film ha evidentemente un doppio pubblico, cosa che mette un po’ in crisi il marketing, nel senso che potrebbe portare al cinema sia i miei coetanei – i 40/50enni che hanno dei figli adolescenti- sia i ragazzi stessi. Io credo che abbia frecce all’arco per entrambi i pubblici ma, se devo mettere una mano sul fuoco, dico i miei coetanei, perché l’ho fatto io, che sono un adulto, e dunque ha quello spirito.

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