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Andy Serkis, l'uomo scimmia

Tutto su Cesare, protagonista digitale di L'alba del pianeta delle scimmie.
di Gabriele Niola

In foto Cesare, lo scimpanzé protagonista del film L'alba del pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt.

giovedì 22 settembre 2011 - Making Of

Il motion capture è la singola tecnologia più innovativa nella storia del cinema, non ci sono dubbi. Più dei green screen e degli inserti digitali, la possibilità di creare personaggi animati che siano credibili tanto quanto le controparti reali è il più grande salto evolutivo che il mestiere vecchio come il mondo dell’attore abbia mai compiuto. Per questo il lavoro di Andy Serkis, che è stato per la WETA già Gollum e poi King Kong (e tra poco il capitano Haddock in Le avventure di Tin Tin e di nuovo Gollum in Lo hobbit), è di importanza inestimabile, e lo riscopriamo qui in L’alba del pianeta delle scimmie. Lui e il team di Joe Letteri (la stessa squadra di Avatar) hanno dato vita ad un personaggio al limite della perfezione, decisamente più in là dei Na’Vi del film di Cameron o degli esperimenti di Zemeckis. Lo scimpanzè Cesare è il personaggio irreale più reale che si sia mai visto e questo è un trionfo artistico tanto tecnologico quanto umano, tanto di evoluzione digitale quanto di comprensione ed utilizzo di tale tecnica da parte di un attore, che solo per questo merita di essere considerato tra i più influenti e determinanti di sempre.

Il pionere di una nuova stirpe di attori
“Nelle prime riprese i tecnici del suono ce l’avevano con me perchè sbuffavo ed espiravo sempre con molta forza e questo, dicevano, copriva le battute degli attori. C’è voluto un po’ per fargli capire che non potevo farne a meno, è il modo di esprimersi di Cesare, sono le sue battute” queste poche parole di Andy Serkis, l’attore che sul set si comportava come quella scimmia che poi il digitale ha mostrato sullo schermo, spiegano tutto. Recitare e farlo davvero, più come a teatro che come al cinema, con la libertà di stare in mezzo agli altri attori e interagire con loro.
Cesare è il risultato di un raffinatissimo lavoro tecnologico, uno studio su muscoli, peli, occhi ma anche luci e movimenti di macchina, che però parte dal più umano degli elementi. È infatti Andy Serkis l’uomo che fa la differenza.
Attore buono ma straordinario artista del motion capture, il corpo dietro alcune delle migliori creature digitali degli ultimi anni è l’unico tra i molti suoi colleghi che hanno sperimentato questa tecnica ad aver contribuito a portarla avanti. Come un pilota di automobili fa con i meccanici della sua macchina, Serkis si consulta, prende parte al processo evolutivo della tecnologia, inventa, crea e osa. Le sue performance non sono finalizzate ad una buona recitazione ma ad una buona cattura dei movimenti giusti, e questo fa tutta la differenza del mondo.
Nell’interpretare lo scimpanzè nel suo sviluppo da neonato prodigio fino a quasi uomo, Serkis agisce con il corpo e le espressioni, si alza sempre di più sulle sue gambe, raddrizza la schiena un pelo di più ad ogni inquadratura e pensa in chiave digitale. Questo aiuta la cattura dei movimenti.
Si dice che il vero attore di cinema, rispetto a quelli di teatro, sia quello che sa bene come porsi davanti alla camera, conosce il proprio corpo e la relazione che questo stabilisce con l’obiettivo in modo da far pendere questa sempre a proprio favore. Ecco Serkis conosce il motion capture e la relazione che il suo corpo stabilisce con i sensori ad infrarossi che ne catturano i movimenti.
È un attore nuovo e diverso. Il primo di una stirpe. Come Cesare.

La tecnica dietro la recitazione
Pochi anni fa era impensabile. Prima il motion capture, cioè la cattura di quei movimenti di un attore che poi vanno attribuiti ad un personaggio digitale, avveniva in un teatro di posa a parte, separato dal set, davanti ad un telo blu o verde. Per fare Gollum Andy Serkis non ha recitato con Elijah Wood nemmeno una volta, non era proprio possibile tecnicamente, serviva un ambiente controllato. Ma da I pirati dei Caraibi: la maledizione del forziere fantasma sempre di più il motion capture si è cominciato a fare sul set fino ad ora, quando (come spiegato in occasione di I Puffi) la WETA ha potuto sfruttare una nuova videocamera che cattura i dati di illuminazione a 360 gradi in tutto il set in modo da catturare anche la luce o meglio i suoi dati. La luminosità di un ambiente reale è sempre diversa e incontrollabile per questo per essere replicata c’è bisogno di catturarne tutte le variabili in ogni momento, come si rifrange sui vari elementi presenti o come muta di intensità al muoversi della camera. Solo facendo così diventa possibile inserire in quell’ambiente un personaggio che sia reale a sufficienza se paragonato agli altri.
Ma non solo, i miglioramenti che la WETA ha portato al processo che porta al “disegno” di un personaggio digitale sono andati anche nella direzione di un ripensamento di tutto il funzionamento dei muscoli facciali. Come ama spiegare Joe Letteri in persona “i muscoli del volto non funzionano come tutti gli altri muscoli del corpo, non sono direttamente legati allo scheletro”, inoltre Cesare non è un uomo ma uno scimpanzè che più degli altri somiglia agli uomini. E la cosa si deve notare.
L’altra componente centrale, sia del film che del personaggio è l’occhio. E infatti stavolta sono stati costruiti dei sensori tutti particolari per la cattura dei movimenti degli occhi e per il disegno del risultato finale, con particolare enfasi sull’impasto della colorazione e la rifrazione della luce. Anche se a sorpresa questo lavoro non sempre è andato nella direzione del realismo: “Gli occhi sono l’unica parte in cui potresti volerti distaccare dalla realtà per raggiungere quel risultato di intensità d’espressione che ti serve” parola di Letteri.

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