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A me gli occhi

Louis Nero rilegge la figura storica di Rasputin.
di Marianna Cappi

Una foto del film Rasputin di Louis Nero.

giovedì 7 aprile 2011 - Incontri

Il santo demonio: così, con un potentissimo ossimoro, è passato alla storia Grigorij Efimovic Rasputin. Personaggio che più controverso non si può, assurto da contadino delle steppe a consigliere personale dello zar, osannato per il suo potere taumaturgico e al contempo accusato di stregoneria; monaco, mistico, ma tacciato di possedere un’insaziabile libidine. Al cinema lo hanno portato in tanti, fin dal 1917, l’anno successivo alla sua morte, leggendaria quanto e più della sua vita. Non poteva mancare all’appello Louis Nero, giovane eppure già controverso regista italiano, la cui filmografia, su Wikipedia, si trova così commentata: “La Rabbia è stato candidato ai David di Donatello 2007. Pianosequenza è stato detestato con rabbia da buona parte della comunità critica”. In conferenza stampa, presentando il suo Rasputin, in compagnia di Franco Nero, voce narrante, e di alcuni attori, Louis mostra competenza e umiltà. Il suo è un cinema di ricerca, formale e narrativa, di quelli che dividono il pubblico, che non conosceranno probabilmente mai l’ubriacatura dell’unanimità, ma che nascono da un pensiero per sollecitarne altri.

Presentando il film hai parlato di un’opera pittorica, invitando a guardarlo come si guarda ad un dipinto.
Louis Nero: Sì. Al centro del film c’è uno studio sulla pittura russa e in particolare sulle icone, ma c’è anche Rembrandt e Caravaggio, con “Il bacio di Giuda”. Quello che mi premeva era non separare la parte estetica dalla narrazione ma farle procedere parallelamente.

Chi è Rasputin secondo Louis Nero?
Louis Nero: Il mio Rasputin fa un percorso iniziatico forse addirittura opposto a quello dell'occultismo. Verso i 33 anni, non a caso l’età della morte di Cristo, cambia nome, si fa chiamare “Novyj”, uomo nuovo. È un uomo alla ricerca della Verità, che cerca di resistere alle passioni senza evitarle, perché sarebbe troppo facile, ma affrontandole faccia a faccia.

Come ti sei accostato ad un personaggio del genere?
Francesco Cabras: Questo è un film concettuale, per cui la mia recitazione ha cercato la cosiddetta assenza, ovvero di togliere anziché di aggiungere. Ho adottato una recitazione quasi ectoplasmatica, non a caso il personaggio di Rasputin appare e scompare, attraverso una coltre, una soglia o il buio o una nebbia. Quando Louis mi ha proposto il ruolo mi è sembrato un territorio per me inesplorato, nel quale però valeva la pena mi addentrassi.

Louis Nero e Franco Nero: di nuovo insieme.
Franco Nero: È vero, con Louis collaboriamo da anni, da quando mi propose un cameo per Hans, un film sui manicomi, ma a me non piaceva e allora gli ho detto: “se vuoi mi scrivo io una parte”, lui accettò e così mi scrissi quella di un barbone che parla con una colomba, e poi interpretai anche un magistrato. Poi venne La Rabbia, Mario il mago, il corto Lullaby.
Rasputin è un personaggio che molti anni fa, quando giravo con Bondarchuk I dieci giorni che sconvolsero il mondo, un regista russo di cui non ricordo il nome venne sul set e mi propose il ruolo, per i miei occhi magnetici, diceva. Qui non faccio Rasputin ma partecipo comunque all’impresa, facendo la voce narrante sia in italiano che in inglese. Ho presentato io stesso il film al festival di Los Angeles.

Come hai lavorato alla musica del film?
Louis Nero: “Yankee Doodle” non è un pezzo casuale, è stato utilizzato da chi complottò realmente contro Rasputin, tanto che si è parlato anche di un'ingerenza degli Stati Uniti nel complotto. È un po' strano, no? Una marcetta americana in un salotto russo... Abbiamo chiesto a Lino Patruno di farla. Il resto della colonna sonora è opera originale di Teho Teardo. Con Teho l'idea, fin dall'inizio, era di fare un lavoro di ambientazione, non di ricalcare il periodo storico. Lui è molto bravo ad entrare nei film di atmosfera. Gli ho chiesto ritmo, tensione, una musica che si confondesse col film e non fosse solo di supporto, una musica che facesse sì che lo spettatore rimanesse sempre dentro il film, non ne uscisse mai. Anche al mix abbiamo fatto un lavoro insolito, con un tipo di eco per i racconti di ricordi lontani e un altro tipo di eco per i ricordi più vicini. Volevo che fosse un sonoro avvolgente e ho lavorato su questo aspetto più ancora che sul visivo.

Il film è visivamente curato, ambizioso, ma sarà destinato ad un pubblico di pochi eletti o si può sperare in un circuito più ampio?
Louis Nero: L'obiettivo è sempre quello di raggiungere più persone possibili, ma conosciamo la distribuzione italiana e non vale la pena di farsi illusioni. Uscirà in venti copie e mi pare già tanto, visto il tipo di film, ma la cosa più soddisfacente è stato senza dubbio il riscontro internazionale. Dopo le proiezioni, vedersi arrivare la mail del compratore interessato non mi era mai successo.
Franco Nero: Lo stesso è successo con il film di mio figlio Carlo, The Fever: un cast di grandi attori, ma il film veniva definito “non commerciale”. Poi, in America, dopo una proiezione di successo, i distributori si sono convinti a lanciarlo. In Italia, ora come ora, non si può fare il cinema se non c'è la televisione, se non hai il diritto di antenna. I produttori cinematografici non esistono, i soli produttori sono i signori della Rai e di Mediaset. Per fortuna io lavoro in tutto il mondo, non è un mio problema, ma mi dispiace, non c'è nessuna vera rinascita, si fanno dei film ma non c'è un'industria. Quando vengo qui aiuto i giovani registi, i film indipendenti.

Quali sono i modelli dietro questo film, oltre a Greenaway? Le interessa portare avanti un discorso sull’alchimia?
Luis Nero: Greenaway è senza dubbio una fonte di ispirazione per me, ho fatto la tesi su di lui, ma più in Golem, per il quale mi sono ispirato a The Pillow Books. In questo film, invece, ho provato a raccontare con delle scatole più situazioni contemporaneamente, dunque non solo per un fine estetico, come fa Greenaway, appunto, ma per un fine narrativo. La finestra è un “canale” che permette di far venire in superficie queste persone e i loro racconti dal passato, dalla memoria. Nemmeno l'alchimia mi interessava molto, qui. In Golem sì, dieci anni fa, qui no. Qui l'esoterismo è tutto nel contenuto, nel pensiero del protagonista. Rasputin per me chiude un capitolo, in futuro voglio fare cose molto diverse.
Franco Nero: Dovete sapere che Louis ha una sua casa di distribuzione. Per Forever Blues ho fatto l'errore di non farmelo distribuire da lui ma dal Luce, che è la morte della distribuzione e infatti il film è morto. Per fortuna il 2 maggio lo porterò a New Orleans, dove è stato visto dal direttore del festival locale che ha voluto dedicargli addirittura un evento. Per fortuna che c'è il mondo, se no in Italia tutto si fermerebbe.

Chi è il vero nemico di Rasputin?
Louis Nero: Ho scelto di centrare il film sull'individuo, per cui il nemico di Rasputin è lo stesso Rasputin. Qui non parlo di gruppi sociali ma di individui. Jurovkji uccide la famiglia reale ma anche i cani, gli inservienti, chi passava di lì per caso. Il nemico è il potere. Nel caso di Rasputin, il nemico storico è anche il pregiudizio su di lui, che è ovunque, dai film Disney a Hellboy. Sono certo che non il mio film ma l'apertura dei diari porterà ad un ripensamento su di lui anche tra i russi. Non dico che lo faranno santo, ma, come per Giulio Cesare, dopo tanta demonizzazione, riletto, suscita un'altra reazione.

Cosa ti ha colpito di più del personaggio che hai interpretato?
Francesco Cabras: Mi ha colpito la ricerca del potere, non solo di quello politico ma del potere sul sé. Rasputin si avvicina al sesso come metodo di indagine tra i più potenti, poi se ne distacca, fa lo stesso con l'alcool e con molte altre tentazioni. Si trasforma profondamente ad un certo punto della sua vita.

Chiude Daniele Savoca, che nel film interpreta il principe Feliks:

D. Savoca: È il mio terzo lavoro con Louis, che mi chiede una recitazione diversa da quella che studio, che parli prima allo spettatore che all'interlocutore del dialogo. Gli attori per Louis servono a raccontare, ma nulla di più di quello che il film vuol far sapere. Il suo è soprattutto un lavoro di regia, dove gli attori sono confinati di proposito ad un certo ruolo e non devono superarlo.

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