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L'Algeria secondo Camus, tradotta da Amelio

Riflessione sull'ultimo film di Amelio. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Nino Jouglet, in una scena del film Il primo uomo di Gianni Amelio.
Nino Jouglet . Interpreta Jacques bambino nel film di Gianni Amelio Il primo uomo.

lunedì 7 maggio 2012 - Focus

È il momento dei grandi promemoria dell'Algeria. Mezzo secolo fa, esattamente il 3 agosto del 1962 il Paese conseguiva l'indipendenza. I primi segnali importanti di insofferenza coloniale, chiamiamola così, si ebbero in Algeria nel 1911 con la nascita del partito dei Giovani Algerini. La traiettoria indipendentista prosegue con la fondazione a Parigi, da parte degli emigrati algerini, del movimento Stella Nordafricana, 1923. Nel '42 in Algeri – la Francia è occupata dai nazisti - si costituisce il governo provvisorio della Francia libera. Molti algerini si uniscono alla resistenza. Recentemente, Edgar Morin, il grande intellettuale francese ospite a Milano, ha ricordato quell'episodio: " Gli algerini si unirono ai francesi, molti morirono, e alla fine della guerra, invece di essere loro riconoscenti, continuavamo a trattarli come una colonia." Il novantunenne Morin ha parlato con cognizione di causa, era là. Nel '43 Ferhat Abbas che identifica insieme a Ben Bella, e ad altri, la lotta algerina, pubblica il "Manifesto del popolo algerino" e proclama la fine del regime colonialista. Seguiranno rivolte e repressioni, anche durissime, morirà un milione di algerini, su dieci milioni di popolazione, ci sarà, nel '57 la famosa battaglia di Algeri, prima di arrivare, nel 1962, alla firma di un armistizio con la Francia e all'indipendenza.

Premessa
Questa è la premessa storica opportuna per assumere la vicenda narrata ne Il primo uomo, firmato da Gianni Amelio. Il film si rifà al romanzo postumo di Albert Camus. Si racconta la vicenda di Jean Cormery che alla fine degli anni Cinquanta ritorna in Algeria dov'è nato, alla ricerca del suo passato. Jean Cormery è semplicemente Albert Camus. Le loro storie sono identiche. Camus nacque nel 1913 in Algeria. Studiò là in condizioni non certo facili. Si trasferì a Parigi, partecipò alla resistenza, nel '42 scrisse un libro importante, Lo straniero, che sarebbe diventato un film di Visconti nel '67. Nel '47 firmò uno dei romanzi fondamentali del Novecento, "La peste". Dieci anni dopo si vide assegnare il premio Nobel. Morì nel 1960 per un incidente automobilistico. Stava lavorando al "Primo uomo", appunto. Il codice della narrativa di Camus è l'insoddisfazione, l'incapacità, da parte dell'umano di trovare una giustificazione al vivere, e la coscienza dell'assurdo. E dunque, visto che il nodo non lo si può sciogliere, tanto vale dedicarsi a un compito, a un'azione, una qualunque purché sia un impegno profondo. Per lo scrittore, quell'azione era il suo Paese. "Assurdo" può significare la sua condizione di intellettuale francese ma che sempre rivendicò la sua radice nordafricana. Il protagonista Jean ritrova sua madre, sempre analfabeta ma positiva e saggia com'era da giovane. E corrono i ricordi, soprattutto della nonna, dura e basica, ma certo importante in quel contesto così difficile. Durante la sua visita Cornery-Camus assiste a un paese in apnea, certo non felice, non ancora libero. Il centro del ricordo sono gli anni Venti, quando Jean è alle medie, il tempo della formazione. È intelligente, più di tutti. E questo gli assegna di fatto, non cercato, un privilegio, una borsa di studio che gli permetterà di continuare, approfondire, diventare in giorno... Camus. Fra flash e presente Jean cerca anche di approfondire se stesso, di capire se il germoglio si è poi sviluppato secondo speranza e destino. Ma c'è davvero poco di felice intorno a lui e dentro di lui. E poi l'incontro più importante, col professor Bernard, ormai vecchio, al quale Jean deve quasi tutto, per cominciare la cultura dell'Algeria, la coscienza della condizione di colonia. E poi i grandi principi che da uomo, Jean svilupperà: la libertà e l'azione.

Finale
Camus, purtroppo, mancherà per due anni il grande momento finale. Non vedrà realizzati compiutamente il Paese e se stesso. Magnifica storia, romanzo in sonno (cinematografico) che Gianni Amelio ha affrontato e assunto, scrivendo la sceneggiatura. Ottimi gli attori con uno Jacques Gamblin che riesce ad assomigliare all'"originale" Camus. Amelio presenta il suo stile scarno e rigoroso, non ci sono impennate, invenzioni e accelerazioni. È il solito Amelio di sempre, esegue bene il compito che si prefigge. Ma con questa operazione si accredita di una grande benemerenza, in un momento, italiano, dove il cinema tocca argomenti diversi dalla cultura e da un respiro che non sia autoctono. Amelio sapeva in partenza che il film sarebbe stato apprezzato da pochi, e così è stato. Ma quei "pochi" sono quelli buoni.

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