È dal 1997 che la maturità non è più tanto matura. Quell'anno, la riforma di Luigi Berlinguer modificò radicalmente le modalità dell'esame di diploma: cambiavano i voti (niente più scala in sessantesimi ma in centesimi), il numero di prove scritte (tre al posto di due), il sistema di punteggio (i crediti scolastici accumulati nel triennio), la commissione d'esame (docenti sia interni che esterni all'istituto). Ma soprattutto, cambiava nome: da "esame di maturità" al più formale e distinto "esame di Stato". Segno dei tempi? In effetti, per quanto la dizione d'epoca littoria rimanga ancora quella più comune, niente impedisce di pensare il cambio d'appellativo come un riconoscimento indiretto di quella neo-vocazione-maledizione giovanile all'essere "bamboccioni" (secondo un altro ben noto appellativo ministeriale). E d'altronde, di questi tempi, come sostenere sinceramente che superati i diciott'anni si diventi maturi? Su che basi dimostrare che una conoscenza ampia del sapere istituzionale sia condizione necessaria e sufficiente a penetrare il mondo degli adulti e delle responsabilità? Anche perché, se ciò poteva essere arduo da pensare nelle estati pre-sessantottine, ormai rappresenta un'empia illusione.

Dal grande freddo al piccolo tiepido
Della maturità immatura parla anche la nuova commedia di Paolo Genovese, presentando un gruppo di trentottenni, ex-compagni di liceo, che si ritrovano a dover ripetere venti anni dopo l'esame di diploma. Gli Immaturi di Genovese sono le varie facce dei tanti "giovani adulti" di oggi intimoriti dai naturali tornanti della vita: c'è chi teme l'arrivo di un figlio, chi le stabilità della monogamia, chi fugge un rapporto sentimentale sano per problemi col sesso, chi non vuole abbandonare il nido familiare per pigrizia, chi ha troppe amanti, chi ne ha troppi pochi, e così via... Accoppiando ignobilmente Eduardo con Stephen King, gli esami non solo "non finiscono mai", ma "a volte ritornano". E in questo incrocio ritardato e ripetuto fra verifica scolastica e prove esistenziali, non scorgiamo alcun riverbero d'amarezza o, ancor meno, grumo d'orrore, quanto piuttosto uno dei tratti salienti dei "nuovi immaturi": l'eterna nostalgia. L'effetto Notte prima degli esami non ha affatto esaurito il suo fascino, anzi, dopo il revival vintage degli anni Ottanta e quello più fresco dell'ultima vittoria mondiale, la maturità scruta nella propria memoria infantile e rivela il suo fascino assieme solenne e spensierato, sacrale e giocoso. E, soprattutto, (d)enuncia il suo target insospettabile di ultra-trentenni non più desiderosi di provare brividi malinconici di grande freddo, quanto di scaldarsi il cuore attraverso il profumo carezzevole di una madeleine pop e le note sintetiche delle sigle dei cartoni animati.

I tempi immaturi
Ma le dolci sirene dell'infanzia non debbono trarre in inganno, in quanto, come sostiene Emiliano Morreale nel suo saggio sul vintage "L'invenzione della nostalgia", «la nostalgia non ci dice niente del periodo che rimpiange, ma ci parla in maniera obliqua della situazione presente». Così, il nostalgismo degli Immaturi di Genovese non racconta le passioni perdute, le ambizioni fallite o il tempo delle mele marcite dei liceali degli anni Ottanta, ma il piacere legato al ritrovamento delle stesse. È il desiderio sempre più acuto di ricercare affetti spensierati e passioni effimere, il vero principio trasversale che lega assieme le varie generazioni cresciute coi programmi della televisione commerciale, quelle che ancora compongono l'ampia categoria dei "giovani d'oggi". Per ognuno di loro, di noi, il fascino reale della rimpatriata non sta tanto nel ritorno al passato, quanto nella possibilità di congelare il presente, di riuscire a fermare il tempo e rivivere gli eterni attimi di una (im)maturità terribile e vivace.