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luciano46
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lunedì 18 aprile 2011
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film sulla solitudine
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Ottima la recitazione di Piccoli e non solo la sua. Film sul grande tema della solitudine dell'uomo davanti alle proprie responsabilita', ottima colonna sonora e l'atmosfera in generale
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greylaw
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lunedì 18 aprile 2011
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premesse sbagliate
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Il film di Moretti è stilisticamente molto ben fatto, si vede la mano di una regia esperta e consapevole, sicuramente una delle migliori in Italia. Il film è piacevole, leggero, con poche pacate riflessioni sull'umanità degli alti prelati, senza quella critica verso la Chiesa o verso i suoi membri che probabilmente molti si aspettavano. Un film umano, umanissimo. Un'umanità che traspare molto bene dai decisamente bravi attori, uno su tutti Piccoli.
Ma purtroppo il film, a mio parere, si fonda su due premesse sbagliate:
1) Parliamo di Cardinali, di Papi, di Vaticano, di Conclave. Tutto è analizzato molto bene da un punto di vista umano, il "divino", il "sacro" , "Dio", vengono accennati, sfiorati, lasciati sullo sfondo.
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Il film di Moretti è stilisticamente molto ben fatto, si vede la mano di una regia esperta e consapevole, sicuramente una delle migliori in Italia. Il film è piacevole, leggero, con poche pacate riflessioni sull'umanità degli alti prelati, senza quella critica verso la Chiesa o verso i suoi membri che probabilmente molti si aspettavano. Un film umano, umanissimo. Un'umanità che traspare molto bene dai decisamente bravi attori, uno su tutti Piccoli.
Ma purtroppo il film, a mio parere, si fonda su due premesse sbagliate:
1) Parliamo di Cardinali, di Papi, di Vaticano, di Conclave. Tutto è analizzato molto bene da un punto di vista umano, il "divino", il "sacro" , "Dio", vengono accennati, sfiorati, lasciati sullo sfondo. E' davvero plausibile ciò? Siamo nelle aule e nelle case del Dio cattolico e di lui non troviamo quasi traccia? Dov'è la riflessione sul divino, sul compito sacro di questi uomini, sulle loro responsabilità come pastori prima che come vescovi? Mi sembra che Moretti abbia sorvolato un po' grossolanamente su questo punto e non ne comprendo il motivo.
2) Habemus Papam ha un altro grande difetto. Si basa su una situazione irreale. Difatti la procedura di elezione del Pontefice si conclude con l'accettazione del pontificato da parte del candidato eletto davanti al conclave. E lì colui che è stato eletto può rifiutare la carica senza che all'esterno si sappia nulla. Poi si procede con una nuova elezione. Il personaggio di Piccoli nella realtà non avrebbe accettato la carica per poi non affacciarsi alla balconata poco dopo. Semplicemente avrebbe rifiutato davanti al conclave. Grave errore di Moretti che dimostra una scarsa conoscenza delle procedure di elezione vaticane. La prima regola per fare un film è informarsi su ciò che si vuole raccontare, lui non lo ha fatto.
In conclusione: 2 stelle per regia, montaggio e attori (Moretti incluso). Peccato per gli errori strutturali.
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angius48
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mercoledì 20 aprile 2011
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bravo moretti!
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Bello, surreale poetico. E' stato definito una commedia, è in realta una rappresentazione in alcuni tratti assai drammatica. Affronta il tema dell'inadeguatezza umana ad affrontare compiti immani, e sceglie singolarmente la figura del Papa cattolico, che se vogliamo è forse il più immane esercizio di potere al mondo. Lo fa con estrema delicatezza e a volte dolcezza,come quando dipinge il Sacro Collegio come un convivio di innocentissimi e candidi vecchietti, cosa sicuramente vera nella realtà ma dubbia quando si pensa ad alcun monsignori che per concreto realismo sfiorano il relativismo etico giustificando le bestemmie del potente di turno. L'interpretazione di Piccoli e eccezionale e raggiunge il culmine nel suo discorso finale al Popolo di Dio riunito in Piazza San Pietro.
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Bello, surreale poetico. E' stato definito una commedia, è in realta una rappresentazione in alcuni tratti assai drammatica. Affronta il tema dell'inadeguatezza umana ad affrontare compiti immani, e sceglie singolarmente la figura del Papa cattolico, che se vogliamo è forse il più immane esercizio di potere al mondo. Lo fa con estrema delicatezza e a volte dolcezza,come quando dipinge il Sacro Collegio come un convivio di innocentissimi e candidi vecchietti, cosa sicuramente vera nella realtà ma dubbia quando si pensa ad alcun monsignori che per concreto realismo sfiorano il relativismo etico giustificando le bestemmie del potente di turno. L'interpretazione di Piccoli e eccezionale e raggiunge il culmine nel suo discorso finale al Popolo di Dio riunito in Piazza San Pietro. L'Avvenire giornnale della CEI ha definito quella scena la fine della Chiesa Cattolica. In realtà esso è l'apoteosi del messaggio cristiano autentico contrapposto al cinismo che a volte avviluppa il Cattolocesimo: Bravo Moretti, vincerà Cannes ed altro!
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mercoledì 20 aprile 2011
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habemus papam
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Habemus Papam è un film fatto di piccole cose, di sensazioni immediate, sorrisi, frasi, gesti ed espressioni dei volti. Un film di Nanni Moretti. Quindi lieve e profondamente significativo, abitato dal suo autore, che riesce a rendere propria ogni parola. Moretti dimostra che per raccontare e interpretare argomenti soliti, quotidiani, quindi importanti, non bisogna essere necessariamente banali, e per non essere banali non bisogna necessariamente ostentare arguzia o cinismo. Con la sua accessibile atipicità Moretti costruisce cinema pieno, compiuto perché accennato.
La storia del papa che fugge dal suo incarico si scioglie fra due luoghi, uno chiuso e l’altro aperto, e fra interiorità ed esteriorità si muove anche l’incertezza del protagonista.
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Habemus Papam è un film fatto di piccole cose, di sensazioni immediate, sorrisi, frasi, gesti ed espressioni dei volti. Un film di Nanni Moretti. Quindi lieve e profondamente significativo, abitato dal suo autore, che riesce a rendere propria ogni parola. Moretti dimostra che per raccontare e interpretare argomenti soliti, quotidiani, quindi importanti, non bisogna essere necessariamente banali, e per non essere banali non bisogna necessariamente ostentare arguzia o cinismo. Con la sua accessibile atipicità Moretti costruisce cinema pieno, compiuto perché accennato.
La storia del papa che fugge dal suo incarico si scioglie fra due luoghi, uno chiuso e l’altro aperto, e fra interiorità ed esteriorità si muove anche l’incertezza del protagonista. Lo psicoanalista Moretti è rinchiuso in Vaticano, mentre il pontefice Piccoli vaga per i bar, gli alberghi, le strade di Roma. Il contesto ecclesiastico non è casuale né secondario, ma è del tutto mutato dall’occhio e le intenzioni dell’autore: lo spazio circoscritto dei luoghi del conclave è equivalente alla piscina di Palombella Rossa, è un posto dove le cose spesso accadono apparentemente senza una ragione, dove le persone si mostrano e riflettono la parte di mondo che li ha creati e plasmati. Rispetto a Palombella Rossa qui Moretti costruisce anche un certo calore, di certo non solo per il senso che nasce dalla possibilità di poterlo congelare. I cardinali di Habemus Papam sono descritti con affetto, sono ansiosi e insicuri, nell’attesa di una guida che si è trovata nella necessità di interrogarsi sul proprio ruolo e sulla propria esistenza, su quel che si è e quel che si sarebbe voluto essere.
E intanto uno splendido Michel Piccoli osserva il mondo come se fosse la prima volta, coraggiosamente impone la propria umanità sui codici e i pensieri che si dà per scontato accompagnino il suo ruolo, e scandalosamente spiazza quell’altera ottusità che nutre la ricerca e l’esercizio del potere. Il significato etico e politico del dubbio, dell’inadeguatezza, del concedersi una complessità esplode in un finale sostanzialmente opposto a quello de Il Caimano (come opposte sono le due figure al centro delle storie), e quindi altrettanto forte e incisivo.
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(di paperino)
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gibi3
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giovedì 21 aprile 2011
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stimolante senza implicazioni religiose
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Molti,riguardo al comportamento ed alla decisione finale del Papa parlano di "paura" ma questa nasce da un pericolo specifico ben inividuato mentre nel caso si dovrebbe parlare di"angoscia"che nasce dal non sentirsi alla altezza della generalità dei problemi da affrontare .Uno dei principali efffetti della angoscia è l'annullamneto della persona ,il vuoto parallizzante, ben reso nel film.Mentre per persone che devono assumere responsabilità nel campo politico,inustriale ecc.le cause della angoscia possono essere diverse per un Papa la causa va ricercata in primis nella "fede" o meglio nel grado della fede,Questo è ben chiaro allo psicologo (Moretti) che scusandosi chiede al Papa "ha problemi con la fede?".
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Molti,riguardo al comportamento ed alla decisione finale del Papa parlano di "paura" ma questa nasce da un pericolo specifico ben inividuato mentre nel caso si dovrebbe parlare di"angoscia"che nasce dal non sentirsi alla altezza della generalità dei problemi da affrontare .Uno dei principali efffetti della angoscia è l'annullamneto della persona ,il vuoto parallizzante, ben reso nel film.Mentre per persone che devono assumere responsabilità nel campo politico,inustriale ecc.le cause della angoscia possono essere diverse per un Papa la causa va ricercata in primis nella "fede" o meglio nel grado della fede,Questo è ben chiaro allo psicologo (Moretti) che scusandosi chiede al Papa "ha problemi con la fede?".La risposta in tutta sincerità non poteva che essere negativa ma la realtà è un'altra.Questo uomo-Papa non ha quella fede assoluta e totalizzante-che gli avrebbe fatto superare l'angoscia- quale quella di Abramo che in silenzio e senza pensare avrebbe sacrificato il proprio figlio.Tutto ciò è perfettamente umano e questo Papa nella sua decisione è meritevole ,come uomo , di comprensione,stima e riconoscenza sia da laici che da credenti:Il film , tranne qualche sbavatura, svolge il tema con coerenza ed è senz'altro positivo per il nostro cinema .
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aesse
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martedì 3 maggio 2011
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" un destino licenziato"
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SU HABEMUS PAPAM “ UN DESTINO LICENZIATO”
Habemus 1° persona plurale: noi, noi tutti, anche quelli che coloro che si sentono detentori della verità assoluta chiamano atei con l’insopportabile arroganza di definire chi non aderisce alla loro fede come senza Dio, no meglio senza fede, sì c’è chi ha la fede e chi no…ma tutti noi abbiamo il Papa e non è dato esimerci da tale relazione ammesso che lo volessimo, ammesso che sia un’aspirazione lecita il dissociarsi dalle proprie origini, dalla propria storia.
Ebbene il papa Melville dell’”Habemus Papam” di Nanni Moretti è proprio come i senza fede lo vorrebbero; non si sa con quale percentuale di santità ma certo con una bella dose di coraggio, di quello che attiene all’uomo, che si manifesta nel dubbio e nella fragilità che fa dell’inadeguatezza al compito il suo più nobile carattere.
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SU HABEMUS PAPAM “ UN DESTINO LICENZIATO”
Habemus 1° persona plurale: noi, noi tutti, anche quelli che coloro che si sentono detentori della verità assoluta chiamano atei con l’insopportabile arroganza di definire chi non aderisce alla loro fede come senza Dio, no meglio senza fede, sì c’è chi ha la fede e chi no…ma tutti noi abbiamo il Papa e non è dato esimerci da tale relazione ammesso che lo volessimo, ammesso che sia un’aspirazione lecita il dissociarsi dalle proprie origini, dalla propria storia.
Ebbene il papa Melville dell’”Habemus Papam” di Nanni Moretti è proprio come i senza fede lo vorrebbero; non si sa con quale percentuale di santità ma certo con una bella dose di coraggio, di quello che attiene all’uomo, che si manifesta nel dubbio e nella fragilità che fa dell’inadeguatezza al compito il suo più nobile carattere. Quelli senza fede non conoscono la materia della santità ma sanno dell’eroismo che agisce attraverso il coraggio che rende proponibile e perseguibile ciò che sarebbe dato per impossibile. E’ così che si muove il neoeletto Papa interpretato magistralmente di Michel Piccoli che certo alla gradevolezza, allo spessore e alla profondità del personaggio dà un bel valore aggiunto, intenerisce e sollecita ammirazione, ci partecipa il travaglio esistenziale e ci consola con la dignità della scelta la cui qualità è in stretta relazione con il rispetto che ognuno di noi dovrebbe a se stesso. Gli altri, quelli disorientati, quelli che dicono che un Papa così rappresentato non è reale, che non è concepibile rifiutare un destino di quel tipo per uno che dice di credere, e il Papa Melville lo ribadisce, forse sarebbe come dico io se Cristo avesse rifiutato la croce, ma qui c’è l’uomo che con grande coraggio, prendendolo in mano licenzia il proprio destino e afferma se stesso… ebbene gli altri possono ampiamente consolare il proprio disorientamento con la visione di questo film, esempio fulgido di morettismo massimamente compiuto. Un film che è profondo e commovente quanto comico e tenero in un alternanza così armoniosa che lo libera da qualsiasi eventuale pericolo didascalico e lo fa terribilmente assomigliare alla vita. Se poi la firma è troppo ingombrante, se traspare la voglia di Moretti di continuare a raccontarsi anche in questa storia non possiamo esimerci dal definire questa sua firma parte integrante dell’opera, la sua cifra originale, che non come fedeli devoti ma come pubblico attento e appassionato non possiamo che gradirne la gradevolezza e lodarla.
ANTONELLA SENSI
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alessio.sushi
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giovedì 19 maggio 2011
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attualità e originalità
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Magistrale Moretti. Il suo ultimo lavoro si distingue dai precedenti e forse per questo non è stato ben digerito da molte persone. Personalmente lo trovo di un interesse e di una attualità estrema. L'idea di trattare un argomento così delicato con l'ironia, per poi arrivare, comunque ed inevitabilmente, ad una conclusione (e di conseguenza ad una riflessione) così spiazzante, tragica, ma attuale, (forse anche necessaria?) è geniale. La trama, ridotta ai minimi termini, è semplice: un cardinale viene eletto papa ma non è pronto ad affrontare questo ruolo. La scelta di Moretti, ovvero quella di "sdoppiare" la storia, rende assai originale la pellicola.
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Magistrale Moretti. Il suo ultimo lavoro si distingue dai precedenti e forse per questo non è stato ben digerito da molte persone. Personalmente lo trovo di un interesse e di una attualità estrema. L'idea di trattare un argomento così delicato con l'ironia, per poi arrivare, comunque ed inevitabilmente, ad una conclusione (e di conseguenza ad una riflessione) così spiazzante, tragica, ma attuale, (forse anche necessaria?) è geniale. La trama, ridotta ai minimi termini, è semplice: un cardinale viene eletto papa ma non è pronto ad affrontare questo ruolo. La scelta di Moretti, ovvero quella di "sdoppiare" la storia, rende assai originale la pellicola. Da una parte lo psicanalista Brezzi con i cardinali tra le mura del vaticano, dall'altra il papa, interpretato da uno straordinario Michel Piccoli, che vaga alla ricerca di se stesso e della sua forza per le strade di Roma. A mio avviso, la grande originalità sta in questo: Moretti da ateo analizza il film senza condannare e senza assolvere la Chiesa. Non è espressa una critica evidente e non si fa nemmeno riferimento a recenti vicende che avrebbero macchiato la visione del mondo cattolico. D'altra parte, l'analisi del papa come uomo insicuro e debole sembra mostrare l'insicurezza e la debolezza della Chiesa stessa. Debolezza dovuta a qualcosa di universale e di molto grande. Tanto il papa di Moretti è capace di rinunciare e, grazie a questo gesto, di trasformare la sua debolezza in forza, tanto la Chiesa, nonostante cerchi di mostrarsi più in vigore che mai, è stanca e consumata.
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paapla
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domenica 17 aprile 2011
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un elogio alla lentezza
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Un elogio alla lentezza. Un viaggio interiore. Pièce teatrale, melodramma di un quadro impressionista con afflitte atmosfere. Il Gabbiano di Cechov vola alto nella sceneggiatura di Habemus Papam tutti i protagonisti del film sono cechoviani, inimitabili per sensibilità e realismo, per forza allegorica e delicatezza.
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(di massimo)
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marco d'agostin
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martedì 19 aprile 2011
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habemus capolavorum
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Non bisogna avere il timore, quando capita, di gridare al capolavoro. Non lo si deve avere soprattutto in un momento come questo, in cui si palesa sempre più fortemente la necessità di difendere il cinema italiano, e anche se non si può dire che esista una vera e propria scuola, cui corrisponda un'identità forte e condivisa, è necessario ribadire che Moretti è un vero e proprio tesoro della scrittura cinematografica nostrana.
La potenza e la peculiarità di questo nuovo lavoro poggiano principalmente su tre cardini. Il primo è la sospensione del giudizio: sarebbe stato facile, soprattutto per un uomo schierato come Moretti, scadere nel ritratto grottesco o nel tentativo di umanizzazione della figura papale (cui fa da controparte il colorato quadro del mondo cardinalesco); tuttavia tutte le proposte si fermano un passo prima di sconfinare nel moralistico o nel partigiano.
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Non bisogna avere il timore, quando capita, di gridare al capolavoro. Non lo si deve avere soprattutto in un momento come questo, in cui si palesa sempre più fortemente la necessità di difendere il cinema italiano, e anche se non si può dire che esista una vera e propria scuola, cui corrisponda un'identità forte e condivisa, è necessario ribadire che Moretti è un vero e proprio tesoro della scrittura cinematografica nostrana.
La potenza e la peculiarità di questo nuovo lavoro poggiano principalmente su tre cardini. Il primo è la sospensione del giudizio: sarebbe stato facile, soprattutto per un uomo schierato come Moretti, scadere nel ritratto grottesco o nel tentativo di umanizzazione della figura papale (cui fa da controparte il colorato quadro del mondo cardinalesco); tuttavia tutte le proposte si fermano un passo prima di sconfinare nel moralistico o nel partigiano. Non c'è una morale servita sul vassoio d'argento e le cose, finalmente, vanno "come devono andare", secondo la logica che hanno seguito nel corso della pellicola, senza ricorrere gli effettoni speciali da kolossal dei sentimenti.
Il secondo riguarda il sottilissimo confine tra comico e tragico. E' un confine tessuto alla perfezione, di trama finissima. Non c'è momento di riso che non corrisponda immediatamente al suo versante drammatico. E' un esito che si ripresenta costante, nel film, e che ha il suo eguale più recente ne "La vita è bella" di Benigni.
Il terzo cardine è Michel Piccoli, che ci restituisce un personaggio sottilissimo, delicato, assolutamente credibile. Infila le poche (e scarne) battute con onestà e trasparenza, senza manierismi, giocando con l'ironia e la sofferenza. E' una scelta azzeccata, uno shiaffo in faccia alla folta schiera di attori che son stati papi nelle fiction italiane, gli uno dopo gli altri identici a se stessi.
"Habemus papam" è un film di rara intelligenza; all'inizio ruota attorno a una costruzione dell'immagine e dell'ambiente sonoro estremamente sontuosa, clericale, imponente; la distruzione di quest'immagine avviene piano piano, per passaggi, senza mai essere scontata: prima arriva la colazione dei cardinali, poi la partita a carte, infine il torneo di pallavolo. Non c'è mai un'aperta derisione o demonizzazione del mondo vaticanense, ma sempre una discreta decostruzione, dall'interno appunto, dell'immagine che tutti noi abbiamo. Un'immagine che è iconica, ma anche di contenuto. E che si spoglia, viene ribaltata, diventa quasi amabile, poi non più.
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[+] non esageriamo, è solo un buon film
(di weach)
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diana di francesca
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venerdì 22 aprile 2011
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habemus papam?
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“Vacanze Romane” in Vaticano. Ma se la principessa in crisi impersonata da Audrey Hepburn, dopo il vagabondaggio turistico-sentimentale tra la gente comune, sceglie di accettare la sua responsabilità e una vita “al servizio” del suo popolo, il cardinale Meliville, eletto a sorpresa Papa, acquista dalla sua evasione la certezza epicurea del “Λάθε βιώσας'”.
Il “Viaggio dell’Eroe” inizia stavolta singolarmente con una fuga. Melville è un eroe riluttante, stanato dal luogo dove si sentiva al sicuro, un eroe umano, troppo umano, sul cui viso lo straordinario Michel Piccoli imprime le sfumature dell’attesa, dell’incredulità, dello smarrimento, del panico.
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“Vacanze Romane” in Vaticano. Ma se la principessa in crisi impersonata da Audrey Hepburn, dopo il vagabondaggio turistico-sentimentale tra la gente comune, sceglie di accettare la sua responsabilità e una vita “al servizio” del suo popolo, il cardinale Meliville, eletto a sorpresa Papa, acquista dalla sua evasione la certezza epicurea del “Λάθε βιώσας'”.
Il “Viaggio dell’Eroe” inizia stavolta singolarmente con una fuga. Melville è un eroe riluttante, stanato dal luogo dove si sentiva al sicuro, un eroe umano, troppo umano, sul cui viso lo straordinario Michel Piccoli imprime le sfumature dell’attesa, dell’incredulità, dello smarrimento, del panico. E tuttavia egli compie un percorso, affronta difficoltà, si misura con se stesso, e alla conclusione del viaggio riporta comunque un “elisir”, una consapevolezza che però non è quella che ci si aspettava.
Il viaggio di Melville impone un viaggio parallelo e antitetico anche agli altri,(lopsichiatra, i cardinali) bloccandone la dimensione temporale e psichica in un non-luogo che li riavvicina alla dimensione dell’infanzia, ai giochi e alle paure del puer, svelati da una strana partita che non è mai quella del tempo perduto (palla prigioniera non si gioca più), o da una inconfessabile boccetta di tranquillanti.
Melville rimette in discussione un atto già compiuto, un atto che porta il crisma del sacro; forse mette in discussione la volontà di Dio; non lo sapremo mai, però sappiamo che con pena, con fatica, egli ha compiuto la “sua” volontà di uomo.
Come Konstantin del Gabbiano –non è casuale la presenza di Cechov che in tanta parte della sua opera ha indagato il “mistero” dei “non adatti”- anche Melville non sa più qual è il suo posto nel mondo, è tormentato dal dubbio su quale sia veramente, profondamente, la sua vocazione e su quanto egli sia in grado di riconoscerla e realizzarla. Anche lui fa “tirar giù il sipario” al primo atto, non permettendo che la rappresentazione abbia luogo; ma, al contrario di Konstantin, alla fine del percorso egli evita il dramma accettandosi nelle sue insicurezze. Le tende del balcone che avevano ondeggiato su uno spazio vuoto, in absentia, infine si aprono, la rappresentazione ha il suo scioglimento politicamente e mediaticamente corretto, con la catartica esternazione sul palcoscenico più vasto del mondo.
Il fragile Melville sfida l’atto compiuto, spariglia le carte imprimendo una diversa conclusione alla partita e diventando per ciò stesso eversivo.
In una società spietata verso chi non nasconde i propri dubbi e le proprie ferite, che etichetta come perdente chi riconosce un limite, Melville rivendica il diritto di non voler essere innalzato, di sentirsi, -o essere,- inadeguato, il diritto di dire no.
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