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Si può dire no: anche alla commedia all'italiana

Cortellesi e Argentero in un film di denuncia sulle raccomandazioni.
di Ilaria Ravarino

Una foto del film C'è chi dice no di Giambattista Avellino.
Paolo Ruffini (Paolo Stefano Ruffini) (45 anni) 26 novembre 1978, Livorno (Italia) - Sagittario. Interpreta Samuele nel film di Giambattista Avellino C'è chi dice no.

martedì 5 aprile 2011 - Incontri

C'è chi dice no, un titolo che è tutto un programma. In sala dall’otto aprile, il film di Giambattista Avellino con Luca Argentero, Paola Cortellesi e Giorgio Albertazzi, dice no a molte cose. No alla risata fine a se stessa e no alla stucchevole leggerezza con cui da tempo si dipinge la giungla del precariato, bomba sociale addomesticata dalla nuova commedia all’italiana che in questo film non esplode ma scoppietta, meno innocua del normale. No ai raccomandati nel cast, e la garanzia è nei nomi: prima di tutti quelli di Paola Cortellesi e Luca Argentero, due vittime del piccolo schermo abilitate con sospetto al cinema dalla lunga gavetta delle fiction. E no all’happy-happy end, nessuna rassicurante pacca sulle spalle prima di uscire dal cinema, perché al centro del film c’è un dramma, la raccomandazione e il precariato, «che abbiamo scelto di raccontare dopo aver osservato situazioni analoghe a quelle del film vissute sulla pelle di molte persone care - ha detto il produttore Marco Chimenz - che ci hanno spiegato come funzionano questi meccanismi umilianti nelle università e negli ospedali, e il torbido sistema dei concorsi».

Perché usare lo strumento della commedia per parlare di un tema così drammatico?
Avellino: Dietro la definizione di commedia ci sono tante sfumature. Nel nostro caso abbiamo scelto di occuparci di un tema sociale senza doverlo per forza edulcorare, dandogli magari un lieto fine. Usiamo il sorriso come un grimaldello, per far riflettere lo spettatore.
Albertazzi: Ultimamente la commedia ha detto più cose sui cattivi servizi e sugli abusi nel nostro paese di quanto non abbia fatto il dramma. Avellino ha girato con leggerezza e precisione denunciando non solo il nepotismo e la raccomandazione, ma anche la burocrazia che blocca il nostro paese. Se questo viene detto con il sorriso tanto meglio.
Cortellesi: La commedia è un mezzo importantissimo per raccontare il paese. Certo, i prodotti devono essere valutati singolarmente: ma il solo fatto di aver scelto la commedia per parlare di un tema serio non deve diventare un deterrente.

E l’happy end? Che commedia è, senza lieto fine?
Avellino: Il finale è stato argomento di lunghe discussioni, ma non credo sia così drammatico: anzi, per me nasconde la speranza che i nostri personaggi nonostante tutto abbiano gettato come un seme per una specie di rinascita della società. Abbiamo difeso strenuamente la scelta di non alleggerire troppo il copione, e il montaggio ha esaltato una certa emotività della storia di cui non ci eravamo resi conto durante le riprese.

Un altro film nell’abusato solco della buona, vecchia, commedia all’italiana?
Avellino: No, il nostro film segue un altro percorso. Qui non c’è la cattiveria della commedia all’italiana, i tempi da allora sono cambiati. Oggi non ci sono più personaggi da mettere alla berlina, oggi c’è bisogno di redenzione.

Il film esce dopo il momento di grazia della commedia, i cui incassi in queste settimane stanno calando: vi spaventa una possibile inversione di tendenza?
Chimenz: a noi della Cattleya piace fare film per il pubblico e a volte va bene, altre volte va male. Cattleya lavora sui romanzi, con sceneggiatori in grado di strutturare le storie in maniera molto solida: abbiamo anche perso dei treni, qualche volta, perché non eravamo soddisfatti. A livello di mercato abbiamo assistito a una crescita gigantesca, superiore al 30%, del prodotto italiano. Il calo in questo momento riguarda soprattutto le commedie americane.

Ma le raccomandazioni sono un problema solo dell’Italia di oggi?
Albertazzi: No, ma oggi questo mercimonio è peggiore rispetto ai miei tempi: se ieri c’erano due sottosegretari, oggi ce ne sono sette che si spartiscono la torta.
Argentero: È difficile capire quanto sia radicato nella nostra società questo tipo di ragionamento, che arriva a condizionare la vita quotidiana della collettività. Il film certamente non offre soluzioni, magari darà lo spunto per una piccola presa di coscienza.

E le raccomandazioni nel mondo dello spettacolo? Ci sono?
Argentero: Sì, io per questo ho ricevuto tanti no. Poi certo, li ho presi anche perché il mio passato non accademico, da attore non professionista, non aiutava. Paradossalmente, aver detto io stesso dei no ha fatto sì che per magia arrivassero dei ruoli migliori.
Cortellesi: Il mondo dello spettacolo è un mondo a parte. Ci sono le raccomandazioni, ma non determinano la longevità artistica. Non puoi veramente imporre nessuno al pubblico: se piaci, funzioni. Altrimenti, dopo un po’, la tua carriera si interrompe.

Perché avete ambientato il film a Firenze?
Avellino: Il problema delle raccomandazioni è diffuso ovunque, ma in una grande città se ti si chiude una porta si può sempre aprire un portone. In una città più piccola, invece, le pressioni sono maggiori: perdere un’occasione può davvero metterti con le spalle al muro.

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