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Ann Hui, una vita semplice, un cinema semplice

La regista di A Simple Life parla del film e del lavoro con Andy Lau.
di Emanuele Sacchi

In foto la regista Ann Hui (al centro) con il cast del film A Simple Life.
Ann Hui (76 anni) 23 maggio 1947, Anshan (Cina) - Gemelli. Regista del film A Simple Life.

martedì 20 settembre 2011 - Incontri

Quando si ha la fortuna di rubare qualche minuto ad Ann Hui durante i frenetici giorni della Mostra del Cinema, la sensazione di attesa per un premio è forte. Il premio arriverà, per una straordinaria Deanie Ip, anche se molti avrebbero sperato in qualcosa di più. A Venezia è arrivata quasi in punta di piedi, sconosciuta ai più nonostante una carriera di enorme spessore, i cui inizi risalgono alla stagione aurea della New Wave di Hong Kong e il cui prosieguo non ha mai tradito la poetica della regista. La Hui, pur non disdegnando incursioni nel cinema di genere, ha sempre privilegiato l’aspetto sociale - e sovente il punto di vista femminile - per tratteggiare storie di gente comune, ambientate a Hong Kong ma rivolte al mondo intero. A Simple Life, a cominciare da quel titolo così semplice e così definitivo, pare il coronamento di una carriera mirabile.

Che sensazione si prova ad essere qui a Venezia per la prima volta? Alle proiezioni ufficiali gli applausi sembravano non avere mai fine...
Il responso del pubblico ha davvero superato le mie più rosee aspettative, sono molto felice.

Come molte delle sue opere, specie delle ultime, A Simple Life si concentra ancora su questioni sociali e temi legati ai ceti meno abbienti. Visto il cast sontuoso e questo titolo così onnicomprensivo, sente che A Simple Life sia in qualche modo “speciale”?
Per me questo film è importante come gli altri, non lo definirei “speciale”. Sinceramente ho la fortuna di aver sempre girato i film che volevo girare, un privilegio di cui sono fiera. Sono molto fortunata perché mi è arrivato un ottimo soggetto su un piatto d'argento e poi ho potuto fare un po' di ricerche sul campo e avvalermi di un ottimo cameraman come Yu Lik-wai (prestigioso direttore della fotografia di Hong Kong, nda) e grazie ad Andy Lau ho avuto a disposizione un budget più elevato del solito. Non lo definirei “speciale”, quindi, ma di certo più fortunato di altri miei film.

Hai lavorato con Andy Lau all'inizio della carriera di entrambi, con il durissimo Boat People, caposaldo della New Wave. Come è stato lavorare di nuovo assieme dopo 30 anni?
Lui è migliorato molto più di me, ho dovuto imparare un sacco di cose da lui! (ride, nda). Sul serio, mi ha insegnato molto riguardo al mercato e a come muoversi a livello produttivo. È un big shot a tutto tondo Andy, non solo una star della recitazione.

Lau si è dato completamente a un film molto diverso dal consueto, mettendo da parte il glamour e accettando forse per la prima volta la sopraggiunta maturità, non trova?
Sì, è un grande risultato, un po’ come immaginarsi Jackie Chan in un film completamente privo di azione. Spiazzante, ma spero che l’effetto sia quello desiderato.

In una scena Lau, Tsui Hark e Sammo Hung - ovvero protagonista, regista e coreografo delle scene d’azione di Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma - discutono animatamente sulla produzione di un film. È casuale la scelta del terzetto?
Tsui era perfetto per interpretare il grande regista e quel trio funzionava bene; certo era più credibile perché loro effettivamente hanno lavorato assieme, quindi l'effetto comico poteva funzionare meglio.

Film come Night & Fog o The Way We Are rappresentano in un certo senso l’antitesi di quel che sta avvenendo nel mercato di Cina e Hong Kong. In un panorama dominato da blockbuster in mandarino, i suoi sono piccoli film in cantonese come a Hong Kong se ne girano sempre meno. Sente di essere la depositaria di una tradizione che sta sparendo?
Non ho quest'intenzione in particolare, semplicemente mi sono dedicata da molto tempo a girare film in Hong Kong e non in Cina, ma non è mai stato un gesto, è successo e come tale sono legata al cinema di Hong Kong e alla lingua cantonese. Al di là di questo i miei film si rivolgono a tutti, non solo agli abitanti di Hong Kong, e vorrei che tutti li vedessero.

Anche A Simple Life come i titoli succitati è girato in digitale. Come mai questa scelta?
In parte perché il cameraman è più esperto nell’uso del digitale e io ne preferisco l'aspetto per le storie che devo narrare. Non cerco la grana della pellicola o qualcosa che necessiti di essere affinato in seguito, ma qualcosa che fotografi nel modo più nitido possibile la realtà.

La realtà di aree urbane come quella al centro della vicenda di violenza domestica di Night and Fog è davvero toccante. Esistono sacche di povertà inimmaginabili a poca distanza dalla skyline di Hong Kong...
Tinshan è un’area particolare, dal nome affascinante, che significa “villaggio di cielo e acqua”, ma dalla realtà sconfortante. In zone come Tinshan si diffonde la nuova povertà, famiglie che sopravvivono grazie all’assistenza sociale, anche se tutti vestono t-shirt estrose; la gente non sembra povera, cerca di nascondere la situazione, ma lo è, fanno fatica a mangiare. C'è un grande contrasto tra apparente prosperità e reale povertà.

Nell’evoluzione del rapporto servo-padrone, che si trasforma sempre più in relazione familiare, viene in mente il cantore di questa poetica, Ozu Yasujiro. Quanto è contata l’influenza del maestro giapponese in A Simple Life?
Ozu è inevitabilmente un’influenza, credo che lo sia per quasi tutti i cineasti che si concentrano su questi temi. Ma devo ammettere che pensavo a Ozu più quando giravo The Way We Are che per A Simple Life.

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