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A Venezia la terapia Cronenberg

Il regista canadese presenta tra gli applausi il suo A Dangerous Method.
di Ilaria Ravarino

In foto David Cronenberg e il cast di A Dangerous Method al photocall del film.
David Cronenberg (David Paul Cronenberg) (81 anni) 15 marzo 1943, Toronto (Canada) - Pesci. Regista del film A Dangerous Method.

venerdì 2 settembre 2011 - Incontri

Ha 68 anni nel 68º anniversario della Mostra, aperta da un film, Le Idi di Marzo, «che guarda caso è proprio il giorno del mio compleanno». Chissà se David Cronenberg crede alle coincidenze o resiste alla tentazione, come nel suo A Dangerous Method ripete più volte (e sempre meno convinto) il protagonista Carl Jung. Applaudito stamattina dalla stampa, a conferma del trend positivo dei film programmati nelle prime mattine del concorso, Cronenberg è stato accolto al Lido come una star, scortato dal supercast del film (Viggo Mortensen, Keira Knightley, Michael Fassbender, Vincent Cassel e Sarah Gadon) in uno stato di particolare grazia e armonia. «Tutto merito della psicanalisi – scherza il Maestro – costringerli a girare un film su Freud e Jung è stato un modo dolce per curarli dalla pazzia».

Cronenberg che bilancio farebbe della sua carriera? A che punto arriva questo film?
Cronenberg: Nonostante non abbia fatto tanti film quanti ne ha girati Woody Allen, posso dire di aver cambiato il mio approccio al cinema. Adesso riprendo meno e monto più velocemente il materiale, a differenza di quando ancora esploravo cosa fosse il cinema. Quel che non è cambiato è la volontà di dare al film quel che il film richiede. Mi chiedevano se avrei "cronenberghizzato" questo film, ma si tratta di una cosa che non ho mai fatto. Ho cercato di esser leale nei confronti del periodo storico, della sceneggiatura, riprendendo il film nel modo in cui chiedeva di essere ripreso.

Com'è stato lavorare a un film in costume?
Cronenberg: Non è stata la prima volta: Il pasto nudo era ambientato negli anni '50, e sia M. Butterfly che Spider sono film in costume. Il procedimento per questo genere di film è sempre lo stesso, si fanno ricerche per i costumi e per le location e poi ci si prepara alla sfida più grande. Perché non basta infilare il costume giusto all'attore, deve scattare una specie di magia: ci sono attori che non "funzionano" nel passato, e altri come Keira che si trasformano. Lavorare sul passato è difficile perché si ha a che fare con personaggi che sono come degli alieni, si considerano umani in maniera diversa dalla nostra, i loro codici estetici sono diversi, persino i loro sistemi nervosi sono diversi...

Considera la psicanalisi una scienza?
Cronenberg: È una questione enorme. Nell'Europa dei primi anni del '900, specialmente a Vienna, si credeva molto nel progresso. In un mondo in cui regnava l'ottimismo, e gli uomini sognavano di elevarsi finalmente da animali ad angeli, è arrivato Freud e ha detto no. Ha detto che ci sono cose che la razionalità non può risolvere, ha detto che l'inconscio può irrompere in modo disastroso nella vita di ognuno, e tutto questo lo ha fatto pochi anni prima che scoppiasse la prima guerra mondiale, il conflitto che ha infranto il sogno europeo. È chiaro che queste sue idee a molti parevano inaccettabili. Scienza o meno, adesso la psicanalisi dopo tanti anni sta tornando a Freud... ma l'argomento resta discusso. Quanto a Jung, la sua analisi è decisamente andata in un'altra direzione, più spirituale e religiosa.

Che tipo di ricerca avete condotto per scrivere e interpretare il film?
Cronenberg: La sceneggiatura del film è stata costruita sulle lettere che Freud e Jung si sono scambiate per anni, scritti densi e pieni di riferimenti a precedenti carteggi. Le lettere, nei primi anni del '900, funzionavano un po'come la posta elettronica di oggi: il servizio consentiva consegne rapide e risposte pronte. Con questo tipo di materiale a disposizione, la sceneggiatura ha potuto ricostruire con esattezza il rapporto fra i due personaggi.
Knightley: Per quanto mi riguarda ho parlato con alcuni analisti e ho letto molto: libri, biografie di Jung, la traduzione degli appunti e alcune note sulla sua paziente Sabina.
Mortensen: Mi sono basato sulle lettere cui accennava David, sono interessantissime. Tanto che vorrei sapere se la famiglia Jung intende pubblicarne altre.
Fassbender: La sceneggiatura era molto densa, precisa come una partitura, e ho cercato di concentrarmi su mio personaggio, su Jung, cercando il ritmo giusto. E poi mi sono comprato un bignami sulla psicanalisi.

Interpretare un personaggio realmente esistito è difficile?
Mortensen: Si direbbe di sì, perché il pubblico in genere crede di conoscerlo e di sapere già tutto su di lui. Ma per fortuna a dirigerci c'era David, che non si è lasciato intrappolare dall'ossessione di riprodurre i personaggi come in uno specchio, preferendo privilegiare il racconto dei rapporti fra di loro: il film correva il rischio di diventare un esercizio accademico, e invece è un dramma che tocca le questioni di metodo senza focalizzarsi solo su quelle. L'aspetto più divertente della storia è proprio nel rapporto tra Freud e Jung: due psicanalisti separati non tanto da differenze di intenzioni, quanto da un infantile orgoglio.
Fassbender: Non credetegli. In una parola, interpretare Jung è stato spaventoso.

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