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ACAB, l'odio in divisa nella Roma a mano armata

Tra polemiche e sorprese, presentato a Roma il thriller di Stefano Sollima.
di Ilaria Ravarino

Il cast del film ACAB - All Cops Are Bastards di Sergio Sollima al photocall.

lunedì 23 gennaio 2012 - Incontri

C'è chi lo paragona a L'odio di Mathieu Kassovitz e chi torna a ragionare sui poliziotteschi dell'Italia anni '70, Roma a mano armata di Umberto Lenzi, La polizia incrimina, la legge assolve di Enzo Castellari. Chi se la prende perché con questi film invece non c'entra niente, e pare piuttosto un Romanzo criminale al contrario, fatto di guardie farabutte quanto i criminali che dovrebbero acchiappare.

Tratto dall'omonimo libro inchiesta di Carlo Bonini, ACAB - All Cops Are Bastards di Stefano Sollima, al cinema da venerdì, fa discutere in capannelli critici e giornalisti. Il ritorno al cinema di genere accende la fantasia del cinefilo, i riferimenti all'attualità eccitano il cronista. Nel pubblico c'è anche un poliziotto, venuto per guardare in anteprima il film sulla Celere che da settimane infiamma i blog della Polizia di Stato. Il cast (Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti e Domenico Diele) non nasconde un certo nervosismo accendendo i microfoni per l'incontro con la stampa romana, perché l'uscita in sala, in 300 copie, si prevede burrascosa: la Polizia «non ha ostacolato le riprese - dice il regista - ma non le ha nemmeno agevolate», e il ritratto impietoso della Capitale, stretta in una morsa di cattiva politica e violenza, potrebbe andare di traverso (anche) agli amministratori capitolini.


Regista, scrittore, produttore

Fare un film da un'inchiesta giornalistica: cosa rimane in ACAB dello spirito del libro?
Carlo Bonini: Il film di Stefano è completamente fedele al mio libro nell'approccio alla materia e nello sguardo. La durezza del tema c'è tutta, in più il film moltiplica l'effetto emotivo: di fronte a certe scene di violenza lo spettatore è costretto a fare i conti con una parte di sé che normalmente reprime. Quando vedi i celerini che picchiano un paio di persone, che a loro volta ne hanno brutalizzate altre, in un angolo del cervello pensi: fanno bene. Per fortuna quell'idea, di solito, la tratteniamo.

Renderla esplicita non è immorale?
Bonini: Quello della presunta immoralità è un ricatto da cui dobbiamo liberarci. Altrimenti finiremmo col non raccontare più niente, o solo storie che condividiamo. Per preparare il libro ho fatto molte ricerche e conosciuto tanti poliziotti, e io stesso ho dovuto fare un'operazione sulla mia coscienza: c'erano cose che mi dava fastidio anche solo ascoltare.
Stefano Sollima: L'immoralità l'hanno tirata fuori anche quando ho girato la serie di Romanzo criminale. Ma il discorso è diverso. Là i cattivi tutto sommato erano i meno cattivi di tutti, e per questo lo spettatore finiva per fare il tifo per loro. Qui è impossibile. Non ti affezioni ai personaggi. Non empatizzi con nessuno. Romanzo è, appunto, un romanzo. In ACAB invece si guarda dal buco della serratura una situazione reale, dell'Italia di oggi, e la si racconta senza schierarsi.

Ma ACAB è un film politico o un film di intrattenimento?
Sollima: L'idea era quella di fare un film di genere che affrontasse i temi caldi della nostra società senza declinarli direttamente. Lo definirei un poliziesco d'intrattenimento intelligente: un film popolare con bella musica, scene d'azione, personaggi credibili e un mondo, quello della Celere, al tempo stesso al centro della storia e sullo sfondo.

La Celere potrebbe non gradire un ritratto così fosco.
Sollima: Non generalizziamo, nessuno vuole criminalizzarli. Se devi decidere chi mandare in uno stadio contro 10.000 ultrà, certo non scegli le crocerossine. C'è nel corpo una certa attitudine alla violenza, ma dire che tutti hanno la stessa inclinazione politica, e classificarli in blocco, è ingiusto. Le posizioni personali sono diverse, non si può fare un tutt'uno di "celerini" e il film si guarda bene dal prendere questa posizione.

La produzione ha mostrato il film alla polizia? Ha avuto feedback?
Marco Chimenz: Nessun contatto con la Celere. Non ci hanno fornito le caserme, ma non hanno ostacolato le riprese. C'è distanza e distacco nei confronti del film, come ci aspettavamo. La polizia non ha comunicato alcuna reazione ufficiale al nostro lavoro.

A differenza di Black Block e Diaz, ACAB nomina ma non mostra il G8 di Genova. Perché?
Sollima: Quel che è successo a Genova è stato abbondantemente rappresentato e non credevamo di poter aggiungere niente. Il G8 fu un fatto eccezionale, non volevamo usarlo per raccontare l'odio dei poliziotti: a noi interessava parlare dell'odio che attraversa tutta la società, della violenza e dell'intolleranza che proviamo tutti noi ogni giorno.

L'odio nell'Italia di oggi è di natura diversa da quello dell'Italia di Romanzo?
Sollima: No, è come quello di ieri, perché l'odio è parte dell'essere umano. Forse oggi ha ragioni ideologiche meno precise rispetto a quelle che aveva ai tempi di Pasolini.

La politica ha delle responsabilità?
Sollima: La politica ha contribuito moltissimo a creare questo stato di violenza nel paese. Basta guardare un dibattito politico in tv: è odio puro, tra due parti contrapposte e inconciliabili.
Bonini: Il nostro è un paese che rimuove continuamente quel che gli accade, che dà la colpa alla sfortuna o ai complotti, mai a se stesso. C'è una brutta bestia dentro di noi, e per lungo periodo è stata blandita, sottovalutata e slegata: nessuno in politica ha pensato ai danni.

Come ha raccontato la violenza? In Romanzo criminale è stato molto esplicito.
Sollima: Qui mi sono regolato, credo. Era un film così violento psicologicamente che non poteva avere una grafica splatter. Su Romanzo ho esagerato di più, in ACAB c'è un certo rigore nella rappresentazione.


Gli interpreti

Come vi siete preparati al ruolo dei celerini?
Pierfrancesco Favino: Ci siamo addestrati giocando a rugby e siamo stati aiutati da professionisti a conoscere le tecniche di difesa e di attacco in mischia.
Marco Giallini: Abbiamo passato molto tempo insieme, poi i costumi ci hanno aiutati a entrare in parte. Personalmente, come faccio sempre, mi sono lasciato suggestionare da persone e caratteri che conosco.

Vi ha messo a disagio interpretare ruoli così estremi?
Favino: No, perché quando ti immergi in quel tipo di mondo scopri che certe sensazioni appartengono anche a te. Facile dire di essere un pacifista, ma finché non viene qualcuno a sfondarti la porta di casa non puoi sapere come reagirai. Noi attori siamo fortunati: facciamo un lavoro che ci permette di fare i conti anche con questo tipo di emozioni. Quanto al disagio, non ho paura di perdere il gradimento del pubblico perché non penso di avere un'immagine legata a personaggi particolarmente positivi.
Domenico Diele: Io ho accettato subito. Da attore non posso permettermi sul personaggio considerazioni da privato cittadino.
Filippo Nigro: Per me è stato fantastico: il cattivo al cinema non l'avevo mai fatto. È stata un'esperienza nuova, l'ideale sarebbe lavorare sempre sulle differenze tra un ruolo e un altro.

Avevate pregiudizi sulla Celere?
Nigro: Io sì. Questa è gente abituata a usare la violenza, spesso secondo limiti poco chiari, e con un senso dello Stato molto personale. Ma i nostri celerini sono particolari, compromessi dall'esperienza di Genova, e non rappresentano il corpo nella sua interezza. Adesso non credo che siano dei santi, ma la mia percezione nei loro confronti è cambiata.
Giallini: Mai avuto pregiudizi con la Celere perché non ho mai avuto problemi con loro. O almeno: non ho mai avuto problemi con quel tipo di polizia.
Andrea Sartoretti: Dopo il film la mia opinione su di loro si è arricchita. Mi rendo conto che è gente pagata per vivere in una guerra civile quotidiana, perennemente sotto tensione.
Diele: La mia opinione non è cambiata ma adesso ho più strumenti per valutare le singole situazioni.

Cosa rispondete a chi giudica ACAB immorale?
Favino: Che il problema non è la morale, ma il moralismo. Su Internet si parla molto del tema del film, e sono tutte opinioni o bianche o nere. Per me è morale raccontare la realtà, mentre dire cosa è giusto e cosa è sbagliato è moralismo.

Per voi ACAB è un film politico o di intrattenimento?
Sartoretti: È un film sociale, non politico. Che racconta quanto sia facile lasciarsi contagiare dall'odio ed essere uniti in suo nome.
Diele: Non è un film politico nonostante metta in luce quanto tifosi e celerini si somiglino in un punto: la sfiducia nelle istituzioni.
Favino: Per me invece è un film politico. Che non ce l'ha con i politici in sé, ma con la cattiva politica, che in Italia è stata il non voler lavorare mai su regole condivise. Per il resto, al Governo ci sono andate persone che abbiamo scelto noi, mica hanno fatto un colpo di stato.

Cosa vi aspettate adesso dalla polizia? Rifiuto o dialogo?
Sartoretti: Magari cercassero il dialogo! Mi piacerebbe molto.

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