The Housemaid

Così perfetto così noioso

E tutto perfetto. nella grande casa di Hoon (Lee Jung-jae). La giovane, bella moglie Hae-ra (Seo Woo) aspetta due gemelli, come si intuisce anche dalla pancia, sulla cui levigata perfezione, appunto, Im Sang-soo indulge volentieri. Quanto a lui, tutti lo trattano come un padrone incontestato. Tornando in famiglia, alla fine della giornata, due scagnozzi lo scortano muti e devoti, la moglie e la figlia Nami (Youn Yuh-jung) lo accolgono trepide sulla porta, e la governante signora Cho si precipita a porgergli un bottiglia di gran vino, con un calice di cristallo comme il faut. Anche il bere è perfetto, chez Hoon. Per non dir della musica, diffusa da uno strepitoso impianto stereo, o eseguita da lui stesso al piano, con maestria rara. Quando poi, per impellenze funzionali, il granduomo si leva camicia e pantaloni, lo standard non scende, e forse si eleva. Ne è certa la cameriera e tata Eun-yi (Jeon Doyoun). Una certa notte, la signorina se lo ritrova di fianco al letto, e al suo comando non esita: gli si avvicina con la bocca, e senza giri di parole lo informa che adora certi afrori.
Dice il regista Im Im Sang-soo che ce l’ha messa tutta, per riportare sullo schermo la storia di “Hanyo’. girato nel 1960 da Ki-young Kim, che nel suo Paese è considerato un capolavoro. Naturalmente, scrivendo “The Housemaid” (Corea del Sud, 2010), ha dovuto attualizzarla e contestualizzarla, quella storia d’un uomo prepotente e ricchissimo che, come dicono i volgari, si fa la serva. Ma per il resto, il senso è proprio questo: un uomo prepotente e ricchissimo si fa la serva. La quale serva è perfetta, come il resto: povera e inerme, morbida e dolce, e soprattutto ingenua fino all’idiozia. Anche la signora Cho è perfetta nel ruolo della proletaria che s’è venduta ogni dignità, ma che cova un astio velenoso (già che c’è, se lo beve anche lei, un sorso del gran vino del padrone).
Per 106 minuti - elegante come la casa di Hoon. rotonda come la pancia di Hae-ra, sinuosa come i fianchi di Eunyi - la macchina da presa si muove tra scaloni di marmo, salotti scenografici. signore cupide e ciniche, lenzuola infuocate. La regia di Im è come il calice di cristallo della signora Cho: comme il faut. Lo stesso vale per la fotografia e per il commento sonoro (un po’ più kitsch il dialogo, qua e là da letteratura popolare, per così dire). Ma tutto si ferma qui, a parte il dettaglio increscioso di un’impiccata che spenzola in fiamme da un lampadario. Per dirla tutta, alla fine ci resta il sospetto d’essere stati presi per i fondelli. Ma alla perfezione.
Da L'Espresso, 26 maggio 2011


di Roberto Escobar, 26 maggio 2011