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Vendere il corpo per pagarsi gli studi

Student Services apre in Italia lo spinoso dibattito su una prassi diffusa.
di Marianna Cappi

Deborah Francois in una scena del film Student Services.
Déborah François (36 anni) 24 maggio 1987, Bruxelles (Belgio) - Gemelli. Interpreta Laura nel film di Emmanuelle Bercot Student Services.

mercoledì 20 luglio 2011 - Incontri

Nonostante il doppio senso contenuto nel titolo originale “Mes chères érudes”, con quell’aggettivo “cari” che è una valutazione economica ed ironica ben prima che affettiva, il film di Emmanuelle Bercot, Student Services, non si prende affatto alla leggera. Tratto dal libro-testimonianaza della studentessa francese Laura D., affronta il tema della prostituzione occasionale, intrapresa dalla protagonista per pagarsi l’università da fuori sede, con crudo realismo, lasciando volontariamente il giudizio al pubblico. Nato in Francia per un’immediata distribuzione televisiva su Canal+, come film-denuncia di un’attualità scabrosa e intollerabile, in Italia, per volontà della Bolero film, tenterà prima la strada del circuito cinematografico, a partire dal 26 agosto. Alla conferenza stampa romana di presentazione del film non sono presenti gli autori ma l’incontro è l’occasione per fare il punto della stessa situazione nel nostro paese con Donatella Poselli, presidente dell’Unione Italiana Genitori, e Nicoletta Calizia, sociologa criminologa di Telefono Azzurro.

Poselli: Abbiamo riflettuto molto sull’opportunità di partecipare e di dare il nostro sostegno a questa testimonianza, vista la natura “forte” del film. Siamo qui, infine, perché in ogni caso il film evidenzia un problema vero, di cui tutti siamo a conoscenza. La storia, in questo caso, narra una vicenda al femminile ma anche i ragazzi maschi sono spesso protagonisti di questo genere di cose. La visione denuncia una situazione reale: questo che ci ha convinto a coinvolgerci. Non ha senso nascondere la testa come struzzi. Occorre lanciare un appello alla corresponsabilità di tutti, delle famiglie ma non solo.

Calizia: Telefono Azzurro ha come mission l’infanzia mentre il film riguarda il mondo universitario, ma alcune inchieste sono state fatte anche nel mondo dell’infanzia e non sono confortanti. C’è quella del 2009 del Comune di Milano sulle baby prostitute o il filmato trasmesso dalle Iene sulla 17enne – e dunque minorenne - che si prostituisce per la ricarica del cellulare o un paio di scarpe alla moda. Per una volta i media sono stati veicolo di un’informazione importante, mentre le ricerche scientifiche sull’argomento in Italia sono inestitenti. Il Centro Studi di Berlino afferma, in un’indagine, che uno studente universitario su tre, nell’ambito di un campione preso in Germania, Francia e Ucraina, si dice disposto ad accettare lavori a sfondo sessuale per pagare gli studi. Nell’ordine, i più disponibili si trovano a Berlino, poi Parigi, poi Kiev. Eppure la metà degli studenti riceve dei soldi dai genitori. Come si spiega? In Francia c’è appunto il caso di Laura D, che col suo libro ha sollevato un grande dibattito, soprattutto perché dice di non essere la sola a fare quello che fa: quarantamila studentesse farebbero lo stesso, su due milioni di studenti universitari in tutto. Di certo l’indifferenza dei sistemi pubblici “aiuta”, e così la diffusione di Internet, che ha facilitato la prostituzione occasionale, volontaria e esercitata in modo indipendente.

Poselli: Viviamo in una società che colpevolizza sempre ma non ha il coraggio di entrare nel merito dei problemi reali e non fa tutto il possibile per evitarli. Lo sdoppiamento della personalità percepito dalla protagonista quando prova a convincere il fidanzato a restare dicendogli “lei non sono io, io sono questa”, è inquietante e verosimile. Per questo facciamo molti incontri nelle scuole, a partire dalle medie inferiori, sui sentimenti e occorrerebbe farne sulla percezione del corpo ma non è facile ottenere ascolto. Le istituzioni tendono ad insabbiare, a non fare sapere per non attirare i riflettori sulle proprie mancanze. Che questo film parli della società francese fa sorridere amaramente, perché il nostro paese ha uno stato sociale molto meno sviluppato e attento di quello francese.

Calizia: Il film sottolinea che non c’è un dialogo con la famiglia e nemmeno con i coetanei. Questo è un grave gap.

Poselli: Si ma oggi la famiglia non ha più l’ascolto che aveva anni fa e i messaggi della società sono molto più forti dello scudo che può far loro un piccolo nucleo famigliare. La scuola è un luogo che andrebbe utilizzato, perché a scuola i ragazzi passano moltissimo tempo che spesso è solo una perdita di tempo, per colpa della scuola stessa. Persino l’abbandono scolastico, con i suoi numeri allarmanti, ha delle ragioni che si possono tranquillamente imputare alla scuola stessa.

Calizia: Le tasse universitarie crescono sempre di più, le riforme non sono mai pro-studente, le famiglie possono aiutare ma non del tutto: l’impoverimento degli studenti è reale. È un fatto che andrebbe studiato e arginato. In Italia non ci sono ancora inchieste scientifiche sull’argomento, ma consiglio il saggio di Alessandro Calderoni “Il mestiere più @ntico del mondo”, su cinque giovani entrati nel giro dei soldi facili fatti vendendo sesso in modi diversi, per come spiega l’instaurarsi di un circolo vizioso da cui è molto difficile uscire, e la denuncia di Marida Lombardo Pijola “Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano Principessa” per quel che riguarda questo fenomeno in età molto, troppo precoce.

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