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I Malavoglia: dal libro al film non è facile

'Ntoni e la sua famiglia salvati dal Rap. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto i 'moderni' Malavoglia nella trasposizione cinematografica di Pasquale Scimeca.
Antonio Ciurca . Interpreta 'Ntoni nel film di Pasquale Scimeca Malavoglia.

lunedì 2 maggio 2011 - Focus

Giovanni Verga pubblicò "I Malavoglia" nel 1881. Si tratta di uno dei grandi romanzi italiani, esempio di quello che viene chiamato il verismo. A sua volta esempio importante per il cinema, perché è legittimo far derivare il nostro realismo da quel momento letterario. Roba squisitamente italiana. Un'altra legittimazione verismo-realismo la dobbiamo a un maestro, Luchino Visconti, che nel ’48 realizzò una versione di verità assoluta dello stesso romanzo di Verga, La terra trema, aderendo completamente alla vicenda, addirittura con un’edizione in stretta lingua siciliana. Ma Visconti provava un rispetto sacro per lo scrittore, lo avrebbe dimostrato opera dopo opera, con Dostoevskij (Le notti bianche), Lampedusa (Il gattopardo), Camus (Lo straniero), Mann (Morte a Venezia), D’Annunzio (L’innocente). Pasquale Scimeca affronta I Malavoglia con molte licenze, diciamo così. Il romanzo racconta le sfortune di quella famiglia di pescatori siciliani. I personaggi principali sono nonno ‘Ntoni, suo figlio Bastianazzo, ‘Ntoni il maggiore dei nipoti e poi la madre dei ragazzi e la sorelle. Sventure a non finire. La barca fa naufragio, occorre vendere la casa, un figlio frequenta cattive compagnie, un altro muore soldato. Tutto precipita, sempre. ‘Ntoni giovane lascia la famiglia ormai smembrata. Rimane il più piccolo dei nipoti, cercherà un minimo di riscatto.

Sacralità
Scimeca porta la vicenda ai giorni nostri e per lui il romanzo ha… sacralità minore. C’è la barca Provvidenza, c’è il nonno saggio ma inascoltato, c’è ‘Ntoni, vitale, attivo e poi le due sorelle, una buona e saggia l’altra irrequieta e difficile. Poi cominciano le legittime licenze del cinema. Ho scritto davvero molte volte che il film non ha assolutamente il dovere di aderire al libro. Però va detto che la strada del romanzo è sempre quella maestra per molte ragioni, a cominciare dalla prevalenza, per cultura, per potenza, della letteratura rispetto al cinema. E dello scrittore rispetto al regista… e mi perdonino i registi. Fra gli inserti, ormai diventati codici, del cinema italiano contemporaneo c’è lo straniero. E qui l’autore inserisce un tunisino, Alef, un clandestino accolto e protetto dal giovane ‘Ntoni. Lo straniero è buono e intelligente, lavoratore. Mena, la sorella “buona”, si innamora di lui. Un approdo davvero felice per Alef. Un sogno realizzato. Purtroppo di film trattasi. Lia frequenta gente “malacarne”, che sarebbero i cattivi, spacciatori eccetera. E ormai la famiglia ha perso tutto, anche la casa. E qui la sceneggiatura si complica, e si disperde. Le ragazze Malavoglia e le loro amiche parlano come quelli del Grande Fratello e come gli “amici” della De Filippi. Con cadenza autoctona naturalmente. Troppa attualità. Anche se fra i codici detti sopra mancano il gay umano e la prostituta rumena. Ma forse non era semplice inserirli, in chiave di drammaturgia, in una cittadina della Sicilia. Il boss spacciatore si rivela un poliziotto infiltrato. Nel frattempo la madre è impazzita e il nonno ha avuto un infarto. Il giovane ‘Ntoni ha talento musicale, compone accordi col computer. E accade che il nonno custodisca una memoria di proverbi di antica saggezza, e che la proprietaria di un bar abbia una voce bella e intonata.

Nodo
E qui si forma un altro nodo libro&film, forse quello più intricato, molto difficile da sciogliere: il lieto fine. Giovanni Verga è un apostolo del finale non lieto. Gli si addice più il tragico che il drammatico. Ma il cinema ti chiede altre cose. Integrale, aderente, filologico, sono concetti che il cinema sorpassa. Certo, devi trovare le misure giuste per scovare un happy end verosimile.

I Malavoglia hanno dunque perso tutto, come nella storia originale. Ma ecco che una voce alla radio informa che ‘Ntoni Malavoglia, con la canzone “Proverbi”, in testa alle classifiche, ha guadagnato abbastanza per riscattare casa e barca a dare un certo benessere alla famiglia. La canzone rap finisce con questa strofa: “Se segui i vecchi non sbagli mai”. Non solo: ‘Ntoni è anche tornato a fare il pescatore. Da cantante di successo a pescatore: un ritorno alle origini, una redenzione, difficile da immaginare ai giorni nostri. Il cinema ha dunque prevalso. Il film certo ne risulta compromesso perché la felicità finale è comunque sproporzionata, quasi grottesca. Ed è un peccato, perché la prima fase è efficace, macchina a mano, verismo, verità, quasi documento. Il regista usa una connessione comoda: i discorsi, i cambi di direzione avvengono sempre davanti a una minestra o a una pastasciutta. Accade una decina di volte. Forse sarebbe opportuna un’alternativa. L’islamico Alef è a sua volta una costante presente spesso nel cinema, non solo nostro. Per il Robin Hood con Kevin Costner si era inventato un fedele amico musulmano. In Le quattro piume, fra i quattro ufficiali inglesi si inserisce un islamico. Tutti modelli, magari storicamente impropri (non per il cinema), ma segnali di relativismo e sincretismo. Nel Malavoglia Alef e ‘Ntoni si ritrovano insieme in una cella. L’arabo si inginocchia sul suo tappeto, verso La Mecca. Il siciliano prega il “Padre nostro” nella stessa direzione. Episodio di cinema buono e suggestivo. Ma un rap che tutto risolve è un coniglio troppo grande, non c’è cappello che lo possa contenere.
Un libro e un film. Come sempre il rapporto non è facile.

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