cararosa
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sabato 22 gennaio 2011
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bello e commovente****
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Film molto intenso contro ogni aspettativa..Ha la capacità di coinvolgerti dall'inizio sino alla fine con un finale
imprevedibile..ma che è il senso di tutto il film: far di tutto per costrurci la vita che vogliamo..ma non sempre quello che vogliamo è nostro per sempre.Perdiamo via via le persone care..tutto ci sfugge, anche la memoria, la lucidità,ma
anche la vita...Film che racconta la storia di una vita quasi normale in modo straordinario.
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giacomogabrielli
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sabato 22 gennaio 2011
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giamatti da oscar! ****
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Un Paul Giamatti da urlo (oltre che da Oscar) per un film che può all'apparenza essere comune, ma che invece spicca di originalità e bellezza. Era ora che qualcuno si rendesse conto che il fantastico attore americano sa sorreggere un film tutto da solo! La vita del produttore televisivo ebreo Barney Panofsky, tra matrimoni falliti e tristi vicende passate, vista da un punto intelligente che rende il film avvincente e per nulla scontato, che caratterizza molto bene i personaggi sin dai primi minuti. Impeccabile l'interpretazione di Giamatti. Ottima la fotografia. Co-prodotto da Domenico Procacci. GIAMATTI DA OSCAR! ****
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pepito1948
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venerdì 21 gennaio 2011
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il mostro sono io
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Lasciamo stare per una volta il confronto con il romanzo dell’ebreo Richler da cui il film è tratto; primo perché io non l’ho letto; secondo perché non si può chiedere ad ogni spettatore di conoscere la fonte letteraria dei film che va a vedere; terzo perché detto confronto nel 90% dei casi è a favore del libro; quarto perché la discussione se la trasposizione cinematografica sia o meno conforme alla sua fonte rischia di distogliere dall’analisi e dall’effettiva fruizione del film.
Detto questo, chi è Barney?
“Ho trovato un mostro, e quello sono io”.
B. è tutto ed il contrario di tutto, e ciò che è lo è all’eccesso.
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Lasciamo stare per una volta il confronto con il romanzo dell’ebreo Richler da cui il film è tratto; primo perché io non l’ho letto; secondo perché non si può chiedere ad ogni spettatore di conoscere la fonte letteraria dei film che va a vedere; terzo perché detto confronto nel 90% dei casi è a favore del libro; quarto perché la discussione se la trasposizione cinematografica sia o meno conforme alla sua fonte rischia di distogliere dall’analisi e dall’effettiva fruizione del film.
Detto questo, chi è Barney?
“Ho trovato un mostro, e quello sono io”.
B. è tutto ed il contrario di tutto, e ciò che è lo è all’eccesso. B. è un poliedro dalle tante facce eterogenee, talune specchio altre ombre, lucide o opache, lisce o sfregiate. B. identifica il proprio vissuto nel massimo vivibile, attraversa con inconsapevole audacia il tracciato multiforme della tipologia umana, senza ordine e senza regole precostituite; anzi rifugge dalle regole, è anticonvenzionale, è scorretto. B. è irriverente quasi per trasmissione genetica da parte del padre, più di lui socialmente scorretto ed impavidamente sincero, a lui sempre vicino attraverso l’esempio, il consiglio, il sostegno nelle situazioni controcorrente, l’avallo nelle scelte difficili, la complicità nel colpire il perbenismo anche della loro stessa gente, cioè la comunità ebraica. B. è un carro armato, a volte scassato e insozzato, a volte efficiente e tirato a lucido, ma sempre con i cingoli in movimento e pronto a sparare a colpo sicuro o all’impazzata, a seconda delle diverse contingenze. B. crede nell’amicizia, vi sprofonda, vi cerca appoggio e solidarietà ogni volta che supera i confini, che si flagella con lo staffile dei suoi errori. B. potrebbe avere commesso la peggiore delle infamie, aver cioè ucciso il suo migliore amico fedifrago, ma il caso lo priva della possibilità di assistere al suo ipotetico omicidio, su cui né lui né il poliziotto che lo perseguita senza tregua né nessun altro avrà mai certezze (solo B. rivive in uno sprazzo della sua insania senile lo scenario della scomparsa dell’amico, ma l’immagine è troppo sgranata e priva di dettagli per ricostruire l’accaduto). B. apprezza le donne, disprezza le donne, le strapazza, le manda al diavolo, ne sposa tre diversissime tra loro, così come è irrimediabilmente attratto dai più seducenti strumenti di autodistruzione, quali l’alcool, la droga, l’errore fatale, il senso di colpa. Ma B. ama una donna, e, dal momento che l’ha trovata e poi sposata, non la lascerà più neanche quando lei lascerà lui, e la ama perché è perfetta quanto lui rifugge dalla perfezione, il che gli offrirà la più grande occasione (una di per sé insignificante scappatella) di distruggere se stesso e l’unica, immensa cosa che nella sua lunga peregrinazione esistenziale ha mai costruito. B. invecchia e, quasi per contrappasso, viene privato della memoria, del piacere di riprovare almeno nel ricordo quel misto di eventi e sensazioni che ne hanno fatto un uomo ricco, nel bene e nel male, di esperienze a tutto campo, di vita senza interpunzioni, senza vuoti, senza rimpianti. B. muore nella consapevolezza che la donna amata, ormai da tempo moglie di un uomo aitante e di successo, si ricongiungerà un giorno con il suo corpo al corpo di lui, nell’immobilità senza rischi e senza fallibilità della non vita.
Il regista Richard J. Lewis, che viene dalla tecno-fiction televisiva di C.S.I., ha affidato il racconto della vita di Barney non ad una voce narrante, ma alla illustrazione filmica attraverso un flash-back lungo 40 anni, come se fosse appunto la sua versione, la versione di tutta la sua vita e non solo della scomparsa dell’amico, su cui il libro, a quanto ne so, insiste molto di più. Una regia equilibrata, tutta concentrata sull’evoluzione dei personaggi e delle loro dinamiche, e lungi dall’essere piatta, accompagna con discrezione e guida sicura l’estro del protagonista, uno straordinario Paul Giamatti, grande astro emergente (sia pure ultraquarantenne) del panorama cinematografico mondiale, grandissimo nel rappresentare alla perfezione le metamorfosi anagrafiche anche fisiche oltre che mentali di Barney, aggiungendo notevoli meriti recitativi a quelli tecnici del truccatore. Da ricordare alcune scene di rara intensità come la dolorosa contemplazione da parte di Barney del padre morto, disteso su un lettino come il Cristo di Mantegna. Così come memorabili sono i “duetti” tra Giamatti /Barney e l’ebreo Dustin Hoffmann/padre, a cui è principalmente affidato lo spirito tipicamente yiddish fatto di ironia, battuta pronta e dissacrante, atteggiamento argutamente scorretto. Ma è Giamatti, con quel corpo sgraziato, goffo ed anonimo ma la versatilità ed il piglio professionale di un veterano, che troneggia dall’inizio alla fine.
Abbiamo trovato un mostro (di bravura), e quello è Paul Giamatti.
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giuliog02
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venerdì 21 gennaio 2011
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forza vitale e dissacrazione delle buon maniere
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Una vicenda umana, molto umana, intrigante, raccontata con brio, talvolta con carattere picaresco. Finale amarissimo.
Un film ben recitato da tutti i protagonisti di una vicenda in cui si libera la forza vitale e l'estro dei personaggi, al di fuori degli schemi della buona educazione. A parte Miriam, impersonata dalla splendida Rosamund Pike.
La narrazione si regge in primis sull'eccezionale Paul Giamatti ( assolutamente degno di candidatura a un Oscar) e la complementarietà di Dustin Hoffman nella parte del padre, ex-poliziotto, che ben sa rendere lo spirito yddish. Bellissima e accattivante la terza moglie, Miriam. Ottima anche la recitazione di Minnie Driver nella parte della seconda moglie, la ricca e acculturata ereditiera ebraica, dai tratti ninfomani.
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Una vicenda umana, molto umana, intrigante, raccontata con brio, talvolta con carattere picaresco. Finale amarissimo.
Un film ben recitato da tutti i protagonisti di una vicenda in cui si libera la forza vitale e l'estro dei personaggi, al di fuori degli schemi della buona educazione. A parte Miriam, impersonata dalla splendida Rosamund Pike.
La narrazione si regge in primis sull'eccezionale Paul Giamatti ( assolutamente degno di candidatura a un Oscar) e la complementarietà di Dustin Hoffman nella parte del padre, ex-poliziotto, che ben sa rendere lo spirito yddish. Bellissima e accattivante la terza moglie, Miriam. Ottima anche la recitazione di Minnie Driver nella parte della seconda moglie, la ricca e acculturata ereditiera ebraica, dai tratti ninfomani. La professionalità hollywoodiana si dispiega appieno nella sceneggiatura e nella costruzione del film. La vita sociale ebraica ed il suo spirito sono ben resi, in particolare nelle gustose scene del coreografico pranzo nuziale. Un film da vedere, per spendere due ore, appassionandosi, ridendo e/o sorridendo e con più di un groppo alla gola alla fine.
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misssorriso
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venerdì 21 gennaio 2011
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complesso...
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....lo guardi e alla fine dici "penso di aver capito tutto", ma forse non e' cosi'. Questa e' stata la sensazione provata appena ho sentito la musica finale. Forse, se avessi letto il libro...
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olgadik
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giovedì 20 gennaio 2011
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barney l'incorreggibile
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Eccomi di fronte all’improba impresa di chiacchierare di un film tratto da un libro, per gli inevitabili fraintendimenti che si ottengono confrontando creazioni di diversa nascita e carattere. L’impresa, poi, è resa ancora più improba se si pensa che il libro in oggetto, La questione di Barney, di Mordecai Richler provocò alla sua uscita una netta divisione tra truppe innamorate e truppe insorte contro il politicamente scorretto del personaggio principale. Allora non mi rimane altra via d’uscita che dichiarare il peccato originale: anch’io ho istintivamente fatto il paragone tra il racconto per immagini e il suo antecedente di carta. Del resto non si poteva eludere l’ “errore”, tanto il linguaggio del film appare sfocato rispetto alla ridda di fatti, osservazioni, battute luciferine, affermazioni da macho consumato (tali da far tremare qualsiasi femminista), humour iddish che come sempre copriva inguaribili malinconie nonché pudichi gesti da sentimentale o da persona sensibile e insopportabile.
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Eccomi di fronte all’improba impresa di chiacchierare di un film tratto da un libro, per gli inevitabili fraintendimenti che si ottengono confrontando creazioni di diversa nascita e carattere. L’impresa, poi, è resa ancora più improba se si pensa che il libro in oggetto, La questione di Barney, di Mordecai Richler provocò alla sua uscita una netta divisione tra truppe innamorate e truppe insorte contro il politicamente scorretto del personaggio principale. Allora non mi rimane altra via d’uscita che dichiarare il peccato originale: anch’io ho istintivamente fatto il paragone tra il racconto per immagini e il suo antecedente di carta. Del resto non si poteva eludere l’ “errore”, tanto il linguaggio del film appare sfocato rispetto alla ridda di fatti, osservazioni, battute luciferine, affermazioni da macho consumato (tali da far tremare qualsiasi femminista), humour iddish che come sempre copriva inguaribili malinconie nonché pudichi gesti da sentimentale o da persona sensibile e insopportabile. Non meravigli che queste affermazioni vengano da una che detesta il machismo e la volgarità; il libro di Richler, scritto in prima persona, è tutt’altra cosa. Lo spirito acuto, l’infelicità, l’umorismo, l’amore, i fallimenti non sono di una parte politica o dell’altra e, pure incarnandosi in un personaggio a volte sgradevole, riguardano quell’umano di cui siamo tutti partecipi, piaccia o non piaccia. Quando vestiamo l’abito del rigido dottrinario, chiamiamo escort le prostitute e non diciamo mai male di un nero perché le minoranze hanno sempre ragione. Ma sarà poi vero? E veniamo a uno sguardo più ravvicinato sul film. L’autore non è un regista noto e ha affrontato con dignità un’operazione difficile, facendo la consapevole scelta di annacquare, come ho detto sopra, l’insieme disordinato e irruente delle pagine, per sostituirlo con un racconto lineare e scorrevole, che disorienta di meno. E’ mantenuta la divisione fra i blocchi narrativi che corrispondono ai tre matrimoni del nostro incorreggibile produttore ebreo di sitcom televisive, perlopiù inguardabili. Il regista elimina anche la voce narrante per spersonalizzare, senza darlo a vedere, la narrazione. Infine sostituisce alla Parigi che fa da sfondo al primo periodo ruggente del personaggio, cittadino canadese, una Roma trattata da cartolina troppo colorata, di cui si privilegiano gli scenari più convenzionali. Riguardo agli interpreti non mi è parsa felice la scelta di Paul Giamatti, giustamente malinconico, ma non sufficientemente strafottente, eccentrico, presuntuoso come è Barney. Più adatto invece Dustin Hoffman nei panni del padre ex-poliziotto, credibile come anziano ebreo, sostanzialmente saggio, anche lui incline alle battute. Tra le attrici che interpretano il ruolo delle mogli, soprattutto Miriam, la terza, non risulta particolarmente efficace, risentendo del generale appiattimento. Quanto detto non deve però far pensare a un film brutto, perché i rapporti umani di Barney con i suoi amici, la sua sostanziale generosità sono dipinti con toni giusti, la malinconia di fondo fa capolino e si ispessisce al momento opportuno (vedi inizio del degrado fisico di Barney) né mancano sequenze francamente divertenti…. Ma quel libro lì, edizioni Adelphi, con sulla copertina rossa la faccia da intellettuale volpino di Mordecai, era tutt’altra cosa!
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zoom e controzoom
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giovedì 20 gennaio 2011
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film senza succo e sapore anche se ben fatto
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sono d'accordo con Bobodiablos e probabilmente il libro è più avvincente del film che è forse stato presentato con toni un po' sopralerighe. Il personaggio è comune e privo di quella forza che spinge su tal'uni aspetti in modo da dare un senso al personaggio stesso. Si tratta di un film non di una cronaca di un giornale di parrocchia, quindi si esalta e si crea il personaggio se no di storie ce ne sarebbero da raccontare.
tecnicamente le sfocature se in alcune scene sono un ottimo espediente, in quelle con più personaggi e sfondi, invece di aiutare infastidiscono per un'inquadratura errata dal punto di vista dei pesi all'interno della stessa.
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sono d'accordo con Bobodiablos e probabilmente il libro è più avvincente del film che è forse stato presentato con toni un po' sopralerighe. Il personaggio è comune e privo di quella forza che spinge su tal'uni aspetti in modo da dare un senso al personaggio stesso. Si tratta di un film non di una cronaca di un giornale di parrocchia, quindi si esalta e si crea il personaggio se no di storie ce ne sarebbero da raccontare.
tecnicamente le sfocature se in alcune scene sono un ottimo espediente, in quelle con più personaggi e sfondi, invece di aiutare infastidiscono per un'inquadratura errata dal punto di vista dei pesi all'interno della stessa. a volte invece il punto precisisssimo del fuoco, esalta il momento, ma è una cosa che rasenta l'errore in quanto non costantemente realizzata con precisione.
i personaggi sono belli e intensi tranne il principale che fisicamente peraltro è stato ben scelto.
Forse questo è uno di quei casi dove la presentazione del film,ha giocato contro le aspettative, ma si comincia a ragionare con la propria testa quando si esce dal cinema insoddisfatti.
zoom e controzoom
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stefanovogna
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giovedì 20 gennaio 2011
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un amore lungo una vita
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...E chi non vorrebbe una storia d'amore come questa?
Paul Giamatti in una grande interpretazione, Dustin Hoffman poco presente ma molto incisivo.
Una commedia romantica, cinica e divertentissima. Da vedere! Da imparare!
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bobodiablos
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mercoledì 19 gennaio 2011
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storia poco interessante
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Film ben fatto e ben recitato ma la sceneggiatura non è interessante. Il regista racconta la vita di questo barney che si è sposato tre volte, che aveva l'amico drogato , poi alla fine del film si ammala di alzaimer...e allora? Una storia come tante che parla di molti eventi accaduti nella vita di barney ma a mio parere non approfondisce nemmeno un argomento.
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alfredopacino
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mercoledì 19 gennaio 2011
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ottimo film
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un ottimo film dopo tutto
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