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La prima cosa bella: amori di mamma

Presentato a Roma il nuovo film di Paolo Virzì tra gli applausi della stampa.
di Marianna Cappi

Il nuovo film di Virzì
Paolo Virzì (60 anni) 4 marzo 1964, Livorno (Italia) - Pesci. Regista del film La prima cosa bella.

martedì 12 gennaio 2010 - Incontri

Il nuovo film di Virzì
Tutto ha inizio nel 1971, quando Anna viene incoronata a sorpresa "la mamma più bella" dell'estate nello stabilimento balneare più popolare di Livorno. Nel corso del tempo e dell'ultimo film di Paolo Virzì, La prima cosa bella , farà in tempo a diventare anche la mamma più impegnativa, almeno per i figli Bruno (Mastandrea) e Valeria (Pandolfi). Micaela Ramazzotti e Stefania Sandrelli si dividono il ruolo di Anna Nigiotti Michelucci, il personaggio che il regista e gli sceneggiatori, Francesco Bruni e Francesco Piccolo, hanno rubato alla vita di provincia per portarlo sullo schermo. Ma il cinema, questo bel ruolo femminile lo aveva già nelle corde, nell'Adriana di Io la conoscevo bene (1965), che rimane da sempre dentro la Sandrelli, e nella mamma frivolamente disperata che la Ramazzotti aveva già interpretato nel penultimo lavoro di Virzì. Musiche del fratello Carlo, costumi insuperabili del premio Oscar Gabriella Pescucci.

La prima cosa bella è evidentemente un film meno interessato al sociale del precedente e più intimo e commovente. Si tratta di un racconto autobiografico?
Virzì: Dentro il film c'è un desiderio di far pace con la vita, ma ce ne siamo accorti strada facendo, quasi guardando il film finito. Volevamo raccontare qualcosa a cui volere molto bene. Ma non si può parlare di autobiografia; io non sono Bruno, anche se ho cercato di imbruttire Mastandrea e di accentuarne la pelata, e Stefania (Sandrelli) e Micaela (Ramazzotti) non sono la mia mamma. È un romanzo che incrocia la vita, ci si mescola.

Come si sono svolte le riprese? In che clima?
Virzì: Ottimamente, grazie ai bravissimi attori che hanno partecipato. Certo non ho rinunciato al mio casting spericolato nel mondo dei non professionisti e dei ragazzi, ma mi sono circondato di grandi attori e il set è stato felicissimo, tanto che non ho mai fatto la voce grossa e anche nelle scene drammatiche abbiamo saputo divertirci. Per il finale, perché non fosse melenso, Stefania ed io ci siamo volontariamente ubriacati, solo che a me ha preso la sbornia triste mentre lei era allegra e la scena è venuta benissimo.

Attori diversi interpretano i tre personaggi principali in diverse età della vita. Come avete lavorato per assicurare la continuità?
Ramazzotti: Ho cercato di ricordare Stefania com'era nei film degli anni ‘60 e ‘70, i film di Pietrangeli e di Germi, di ritrovarne lo sguardo, le movenze.
Sandrelli: Il giorno che ho terminato le riprese del mio film ho fatto la valigia e sono arrivata sul set. Paolo mi ha fatto vedere delle scene già finite, per cui sono stata una privilegiata, ho assorbito il tutto e mi sono lasciata andare, tra le braccia del mio regista preferito.
Pandolfi: Quando Paolo mi ha fatto sapere che c'era un po' di me nell'inchiostro della penna con cui aveva scritto questo copione, al di là della lusinga, ho desiderato tanto tornare in quella città dove aveva avuto luogo il mio primo incontro con lui per Ovosodo. Non ero nuova al dialetto livornese e comunque il mio copione conteneva tutte le necessarie indicazioni di fonetica. Per quel che riguarda le altre "Valeria", devo dire che ho amato le "pandolfine", la piccola soprattutto, Aurora Frasca.
Mastandrea: Io non avevo le indicazione di fonetica sul copione, ho fatto di testa mia, anche se la troupe m'insultava e mi dava del pisano.

Consideri questo film un ritorno al passato, non solo nella tua filmografia ma ad un tipo di cinema di un'altra stagione?
Virzì: Non volevo fare un film nostalgico, quello che mi premeva era tirare le somme nell'oggi, tanto è vero che anche il passato non è raccontato in forma elegiaca, c'è della violenza, la bellezza e l'incanto sono tutte nello sguardo della protagonista, una mamma incosciente ma forte, che è andata incontro al destino con fiducia e con i figli si è amata tanto, anche troppo. In un momento di sfiducia come questo, per me era importante guardare le cose con un altro sguardo, più libero e coraggioso.

In sala vi dividerete il pubblico con Avatar. Si fa fatica ad immaginare due opere tanto lontane l'una dall'altra.
Virzì Io sono contento che al cinema oggi si possa scegliere se andare a vedere l'ultima frontiera della tecnologia e della fantascienza o lo struggimento della famiglia Michelucci, molto umano e poco tridimensionale. Ma anche questo è un kolossal, un piccolo kolossal livornese, per cui se Medusa mi segue io, per ridere, una copia in 3D la farei.

Come hai lavorato sul personaggio e col regista?
Mastandrea: Lavorare con Paolo negli enormi circhi che allestisce, con personaggi numerosissimi ma ognuno col suo spessore, è sempre una cosa particolare. Per questo film abbiamo fatto dei piani sequenza molto lunghi, molto teatrali, con 7/8 attori tutti nelle mani di quello con l'ultima battuta, che se la sbagliava mandava tutto a puttane. Io mi sono dato da fare per far sentire a quest'ultimo tutto il peso della sua responsabilità.

Anna è un po' l'altra faccia della protagonista di "Io la conoscevo bene", una sua versione alternativa.
Sandrelli: è vero. Non ho mai fatto mistero, adoro Virzì come regista e il suo cinema è quello che io prediligo, dove non si fa in tempo a ridere che si piange e non si fa in tempo a piangere che viene da ridere. Con tanti attori tutti bravissimi. È la commedia all'italiana di serie A, quella che è stata tanto bistrattata anche negli anni Sessanta. Per me all'inizio è stato difficile entrare nel film, anche per motivi pratici, però poi è stato come un sogno.

Il film omaggia in una sequenza Dino Risi e da sempre la coppia Virzì-Bruni viene segnalata come l'erede più vera dei Monicelli, degli Scola, della stagione della grande commedia all'italiana. Vi ci ritrovate?
Bruni: In questo film vedo più Scola che Monicelli, manca il cinismo e l'amarezza pura. Con Piccolo abbiamo fondato un Ministero delle Ellissi e porteremo avanti questo modo di raccontare, che fa grandi salti ma dice l'importante, anche nei prossimi lavori insieme. Questo è apparentemente –anzi, evidentemente- il film più triste che abbiamo mai fatto ma in fondo è anche il più ottimista, che racconta la forza di superare le difficoltà personali e la voglia vivere di fronte alla morte.

Anche qui il tuo personaggio torna a casa dopo tanti anni, da una famiglia problematica. Quanto è vicino a quello che hai interpretato in "Non Pensarci" di Gianni Zanasi?
Mastandrea: Non sono personaggi vicini e sono stato attento a non gestirli in modo simile, ma è vero che sono due film che parlano d'amore in maniera molto originale, quell'amore tra i figli e la madre, che è più difficile da riconoscere e da accettare ma che è il principio attivo dell'amore, quello sul quale poi nascono infinite variazioni.

Poco tempo fa ti sei esposto in un dibattito sul problema della pirateria audiovisiva. Qualcosa è cambiato?
Virzì: Allora come ora dissi che la battaglia con internet andava affrontata in modo creativo, non con i gendarmi, perché sarebbe una battaglia persa in partenza. Poi credo che l'esperienza del film in sala resti imparagonabile ma se ci fosse un grande archivio di film altrimenti introvabili a basso prezzo ed alta qualità on line, io sarei contento.

Un altro ritorno a casa, a Livorno, è quello di Marco Messeri…
Messeri: Io mi sono letteralmente innamorato di questo copione, ho sentito che lo dovevo fare. Per prepararmi sono andato a Livorno tempo prima, sono stato la mattina presto al cimitero a visitare le mie zie morte. Però questi diabolici autori non hanno scritto una storia livornese ma una storia universale. Poi con Stefania sono già stato sposato e ho affrontato la morte in un altro film in cui lei si chiamava sempre Anna: Con gli occhi chiusi di Francesca Archibugi.

Un film più personale, familiare, meno politico. Perché?
Virzì: Ho sempre fatto dei film sugli italiani e sulla società, non sulla politica italiana. Ciò detto non ho mai nascosto le mie inclinazioni politiche e sono un sostenitore della battaglia per il rinnovo generazionale, non solo in politica ma anche nella scuola e ovunque.

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