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zoom e controzoom
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giovedì 20 gennaio 2011
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ottimo film di carattere
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film molto intenso che tiene in equilibrio tecnica e contenuto. Il fimale che è il punto più criticato è un finale che sta in equilibrio perchè non eccede per cui tra le scelte che potevano essere fatte del tipo tragico e ancora più enfatico, questo finale consente di focalizzare l'attenzione sulla tematica della ricerca della correnza quando si fanno delle scelte difficili.
E' un film dove i cntenuti sono intensi, profondi, forti umanamente vicini allo spettatore. nel contempo intensi sono i panorami scelti per far vivere i personaggi. ottima la scelta dei due ragazzini, pur non differenziandosi troppo, hanno espressività alle quali non servono le parole.
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film molto intenso che tiene in equilibrio tecnica e contenuto. Il fimale che è il punto più criticato è un finale che sta in equilibrio perchè non eccede per cui tra le scelte che potevano essere fatte del tipo tragico e ancora più enfatico, questo finale consente di focalizzare l'attenzione sulla tematica della ricerca della correnza quando si fanno delle scelte difficili.
E' un film dove i cntenuti sono intensi, profondi, forti umanamente vicini allo spettatore. nel contempo intensi sono i panorami scelti per far vivere i personaggi. ottima la scelta dei due ragazzini, pur non differenziandosi troppo, hanno espressività alle quali non servono le parole. Pure la vaga somiglianza dei due padri, non fortemente caratterizzati, la leggo come una consapevole forma di equilibrio espressivo nelel scelte degli interpreti.
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epiere
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sabato 19 febbraio 2011
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bel film ma un pò sopravvalutato
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La Bier ci sa fare:è capace di appassionarti anche per una storia non del tutto originale ,ma comunque non priva di qualche buono spunto,come la figura del padre che non esita a farsi prendere a schiaffi pur di tener fede alle sue convinzioni e di mostrare al figlio la forza della non violenza.Ottimi gli attori e buona vitalità di un cinema scandinavo non nuovo a prove convincenti
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stizzo
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venerdì 8 aprile 2011
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esempio eccellente del cinema europeo.
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Film biografico e introspettivo. La storia di due famiglie che vivono un dramma comune in un palcoscenico che si divide tra le praterie dell'Africa sahariana e il paesaggio sereno e misterioso dei fiordi scandinavi. Al centro di tutto questo due ragazzini molto particolari colpiti dai problemi familiari: la tragedia della perdita della madre e il divorzio. Quello che colpisce è la bravura degli attori che interpretano personaggi scomodi, drammatici e combattuti interiormente; quelli adulti(Thomsen e Persbrandt ad esempio già conosciuti al cinema europeo e internazionale) che quelli giovani(Rygaard e Nielsen). Attori con caratteristiche particolari e profonde che entusiasmano e commuovono in questo capolavoro del cinema danese.
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luana
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sabato 23 aprile 2011
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buon film
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Film sicuramente ddascalico ma anche racconto agganciato a realtà verosimili. A mio parere la regista vuole comunicarci come la vita sia di fondo un problema morale e zeppo di assilli morali.In primo luogo se lamentiamo l'ingiustizia della vita, quando la giustizia è un concetto dell'uomo e non della vita, dove per esempio non si sceglie quando e come morire. Così la madre di Christian morta di cancro e diventata "cattiva e amara" durante la sua feroce malattia. Così suo figlio che non sopporta quello che vive come un sopruso e che determinato come un adulto, vede dovunque il concetto di colpa,antecedente se vogliamo del concetto di responsabilità, laddove gli viene mostrato trattarsi a volte di mera inconsapevolezza e stupidità.
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Film sicuramente ddascalico ma anche racconto agganciato a realtà verosimili. A mio parere la regista vuole comunicarci come la vita sia di fondo un problema morale e zeppo di assilli morali.In primo luogo se lamentiamo l'ingiustizia della vita, quando la giustizia è un concetto dell'uomo e non della vita, dove per esempio non si sceglie quando e come morire. Così la madre di Christian morta di cancro e diventata "cattiva e amara" durante la sua feroce malattia. Così suo figlio che non sopporta quello che vive come un sopruso e che determinato come un adulto, vede dovunque il concetto di colpa,antecedente se vogliamo del concetto di responsabilità, laddove gli viene mostrato trattarsi a volte di mera inconsapevolezza e stupidità. Ma complessi e labili rimangono i confini tra queste zone del'animo umano. Si apre qui la tematica della violenza tra gli uomini, ineliminabile perchè la malvagità esiste ed agisce (e l'estremo episodio africano è chiarissimo in tal senso) e diventa più o meno gestibile ricollegandosi comunque alla coscienza morale di ciascuno. Questo finale cosiddetto buonista francamente non l'ho visto. Il bambino poteva morire ma non è morto. Esiste anche una riappacificazione con la vita e la presa d'atto delle conseguenze delle proprie azione dettate dalle nostre credenze. Ci sarebbe ancora da dire come tutti i particolari in questo film siano sottili. Il rapporto tra i due ragazzini,al di là dei primi episodi bullismo,è all'insegna del dominato e del dominatore come dire che la nostra indole e carattere ci mettono in una posizione o nell'altra. Il ritmo lento del film dove a volte solo la musica scandisce lo spazio temporale non fa che allargare nella coscienza dei protagonisti e nella nostra, questi interrogativi e queste riflessioni. La Bier sottolinea infine la fondamentale innnocenza dei bambini con una coscienza non ancora formata e con bisogni affettivi molto profondi. Espressiva la carrelata finale sui gioiosi bambini africani nell'inferno della loro terra e il contrappunto della tenerezza che nelle famiglie europee finisce per esprimersi.Commovente.
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stefano capasso
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martedì 2 giugno 2015
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il percorsa tra vendetta e perdono
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Alla morte della madre Christian si trasferisce in Danimarca per continuare gli studi. Nella nuova scuola incontra Elias col quale svilupperà presto un amicizia. Sono due adolescenti molto diversi. Duro e determinato il primo, timido e pauroso il secondo. Anche Elias sta affrontando un periodo difficile vista l’imminente separazione dei genitori. Christian si erge a difensore dei diritti di Elias, usando quella forza fisica che lui non è in grado di imporre, e finendo per estendere questa attitudine anche al padre dello stesso, un uomo che cerca di anteporre sempre il dialogo e la ragione anche quando sembra davvero inopportuno.
In un crescendo di episodi di tensione i due ragazzi finiranno per trovarsi coinvolti in un grave incidente.
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Alla morte della madre Christian si trasferisce in Danimarca per continuare gli studi. Nella nuova scuola incontra Elias col quale svilupperà presto un amicizia. Sono due adolescenti molto diversi. Duro e determinato il primo, timido e pauroso il secondo. Anche Elias sta affrontando un periodo difficile vista l’imminente separazione dei genitori. Christian si erge a difensore dei diritti di Elias, usando quella forza fisica che lui non è in grado di imporre, e finendo per estendere questa attitudine anche al padre dello stesso, un uomo che cerca di anteporre sempre il dialogo e la ragione anche quando sembra davvero inopportuno.
In un crescendo di episodi di tensione i due ragazzi finiranno per trovarsi coinvolti in un grave incidente.
Ho trovato questo film di Susanne Bier avvincente per la capacità narrativa e l’intreccio che coinvolge tutti i protagonisti su più livelli. Il tema dominante sembra essere il conflitto tra la vendetta e il perdono che tutti i protagonisti si trovano a sperimentare e a cercare di migliorare per approssimazione con l’esperienza. Ognuno ha un confine preciso che divide la capacità di perdonare dalla necessità di reagire, ed è importante conoscerlo e perchè le due parti abbiano possibilità di esistere ed essere integrate. C’è poi l’aspetto del sentimento di abbandono che vivono i ragazzi; le difficoltà in cui sono coinvolti gli adulti ricadono su di loro pesantemente; sono loro a pagare il prezzo più alto dell’incapacità genitoriale di essere presnti. Per tutti c’è comunque un percorso che porta ad un nuovo e più sano equilibrio dopo aver attraversato la crisi
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massimiliano morelli
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venerdì 31 dicembre 2010
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in un modo migliore sarebbe stato un gran film
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In un mondo migliore
Film a due velocità, come quei vecchi mangianastri dell’età del boom. E a due temperature, che scorrono parallele con i cambi di fondale che rimpallano dicotomici tra il mare del Nord danese e l’oceano di sabbia sahariana. E come tutti i racconti che mostrano due facce, probabilmente non ha spazio per svilupparne appieno nessuna. Ci sarebbero virate interessanti, come un attento studio della violenza, dalla sua genesi tribale alla sua comoda resurrezione a tinte edulcorate nei salotti famigliari. Così come sarebbe bello e buono ricordare i protagonisti più giovani, il piatto più denso, se non fossero lasciati soli da un cast adulto che scorre incerto intorno, senza la stessa forza evocativa.
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In un mondo migliore
Film a due velocità, come quei vecchi mangianastri dell’età del boom. E a due temperature, che scorrono parallele con i cambi di fondale che rimpallano dicotomici tra il mare del Nord danese e l’oceano di sabbia sahariana. E come tutti i racconti che mostrano due facce, probabilmente non ha spazio per svilupparne appieno nessuna. Ci sarebbero virate interessanti, come un attento studio della violenza, dalla sua genesi tribale alla sua comoda resurrezione a tinte edulcorate nei salotti famigliari. Così come sarebbe bello e buono ricordare i protagonisti più giovani, il piatto più denso, se non fossero lasciati soli da un cast adulto che scorre incerto intorno, senza la stessa forza evocativa. Né la stessa voglia di raccontarsi.
Susanne Bier ha profumato di un’intensa dote di femminilità il suo racconto, e viene da credere che sia questo il limite di un film che perde centimetro dopo centimetro la sua essenza, perché troppo concede alla furia di voler rivestire una deriva morale di stampo maschilista, con sentimenti dalle morbide forme addolcite in rosa. Ne consegue un film accennato, in qualche modo incompiuto, quasi come se il climax narrativo resti intrappolato, appeso sull’orlo di quel precipizio, che più volte appare, anche visivamente, ma che non viene varcato mai. Forse, con troppo poco coraggio. Ci si chiede fino a che punto sia giusto poggiare la lama della narrazione su percorsi accidentati, senza però affondarla mai. Troppo incoerente il dietrofront.
Molti gli echi che rimbombano dalla società di questo nuovo secolo, prima fra tutte la dissoluzione delle comunicazioni interpersonali ed affettive in favore di un network virtuale che si fa angelo, quando tiene unite persone fisicamente lontane come Elias e il suo papà quasi-missionario, ma anche demone quando diviene il cattivo maestro che riempie di polvere da sparo la fantasia deviata e vendicativa di Christian Così come viene dalle tante ferite aperte della modernità il vibrato contrasto tra i malesseri psicologici dell’ insaziabile emisfero nord, e la ben più fisica sofferenza delle terre africane private anche del minimo. Ma questo forse andava raccontato altrove, gli inserti sabbiosi, colorati e rumorosi ambientati nel campo di soccorso africano, restano pesci fuor d’acqua nella cornice generale. Un film nel film, che non coopera, semmai distoglie.
Nobile l’estetica formale e figurativa della pellicola. Inquadrature, ritagli, richiami e colori, sono davvero da ricordare. Bello il filtro algido su volti e scene danesi, altrettanto rimarchevole la sabbiatura satura e impastata degli esterni africani. Con una mistica predominante blu che si scioglie meravigliosamente nel rimpallo tra un cielo e un mare che nelle latitudini nord, hanno lo stesso colore. Un giudizio, insomma, sospeso a metà, per un’ opera che merita molto per il curatissimo guscio visivo in cui partorisce e avvolge la violenza, ma che lascia a desiderare per l’antitesi finale. La cura del Male poteva essere il Bene. Che è cosa diversa dal buonismo.
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