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Il photocall dei Fiori di Kirkuk

La prima co-produzione tra Italia, Svizzera e Iraq dall'inizio della guerra nel 2003.
di Marlen Vazzoler

Il photocall dei Fiori di Kirkuk al Festival Internazionale del film di Roma.
Fariborz Kamkari - Vergine. Regista del film I Fiori di Kirkuk.

martedì 2 novembre 2010 - Gallery

Due produttrici italiane sono riuscite a realizzare un progetto che sulla carta era apparentemente impossibile: girare interamente un film in Iraq.
Durante la conferenza stampa del film che si è tenuta ieri a Roma, Fabrizia Falzetti e Dorotea Morlicchio hanno parlato della realizzazione del film I fiori di Kirkuk: "Abbiamo avuto, girando in quei luoghi, una collaborazione che non ci saremmo mai aspettate" ha raccontato all'Adnkronos Dorotea Morlicchio "Da parte di tutte le autorità. Ci hanno messo a disposizione una scorta di mezzi e militari ma soprattutto siamo stati accolti da un grande entusiasmo".
La Morlicchio ha poi concluso: "Il messaggio è anche questo visto che i finanziamenti pubblici sono sempre meno è importante che ci siano dei privati che si impegnino in progetti in cui credono".
Durante la presentazione del film al Festival Internazionale del film di Roma, che si è tenuta oggi, il regista kurdo-iracheno, Fariborz Kamkari, ha parlato delle somiglianze tra il suo film e il caso di Sakineh: "Il ruolo che interpreta Morjana Alaoui per molti versi ricorda Sakineh, anche lei sfida le regole previste per lei dalla società e, in qualche modo, si sacrifica per amore. Il caso di Sakineh non è isolato nel mondo arabo e musulmano. Ce ne sono molti altri, ma spesso, per motivi politici, sono stati ignorati. Spero che ora ci sia un maggiore impegno civile". Kamkari continuato: "Il Kurdistan è stato diviso tra vari Paesi e questi non vogliono che si raccontino storie che lo riguardano. Non a caso ho potuto girare il mio film nel Kurdistan iracheno, ora che in Iraq c'è una situazione di maggiore libertà".
Infine il regista ha ammesso parlando con la stampa, come il suo film si è ispirato al cinema italiano: "È stato Rossellini a insegnarmi come raccontare la guerra, un grande evento, attraverso le piccole storie dei personaggi. Io racconto quello che è avvenuto durante il regime di Saddam Hussein parlando di una storia d'amore ambientata in quel periodo buio. È un film fatto per chi non sa cosa è accaduto in quegli anni e per questo ho scelto un tono drammatico".

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