gianleo67
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giovedì 10 aprile 2014
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le confessioni di una mente pericolosa
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Insegnante in una scuola media, la professoressa Moriguchi si congeda definitivamente da suoi studenti confessando che i due responsabili della morte della figlioletta, tragicamente annegata in una piscina, si nascondono tra gli alunni di quella classe e di aver messo in atto nei confronti di costoro una terribile e ferale vendetta...
Costruito come uno scanzonato e delirante mosaico di false confessioni ed ingannevoli verità ed attraversato dalla feroce ironia di un implacabile nichilismo, il film di Nakashima è uno sfrontato e forse troppo compiaciuto caleidoscopio narrativo sospeso tra onirismo ed esibità teatralità, dove le dimensioni del tragico e e dell'assurdo sembrano avviluppati e trasfigurati dalle spiazzanti folgorazioni di una irrefrenabile visionarietà.
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Insegnante in una scuola media, la professoressa Moriguchi si congeda definitivamente da suoi studenti confessando che i due responsabili della morte della figlioletta, tragicamente annegata in una piscina, si nascondono tra gli alunni di quella classe e di aver messo in atto nei confronti di costoro una terribile e ferale vendetta...
Costruito come uno scanzonato e delirante mosaico di false confessioni ed ingannevoli verità ed attraversato dalla feroce ironia di un implacabile nichilismo, il film di Nakashima è uno sfrontato e forse troppo compiaciuto caleidoscopio narrativo sospeso tra onirismo ed esibità teatralità, dove le dimensioni del tragico e e dell'assurdo sembrano avviluppati e trasfigurati dalle spiazzanti folgorazioni di una irrefrenabile visionarietà. Animando il suo cinema delle slanci e delle pulsioni autodistruttive di una generazione in bilico tra medialità e incomunicabilità, tra pregiudizio e consapevolezza, tra tenerzze pop e crudeltà sanguinaria, l'autore si sposta sul terreno minato dei rapporti generazionali (maestra-discepolo, madre-figlio) riducendone le motivazioni psicologiche al puro pretesto narrativo per un gioco al massacro che finisce per non risparmiare nessuno e suggerendo, attraverso una struttura ed un montaggio furbescamente architettati, le istanze di un relativismo etico e di una manipolatoria ambiguità del linguaggio che si risolvono in una finale resa dei conti dove tutti i fili sembrano riannodarsi e stringersi attorno al collo del colpevole protagonista, nella sorda deflagrazione di un crudele e definitivo contrappasso.
A dispetto della suggestione di una complessa struttura meta-cinematografica (lo spettatore viene proditoriamente fuorviato nel giudizio da attribure a personaggi, motivazioni ed accadimenti) e della frammentata dialettica della confessione (Kurosawa docet), il teatrino messo in scena da Nakashima rischia di apparire come un divertissement superficiale e pretestuoso in cui perfino le legittime aspettative di una vendetta sanguinaria si riducono nei mille rivoli di un incomprensibile stillicidio. Perfettamente nelle corde di un autore che ha studiato bene la lezione di una tradizione cinematografica da sempre innovativa nelle forme e spiazzante nei contenuti (complessità narrativa, predilezione per una contorta simbologia, gratuite morbosità psicologiche) il film rivela un talento debordante ma anche una certa avventatezza autoriale, finendo per produrre risultati dagli esiti controversi che, se accontentano una buona fetta del pubblico, ne scontentano una uguale e contraria. Black Dragon Audience Award 2011 al Far East Film Festival di Udine, perchè si sa, a noi italiani piace da matti il cinema giapponese!
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priscylla17
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domenica 26 ottobre 2014
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un masterpiece asiatico fuori dagli schemi
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Nakashima ci regala un'opera di grande bellezza estetica che si scrolla di dosso i consueti canoni della regia asiatica. Forte della sceneggiatura tratta dall'omonimo romanzo di Kanae Minato, il regista - dopo il visionario e pop "Memories of Matsuoko" - ci racconta una storia che si insinua nella psiche di personaggi devastati dalla società attuale giapponese. I topos sono sempre gli stessi che accompagnano l'horror made in Japan, il disfacimento della famiglia e la mancanza del valore affettivo tra i membri di un nucleo familiare, i rapporti sociali contrastati dall'ego personale degli adolescenti odierni. Nakashima ci racconta questa storia con un montaggio dinamico e con virtuosismo di movimenti di camera che lasciano increduli coloro che sono abituati alla staticità asiatica e al piano fisso in campo totale, spesso abusato dai registi giapponesi, sceglie di variare di continuo la fotografia desaturandola e saturandola secondo un climax narrativo interno alla storia, congela i personaggi narranti come in un fermo immagine attorno a cui lo spazio circostante si muove in rallenti di grande fascino visivo, oppure spiazza lo spettatore con jump-cut.
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Nakashima ci regala un'opera di grande bellezza estetica che si scrolla di dosso i consueti canoni della regia asiatica. Forte della sceneggiatura tratta dall'omonimo romanzo di Kanae Minato, il regista - dopo il visionario e pop "Memories of Matsuoko" - ci racconta una storia che si insinua nella psiche di personaggi devastati dalla società attuale giapponese. I topos sono sempre gli stessi che accompagnano l'horror made in Japan, il disfacimento della famiglia e la mancanza del valore affettivo tra i membri di un nucleo familiare, i rapporti sociali contrastati dall'ego personale degli adolescenti odierni. Nakashima ci racconta questa storia con un montaggio dinamico e con virtuosismo di movimenti di camera che lasciano increduli coloro che sono abituati alla staticità asiatica e al piano fisso in campo totale, spesso abusato dai registi giapponesi, sceglie di variare di continuo la fotografia desaturandola e saturandola secondo un climax narrativo interno alla storia, congela i personaggi narranti come in un fermo immagine attorno a cui lo spazio circostante si muove in rallenti di grande fascino visivo, oppure spiazza lo spettatore con jump-cut. Suggestiva la scelta delle soundtrack in lingua inglese che rendono la pellicola ancor più sui generis e che si armonizzano alla sensibilità del contenuto delle scene. L'intreccio narrativo ricorda quello di un anime giapponese, con lunghi monologhi che mostrano in colpi di scena l'evolversi della vicenda secondo i diversi punti di vista dei personaggi. Accusato di essere stato troppo estetizzante ed enfatico nella regia, si è invece affrancato dal solito cliché asiatico che, seppur affascinante, spesso stanca e annoia gli occhi degli spettatori occidentali e lo ha fatto con un stile e una classe impeccabili.
Priscilla Piazza
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mydearasia
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mercoledì 13 maggio 2015
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disturbante
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la vendetta ha tante sfaccettature, ha i suoi tempi, ha le sue vittime. In questo film di Nakashima c'è un pò di tutto e, alla fine, non capisci chi sia la vittima e chi il carnefice. Unica vittima certa è la povera bambina innocente che, come spesso accade, paga da sola, figura incolpevole e soprattutto inerme, le follie della mente umana.
Ma stavolta la vendetta è servita su un piatto diverso che tende prima ad erodere la mente e le sicurezze degli assassini, per poi colpire senza pietà con la stessa moneta.
Anche alla base delle dichiarazioni del regista, questo film punta il dito soprattutto sul bullismo nelle scuole giapponesi che sembra essere una piaga moderna.
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noia1
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domenica 27 novembre 2016
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il dolore puro
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Un’insegnante si chiude in classe con i propri alunni affermando che sua figlia è stata uccisa e che il colpevole è uno di loro.
Un film che prosegue per flashback fino alla prossima svolta mostrando prima le conseguenze e poi i motivi. Una telecamera spietata che mostra chiaramente le cose come vuole siano mostrate in modo tanto raffinato, tanto delicato e pacato, che l’anima degli eventi viene addosso nel modo più diretto ed intenso possibile.
La vicenda è quella che è punto e basta, non c’è comprensione o età che tengano rispetto alla propria personale sete di vendetta, chiunque può fare ciò che non ci si aspetta e a chiunque il destino può giocare la prossima beffa, chiunque sulla scacchiera può essere la prossima vittima o carnefice.
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Un’insegnante si chiude in classe con i propri alunni affermando che sua figlia è stata uccisa e che il colpevole è uno di loro.
Un film che prosegue per flashback fino alla prossima svolta mostrando prima le conseguenze e poi i motivi. Una telecamera spietata che mostra chiaramente le cose come vuole siano mostrate in modo tanto raffinato, tanto delicato e pacato, che l’anima degli eventi viene addosso nel modo più diretto ed intenso possibile.
La vicenda è quella che è punto e basta, non c’è comprensione o età che tengano rispetto alla propria personale sete di vendetta, chiunque può fare ciò che non ci si aspetta e a chiunque il destino può giocare la prossima beffa, chiunque sulla scacchiera può essere la prossima vittima o carnefice.
Un film che dimostra la propria apatia proprio nel dare sempre l’ultima speranza, i sentimenti umani sono riconosciuti è vero, peccato non siano però malgrado tutto rispettati ed anzi addirittura scherniti.
Le cose sono mostrate così come vanno mostrate, non è la crudeltà o la dolcezza a tradire il regista ma il solo e semplice gusto estremo per la scena, non è il regista che dà allo spettatore per smuoverlo, lo spettatore i propri scossoni li avrà proprio perché gli eventi lo spingeranno ad andare incontro con la testa e col cuore a sensazioni forti proprio perché scomode, troppo pesanti e crudeli.
Il dolore troppo forte che acceca ed isola le persone, azioni dalle conseguenze imperdonabili, cicatrici impossibili da rimarginare. La vendetta più pura per quanto crudele fino all’insensatezza col solo alibi di non avere altro motivo per cui vivere. Tutti hanno ragione in un infinito duello dove vince solo il più forte davanti al disfacimento del moralismo rispetto a qualsiasi muro alzato in suo favore.
Sensazioni forti perché pure nella bellezza del tutt’uno, insopportabili forse quando espresse in sequenze dove la trama esplode in una miscela acuta, che fa male.
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no_data
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domenica 19 maggio 2013
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il cinema orientale ha la febbre
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Il film è stato presentato al Far East Film Festival come uno dei film più degni di nota. Purtroppo, oltre a questo, non c'è molto altro di importante da sottolineare: se questo è uno dei migliori prodotti della cinematografia orientale, allora quest'ultima ha la febbre e anche molto alta.
A mio parere, la pellicola è un misto tra un video musicale ed uno psycho thriller, dove la parte estetico formale del video musicale (scene al rallenty, alta definizione delle immagini, buona scelta delle musiche), può essere apprezzabile tecnicamente, ma risulta essere la parte più importante del film, mettendo in secondo piano la sceneggiatura e l'intreccio che risultano a tratti scontati e non sviluppati a dovere (persino il tema della vendetta, uno dei più gettonati dal cinema orientali risulta poco coinvolgente) sacrificando punti sul fronte dei contenuti emotivi e simbolici (grandi assenti).
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Il film è stato presentato al Far East Film Festival come uno dei film più degni di nota. Purtroppo, oltre a questo, non c'è molto altro di importante da sottolineare: se questo è uno dei migliori prodotti della cinematografia orientale, allora quest'ultima ha la febbre e anche molto alta.
A mio parere, la pellicola è un misto tra un video musicale ed uno psycho thriller, dove la parte estetico formale del video musicale (scene al rallenty, alta definizione delle immagini, buona scelta delle musiche), può essere apprezzabile tecnicamente, ma risulta essere la parte più importante del film, mettendo in secondo piano la sceneggiatura e l'intreccio che risultano a tratti scontati e non sviluppati a dovere (persino il tema della vendetta, uno dei più gettonati dal cinema orientali risulta poco coinvolgente) sacrificando punti sul fronte dei contenuti emotivi e simbolici (grandi assenti). Tutto è spiegato, allungato forzosamente, nulla è lasciato alla fantasia dello spettatore: il fatto o l'azione vengono mostrati, spiegati, giustificati da più punti di vista, fin dalla prima scena (a mio giudizio la migliore del film). Anche la tecnica dei flash forward, non aggiungono nulla al la storia, piuttosto la rallentano, non andando nemmeno a sfiorare la perfezione raggiunta in questa tecnica da Gus Van Sant in film come "Elephant" o "Last Days". Tutto già visto. Manca infatti l'originalità, il punto di vista nuovo che stupisce, l'invenzione artistica, che in questo caso può essere confusa con gli effetti (seppur magistrali) di regia sopracitati.
La sensazione (brutta) è che, per una mera questione di mercato, il cinema orientale stia sacrificando la sua originalità e le sue peculiarità, scimmiottando con risultati altalenanti, ma spesso deludenti, il cinema occidentale e Hollywoodiano e Confessions purtroppo ha tutta l'aria di essere uno di questi.
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francesco2
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martedì 8 aprile 2014
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non sarà un film sopravvalutato?
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In questo film apparentemente (Molto) ironico manca, invece, quell'ironia che contraddistingueva >Per esempio- l'eccellente "Old Boy". Certo, può sembrare un paragone discutibile e per certi versi forse lo è, perché la matrice di quest'opera appare molto più di carattere sociale. Tuttavia, i virtuosismi registici di Nakashima su una storia non necessariamente così irresistibile potrebbero insinuare il sospettoc he "Confessions" sia poco altro che un gioco intelligente eben costruito, che si ritien viene ritenuto più intelligente di ciò che è.
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flyanto
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lunedì 20 maggio 2013
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quando la vendetta impera e pure la mancanza dei v
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Film in cui, attraverso le confessioni personali di alcuni personaggi, dall'insegnante di una scuola media ad alcuni dei suoi alunni, si dispiega una vicenda di sottile vendetta per l'omicidio di una bimba di 4 anni. Ogni personaggio racconta le motivazioni del proprio operare, giustificandolo quasi. Ma ciò che ne emerge è solo un'universale crisi di valori che non trova alcuna, appunto, giustificazione. Il regista giapponese Tetsuya Nakashima qui affronta varie e serie tematiche che, attraverso, appunto, le varie confessioni dei personaggi, come nelle scatole cinesi o nelle bambole matriosche russe, via via si dispiegano presentando vari temi attuali e profondi che coinvolgono la società e le future generazioni.
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Film in cui, attraverso le confessioni personali di alcuni personaggi, dall'insegnante di una scuola media ad alcuni dei suoi alunni, si dispiega una vicenda di sottile vendetta per l'omicidio di una bimba di 4 anni. Ogni personaggio racconta le motivazioni del proprio operare, giustificandolo quasi. Ma ciò che ne emerge è solo un'universale crisi di valori che non trova alcuna, appunto, giustificazione. Il regista giapponese Tetsuya Nakashima qui affronta varie e serie tematiche che, attraverso, appunto, le varie confessioni dei personaggi, come nelle scatole cinesi o nelle bambole matriosche russe, via via si dispiegano presentando vari temi attuali e profondi che coinvolgono la società e le future generazioni. Dalla mancanza di figure guida nel'ambito familiare, dal significato e dal valore che si dà alla vita così come anche alla morte, dal senso smodato che si ha di fama e riconoscimenti e ad essere protagonisti in prima persona ad ogni costo di eventi, all'eventuale mancanza totale o quasi di sistemi punitivi regolati dalla legge riguardante i minori, le nuove generazioni vengono così rappresentate: incuranti, superficiali e, forse, poco educate ai reali valori umani e morali. Insomma, una ricchezza di temi che fa discutere e che fa raccapricciare per la loro portata e che fa, in un certo qual modo, forse anche poco sperare in un roseo futuro. Nakashima lo racconta e lo rappresenta con uno stile lucido, lineare, essenziale e pertanto senza fronzoli nè sbavature ma in un modo altamente efficace e diretto che senza dubbio colpisce lo spettatore. Girato per ciò che riguarda alcune scene come un video clip, il film sembra proprio parlare dei ed ai giovani riproducendone il linguaggio ed il loro mondo ridotto ormai quasi solo a video.giochi e telefoni e comunicazioni cellulari. Molto convincenti tutti gli interpreti. Senza alcun dubbio definirei questa pellicola "geniale" e ben riuscita.
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