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Non bombe ma fuochi d'artificio

Pink Subaru mescola cinema, razze e generi per far ridere sulla Palestina.
di Gabriele Niola

Akram Telawe in posa per il photocall di Pink Subaru di Ogawa Kazuya.
Akram Telawe - Leone. Interpreta Elzober nel film di Ogawa Kazuya Pink Subaru.

martedì 23 agosto 2011 - Incontri

Tutto nasce da fuochi d’artificio scambiati per bombe da un giapponese atterrato in Palestina. È Kazuya Ogawa, videomaker nipponico con esperienze internazionali, che catapultato nella realtà palestinese si trova di fronte a qualcosa cui i telegiornali non lo avevano preparato. I fuochi d’artificio saranno le uniche esplosioni di tutto il suo soggiorno: “Ovviamente so bene che in Palestina e in israele succedono anche cose molto gravi” spiega proprio il regista “ma la mia esperienza personale è stata estremamente positiva. Nella vita di tutti ci sono le difficoltà e io ho cercato di raccontare un momento di vita positiva, un'avventura scherzosa in un paese in cui spesso non si scherza”.
Ecco dunque da una parte il rosa (che è anche il colore tipico dei Sakura, i fiori di ciliegio), mentre dall’altra le Subaru, automobili giapponesi che sono realmente le più utilizzate in Palestina, benchè fino a qualche anno fa non ne esistesse nemmeno un concessionario su tutto il territorio. Il mistero di questa presenza è il cuore del film.

Dal Giappone in Palestina
Italia, Giappone, Israele, Palestina e Cisgiordania, non c’era una lingua comune sul set di Pink Subaru e questo si rispecchia anche nel film (che uscirà in Italia non doppiato proprio per l’impossibilità di ridurre ad una lingua sola la mescolanza di tante parlate differenti). “Ho dovuto inserire dei personaggi giapponesi nel film anche se inizialmente non erano previsti, perchè sentivo di non poter raccontare questa storia mantenendo un’ottica israelo-palestinese per tutto il tempo. Mi serviva qualcuno che potesse portare anche il mio punto di vista” racconta Kazuya Ogawa e poi precisa “Tuttavia fin dall’inizio la protagonista del film era giapponese, la Subaru”.
Proprio le macchine della casa nipponica sono al centro del gioco di furti, ricerche e riverniciature che incastrano la commedia nel paesaggio palestinese, eppure dalla casa madre non ne hanno voluto sapere di fare un’operazione di product placemente da Il diavolo veste Prada: “Sono stati molto onesti alla Subaru” spiega il produttore italo giapponese Mario Miyakawa (uno che in gioventù è stato assistente di Akira Kurosawa fino a che “l’imperatore” non l’ha cacciato dai suoi set in uno dei suoi momenti d’ira) “ci hanno detto che loro fanno macchine e non film, dunque non ci avrebbero finanziato nè erano interessati a pagare per un piazzamento. La storia però fin dall’inizio prevedeva l’uso di quelle macchine e dalla Subaru ci hanno fornito tutto il supporto possibile, noleggiando gratis le auto che ci servivano, facendoci girare nelle loro concessionarie e agevolando qualsiasi pratica in loco. Che non è stato poco, considerando che per un film simile non è stato davvero possibile trovare alcun tipo di finanziamento in Italia”.

Dalla Palestina in Giappone
“Quando c'è stato lo tsunami per giorni la televisione giapponese ha mandato immagini molto tristi” racconta Kazuya Ogawa “ma quando poi, dopo 4-5 giorni, ha trasmesso l'immagine di una casa ritrovata in mare sul cui tetto stavano un anziano signore e la moglie, sopravvissuti alla catastrofe con il cane in una busta, anch’esso indenne, c’è stato un momento di ilarità improvvisa e di commozione che mi ha mostrato quale sia l'umanità delle persone: la loro capacità comunque di pensare sempre positivo”.
Con questo pensiero nasce Pink Subaru, perchè il fatto che un paese attraversi un momento difficile non significa che non continui a vivere e quindi a ridere, scherzare e divertirsi: “Il Giappone ora sta attraversando un momento difficile” continua Ogawa “si piange ma si pensa anche al futuro, ci sono molte persone che ridono e che conducono la vita di tutti i giorni. E benchè in questo film non si parli della mia nazione c’è comunque un’idea più grande che la comprende”.
Non può non fargli eco anche Akram Telawe, che del film è protagonista oltre che co-sceneggiatore: “Volevamo davvero raggiungere un mercato ed un livello artistico internazionali, unire elementi eterogenei in modo da aprirci al mondo, cosa che si rispecchia anche nell'uso di molte lingue diverse. Ci piace l'idea che artisti palestinesi e israeliani possano lavorare insieme. Ci piace creare situazioni comiche anche nelle tragedie a partire da una macchina rubata ad un personaggio che non lo conduce dalla polizia verso un'avventura tra due stati”.

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