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Horror Frames: Mutants, gli zombie francesi

Un horror che si prende sul serio tra rimandi e citazioni.
di Rudy Salvagnini

Gli zombie nel cinema francese
Hélène De Fougerolles (Hélène Rigoine de Fougerolles) (51 anni) 25 febbraio 1973, Vannes (Francia) - Pesci. Interpreta Sonia nel film di David Morlet Mutants.

martedì 16 marzo 2010 - News

Gli zombie nel cinema francese
La recente ondata di horror francesi si è focalizzata su film realistici ed estremi, ma non ha trascurato l’utilizzo di mostri ben presenti nel pantheon orrorifico, gli zombie. Per la verità nel cinema francese gli zombie erano già comparsi in passato, anche se in film minori o particolari. Jean Rollin ha realizzato un film a suo modo poetico e struggente, La morte vivante (1982), raccontando la triste vicenda di una morta vivente conscia della propria situazione ma incapace di superarla. In quel caso, però, se la ragazza era oggettivamente una zombie, la sua figura era assai più simile a quella di una vampira, nella tradizione del cinema di Rollin. Lo stesso Rollin ha fatto anche film di zombie più tipici come l’efficace Le Raisins de la mort (1978) e l’assai inefficace Zombie Lake (1980), mentre non si può dimenticare il terrificante (per pochezza) I morti viventi sono tra noi (1987) di Jean-Claude Roy. Nella nouvelle vague horror degli ultimi anni, gli zombie sono tornati a fare capolino. Al Festival di Venezia dello scorso anno abbiamo visto La Horde, ma forse più interessante è Mutants, con cui il regista David Morlet, dopo alcuni cortometraggi, ha esordito nel lungometraggio.
Le didascalie iniziali ci danno un quadro delle dimensioni del problema: un virus ha decimato la popolazione e la speranza per i sopravvissuti è in un messaggio radio da una base militare. A bordo di un’ambulanza, la dottoressa Sonia Dupré (Hélène de Fougerolles), il suo fidanzato Marco (Francis Renaud) e l’arcigna poliziotta Perez (Marie-Sohna Conde) cercano la salvezza percorrendo una strada solitaria tra i boschi, alla ricerca della base militare. Ma non è che vadano troppo d’accordo e a un’inutile fermata in una stazione di servizio si prendono a pistolettate: la poliziotta muore e Marco è ferito gravemente. Sonia non lo abbandona e, assieme, cercano una momentanea salvezza in un grande edificio deserto, in attesa di contattare la base militare. Marco però ha contratto il virus e le cose si complicano.
L’inizio è già nel pieno del dramma, come in Zombi di Romero. Non c’è spazio per tempi morti. L’azione sembra frenetica e incessante. L’ambientazione boschiva, ma fredda e ostile, dà il senso di un mondo in disfacimento. Quando poi lo sfondo diventa quello urbano il senso di distanza, di solitudine, di gelo, non cambia. La storia però si prende una lunga pausa per approfondire le sue tematiche.

Mantenere la propria coscienza
Tra Romero e 28 giorni dopo, il film procede su un sentiero ben conosciuto e ricco di rimandi e citazioni, ma lo fa con perizia. Non ci sono le spettacolarizzazioni del gore zombesco più triviale né gli aspetti grottesco-umoristici che caratterizzano molti film sui morti viventi degli ultimi decenni, nei quali l’eccesso si trasforma in consapevole autoparodia a celare, evidenziandola, una sostanziale carenza di idee.
Mutants si prende invece sul serio e cerca di sviluppare il rapporto psicologico tra i due protagonisti, che non devono solo affrontare l’orrore che viene dall’esterno, ma anche il progressivo deteriorarsi del corpo di uno dei due, che, colpito dal virus, si decompone e si deteriora un po’ alla volta. La sfida per la coppia è quella di continuare a considerarsi umani e mantenere vivo il sentimento reciproco anche in una situazione nella quale la speranza non trova spazio. Questo approccio rende la parte centrale del film come teatro da camera, con i due personaggi soli a tenere la scena all’interno di uno spazio chiuso, senza che succeda molto. La tensione psicologica si mantiene comunque discreta e il senso del dramma è trasmesso con sufficiente pathos. L’arrivo di un gruppo di nuovi venuti segnala in modo un po’ sbrigativo l’irredimibile autodistruttività della natura umana e la sua incapacità a sviluppare rapporti solidali. Ma rende anche il film meno interessante e teso, prendendo una piega più prevedibile. La parte finale dà libero sfogo al gore, in un concitato susseguirsi di attacchi che i movimenti estremi della macchina a mano rendono sin troppo vivaci, recuperando nella svolta conclusiva, anche se in modo non troppo convincente, il pathos perduto nella frenesia degli eventi.
Il rapporto di coppia nel quale uno dei due diventa zombie, ma resta più o meno cosciente di ciò che sta succedendo è già stato affrontato con un certo successo in Zombie Honeymoon (2004) di David Gebroe e con un eccesso di melodramma dal precedente Né mare né sabbia (1972) di Fred Burnley. Il modesto I, Zombie (1998) di Andrew Parkins aveva invece tentato di raccontare la discesa nel mondo degli zombie dal punto di vista di uno neo-zombie. Rispetto a questi esempi, Mutants mantiene una propria individualità e trova una sua autonoma dimensione pur aderendo alle più recenti caratteristiche dello zombie-movie. Come in molti degli esempi più recenti, infatti, gli zombie - visti come esseri rapidi e iperattivi - non sono morti viventi, ma vittime di un virus che li trasforma in esseri affamati di carne umana.
Pur senza una tradizione specifica nell’horror, quantomeno a livello industriale, i francesi dimostrano ancora una volta come sia possibile realizzare con budget contenuti dei solidi film dell’orrore che abbiano un discreto appeal internazionale mantenendo la propria specificità nazionale.

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