L'Italia del nostro scontento

Film 2009 | Documentario

Anno2009
GenereDocumentario
ProduzioneItalia
Regia diFrancesca Muci, Elisa Fuksas, Lucrezia Le Moli
MYmonetro 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Francesca Muci, Elisa Fuksas, Lucrezia Le Moli. Un film Genere Documentario - Italia, 2009, - MYmonetro 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 6 novembre 2009

Consigliato sì!
2,75/5
MYMOVIES 2,50
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
Scheda Home
Critica
Premi
Cinema
Trailer
Una struttura tripartita per un documentario importante ma discontinuo.
Recensione di Edoardo Becattini
sabato 17 ottobre 2009
Recensione di Edoardo Becattini
sabato 17 ottobre 2009

Tre tematiche e tre registe per attraversare il malcontento e ricostruire lo stato delle cose in Italia. Il tricolore come triplice punto di vista per osservare il nostro paese e i suoi abitanti. Attraverso una serie di interviste ad una specificità esauriente della popolazione giovane e meno giovane, esperta e meno esperta, si cerca di comprendere cosa sia e come venga percepita l'Italia a partire dalla situazione ambientale, giovanile e politica.
Per Godard il tricolore significava una ricorrenza ossessiva di blu, bianco e rosso. Per Kieslowski quegli stessi tre colori sono stati altrettante opere e tematizzazioni simboliche di libertà, uguaglianza e fraternità. Dalla Francia all'Italia, per Franco Scaglia e per Rai Cinema il tricolore italico diventa un progetto documentaristico tripartito in ambiente (Verde), giovani (Bianco) e politica (Rosso). Da quasi o poco più che trentenni, le tre registe chiamate a dirigere il loro frammento si affidano principalmente allo sguardo e alle parole dei giovani e solo in rari casi intervengono voci autorevoli a far da raccordo.
Il primo di questi, il segmento "verde" di Elisa Fuksas, è quello che ricorre maggiormente al parere di personalità note del mondo artistico e intellettuale (Oliviero Toscani, Salvatore Settis, Edoardo Winspeare), ed è quello che utilizza anche un taglio diverso da quelli che seguono, con scelte compositive più ricercate e alcuni inserti esplicitamente "videoartistici". La giovane regista, che ha esperienze di architettura acquisite per formazione ed eredità, sceglie di riprendere frontalmente solo i suoi intervistati "eccellenti", riprendendo i volti più giovani di profilo oppure soffermandosi su un dettaglio del loro viso. È una scelta interessante che tende a marcarne la presenza nel paesaggio e come paesaggio, sottolineando la continuità fra il profilo di un territorio e quello dei volti delle future generazioni, fra le forme di una città e le responsabilità di coloro che contribuiranno a plasmarle. Il segmento "verde" è anche l'unico che tenti di dare una risposta al problema dell'urbanizzazione e della configurazione del territorio. A partire dai profili dei giovani che si sovrappongono al paesaggio, per arrivare agli effetti di post-produzione che raffigurano l'incubo di una degenerazione urbanistica, Fuksas elabora una risposta senza dubbio sibillina ma che rappresenta comunque una posizione forte: occorre insegnare e imparare la bellezza. Occorre reimparare a saper guardare al proprio paesaggio come a qualcosa di bello da rispettare con un intervento necessario ma non meramente utilitaristico, un intervento che sappia coniugare le esigenze della società con quelle della natura, del paesaggio circostante. Occorre ritrovare un senso estetico, un'integrazione dell'evoluzione tecnica con le creazioni spontanee della natura.
Al contrario, gli altri due "colori" seguono un taglio documentaristico più classico, alternando interviste ad un campione eterogeneo di italianità con fini meno artistici che sociologici. "Giovani" e "politica" sono anche due temi visibilmente intrecciati, tant'è che i due frammenti presentano una continuità tale da farli sembrare un prolungamento l'uno dell'altro, una sovrapposizione in dissolvenza incrociata dalle considerazioni dei giovani sulla politica odierna. Ma la forma più rigorosa non supera i difetti di quello sguardo opaco che caratterizza alcuni programmi di approfondimento televisivo e non riesce ad aggiungere molto di più a ciò che questi normalmente raccontano. Ritrarre una realtà talmente liquida, atomizzata e al tempo stesso omologata, reattiva o solamente dolente nei confronti della crisi che la opprime, come la massa dei giovani è impresa assai complessa. Così come lo è affrontare la situazione politica che, come sintetizza in modo fulminante Alain Touraine nel suo intervento, "è una questione che non esiste più".
Non aiutano, in questo senso, i limiti effettivi della struttura tripartita, che impongono di puntare ad obiettivi di tale difficoltà mediante una forma parcellizzata e di breve durata. Una forma che appare quasi contraria a quel che sostiene sempre l'illuminato Touraine: fin quando un popolo non riusce a sconfiggere il trionfo del comunitarismo e a riscoprire le proprie diversità in un'ottica universale e in un'identità definita, non c'è futuro per un paese, né per la sua arte, per i suoi giovani o per la sua società.

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