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La favolosa rivoluzione dei clochard

Il creatore di Amélie e Delicatessen racconta la sua ultima avventura.
di Edoardo Becattini

Dany Boon e Omar Sy in una scena di L'esplosivo piano di Bazil di Jean-Pierre Jeunet
Dany Boon (57 anni) 26 giugno 1966, Armentières (Francia) - Cancro. Interpreta Bazil nel film di Jean-Pierre Jeunet L'esplosivo piano di Bazil.

venerdì 10 dicembre 2010 - Incontri

Alieni e burattini. Asociali e sognatori. Vagabondi e freaks. Nei favolosi mondi virati a seppia di Jean Pierre Jeunet vige una sola regola: la fantasia al potere. Tutto il resto è rimandato alle sorprese del caso e del destino, agli intricati sentieri del fato e della sorte, cui ci si può opporre solo attraverso sterzate di creatività. Così, dopo Il favoloso mondo di Amélie e Una lunga domenica di passioni, è ancora una volta il fato a determinare la nuova avventura di Jeunet: L'esplosivo piano di Bazil. Lo stesso fato che dapprima priva il protagonista del padre, saltato in aria per una mina trovata durante una missione in Marocco, e poi lo coinvolge accidentalmente in una sparatoria dove viene colpito alla testa da un proiettile volante. Ma la sorte tutt'altro che favolosa di Bazil è solo l'avvio di una fantasiosa vendetta, una rivoluzione creativa condotta da un gruppo di barboni che, attraverso l'arte del riuso, dichiara guerra ai due principali fabbricanti d'armi di Parigi.
Ecco che cosa il regista francese ci ha raccontato a proposito del suo destino e di quello dei suoi personaggi.

Che tipo di film è L'esplosivo piano di Bazil?
Jean Pierre Jeunet: È principalmente una commedia slapstick, un omaggio alla comicità di Buster Keaton e Harold Lloyd. Ma in parte è anche un cartone animato: nel creare i personaggi, ho pensato molto ai nani di Biancaneve o ai giocattoli di Toy Story. In un certo senso, è un mix di ogni cosa che amo, con l'aggiunta rischiosa di voler parlare dell'industria delle armi. Provengo dall'animazione e ogni volta che giro un film mi piace sentirmi come un pittore. Da spettatore, apprezzo molto anche i film realistici, ma da regista non mi piace riprodurre il mondo così com'è, adoro trasformarlo. Per questo amo soprattutto quei registi che danno una forte impronta personale alla realtà, come Tim Burton o Terry Gilliam. Fra gli italiani, adoro soprattutto Leone e Fellini, autori in cui puoi riconoscere certe peculiarità fin dalla prima inquadratura.

Infatti è un film pieno di riferimenti anche al suo stesso cinema.
J. P. Jeunet: Non mi sono posto alcun limite. Il riferimento principale voleva essere al cinema di Sergio Leone: ci sono molte scene che citano C'era una volta il west, che è uno dei film che più hanno influenzato nella vita. E tuttavia sapevo fin dall'inizio di voler utilizzare dei riferimenti anche ai miei film, soprattutto per gioco. Inizialmente mi sarebbe piaciuto inserire un riferimento ad Amélie attraverso una scena che mostrasse Nino addormentato davanti alla tv con una birra in mano e Amélie piena di marmocchi, ma alla fine Audrey Tautou non ha potuto girare la scena, così ho optato per una citazione da Delicatessen. Ma, come ho detto, nel film c'è molto anche del mondo dei cartoni animati. Principalmente Tex Avery, che per me è un vero maestro, ma anche i Looney Tunes della Warner. D'altronde è un omaggio dovuto: la compagnia americana ha prodotto il mio film precedente, Una lunga domenica di passioni con il quale ha corso un grosso rischio. Si trattava di un film molto costoso, girato in francese con attori francesi, per il quale non ho ricevuto alcuna pressione. Il fatto che sia stato inserito fra gli 80 capolavori prodotti dalla Warner mi riempie d'orgoglio. Mi hanno persino offerto di girare un capitolo di Harry Potter ma ho dovuto rifiutare perché ormai sono troppo vecchio per sapermi adattare a un mondo scritto da altri. Non mi piace l'idea di essere schiavo di una produzione e di non poter decidere tutto da solo. L'esperienza di Alien – La clonazione è stata bella ma molto faticosa. Gli studios americani non si rendono conto di quanto siamo liberi da questa parte dell'oceano. Per questo L'esplosivo piano di Bazil è stato prodotto dalla divisione francese della Warner, che è la miglior soluzione possibile: soldi americani e libertà francese.

Qual è stato il suo rapporto con il protagonista Dany Boon?
J. P. Jeunet: La presenza di Dany Boon nel film è stata una coincidenza. Lo script inizialmente non era stato scritto per lui ma per Jamel Debbouze. Eppure quando l'ho visto recitare le prime scene in cui interpreta il vagabondo affamato, sono rimasto folgorato dall'impressionante somiglianza con Charlie Chaplin. Quando gliene ho parlato, Dany sembrava molto stupito dal paragone, ci ha riflettuto e ha poi cercato di lavorare su questa direzione. Per questo in fase di montaggio abbiamo deciso di rendere un piccolo omaggio a Luci della città, utilizzando la stessa musica. Ad ogni modo, Dany Boon è un genio puro. Lo odio, è davvero troppo bravo. Ogni cosa che fa diventa subito un successo e, anche sul set, non c'è una singola ripresa che gli sia venuta male. Sono davvero invidioso.

E di Yolande Moreau che ci dice?
J. P. Jeunet: Yolande Moreau è una grandissima caratterista e io adoro i caratteristi. Yolande è un po' come quei grandi attori degli anni Quaranta che erano in grado di trasformarsi continuamente, di interpretare continuamente soggetti strambi e sempre diversi. In questo film ho voluto puntare più su questa sua capacità.

Nel film c'è anche un forte messaggio antimilitarista.
J. P. Jeunet: Non amo i film con un messaggio e non mi piace l'idea di film politico. È un banale cliché dire che tutte le armi sono dannose. Mi sembrava più interessante mostrare delle persone perbene, devote ai figli e alla famiglia, che di giorno costruiscono strumenti di morte, portatori di sofferenza e dolore. Quando giravo La città dei bambini perduti il nostro set era molto vicino alle fabbriche aeronautiche Marcel Dassault. Là ho incontrato persone così appassionate di tecnologia da dimenticarne i possibili effetti. A quel tempo stavano sviluppando un proiettile in grado di forare persino i carri armati.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?
J. P. Jeunet: Non lo so con precisione. Non so se cambierò completamente registro e mi dedicherò ad un altri tipo di film. Forse dovrei fare qualcosa di veramente inedito per me, come un film sulla religione, sul papa o magari sul sesso. D'altronde diventando vecchi si è sempre più incuriositi dal sesso. E poi, abbiamo un sacco di film che utilizzano abbondantemente sesso e violenza e che in un attimo diventano pornografici. Mi piacerebbe mostrare il sesso come qualcosa di inedito, senza cliché. Oggi tutti parlano del 3D e, se ci pensate, ogni film che ho fatto avrebbe potuto essere adatto per il 3D. E tuttavia il progetto cui sto attualmente pensando è forse il primo non adatto al 3D. Si tratta dell'adattamento di un libro che ho amato moltissimo. Nell'ultimo anno avrò letto circa duecento libri ma questo mi ha emozionato in modo particolare: ci ho ritrovato la mia poetica, le mie stesse idee, le mie stesse preoccupazioni. È come se l'autore fosse un mio gemello più giovane. È un libro americano e sto attualmente trattando per i diritti. Vorrei farne presto un film: una sorta di Amélie ambientato negli Stati Uniti e mi piacerebbe avere una produzione francese ma attori americani.

A proposito di 3D, cosa pensa del progetto su Tin Tin?
J. P. Jeunet: Ero stato contattato tempo fa per fare qualcosa su Tin Tin e mi ero anche incontrato con la produzione a Bruxelles. Mi sarebbe piaciuto raccontare una storia sul vero Tin Tin che incontra il disegnatore Hergé e si arrabbia con lui per aver raccontato un avventuriero senza donne e senza amanti. Alla fine non l'ho voluto fare perché sapevo che avrei avuto sempre qualcuno dietro una spalla a controllarmi e, come vi ho detto, non avrei potuto sopportarlo. Tuttavia, sono felice che lo abbia diretto Spielberg e sono anche sicuro che lui non ha avuto nessuno dietro le sue spalle.

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