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La ragazza che giocava con il fuoco: l'uomo che ama le donne

Intervista a Michael Nyqvist.
di Marianna Cappi

Gli uomini che Lisbeth Salander odia più di ogni altra cosa al mondo
Michael Nyqvist (Rolf Åke Mikael Nyqvist) 8 novembre 1960, Stoccolma (Svezia) - 27 Giugno 2017, Stoccolma (Svezia). Interpreta Mikael Blomkvist nel film di Daniel Alfredson La ragazza che giocava con il fuoco.

venerdì 18 settembre 2009 - Incontri

Gli uomini che Lisbeth Salander odia più di ogni altra cosa al mondo
Gli uomini che odiano le donne sono ancora e sempre gli uomini che Lisbeth Salander odia più di ogni altra cosa al mondo. Lo ribadisce La ragazza che giocava con il fuoco, secondo capitolo della trilogia "Millennium", pubblicata e filmata postuma dopo la morte del sul autore, lo svedese Stieg Larsson. Distribuito dalla Bim, il film di Daniel Alfredson, che soppianta Niels Arden Oplev alla regia, esce il 25 settembre con oltre 250 copie. Lo presenta a Roma il protagonista maschile, Michael Nyqvist, in arte Mikael Blomkvist, direttore della rivista Millenium, giornalista economico impegnato ma ancora più impegnato amante, di tante e belle donne.

Assomigli al personaggio che interpreti? Hai altrettanto successo con le donne?
Michael Nyqvist: Dopo il primo, ho scelto di fare anche gli altri due film della serie perché mi piace l'impatto sociale e politico del film. Condivido i principi morali del personaggio, è intelligente, tattico, è un buon ascoltatore, non è uno che giudica e ha una grande empatia. È un uomo occidentale moderno, quello che cerco di essere. Forse quello che Stieg Larsson avrebbe voluto essere, un pò il suo alter ego. Riguardo al suo comportamento da donnaiolo nel film abbiamo dovuto smorzare un pò la cosa. Ho parlato con l'editore di questo fatto e mi è stato detto che Larsson ha lasciato fuori ben altre venti storie con donne, immaginate un pò. Per quello che mi riguarda, anche se la domanda è decisamente personale, posso dire che anch'io amo le donne, mi piace parlare con loro, perché gli uomini ti chiedono cose di cui conoscono già le risposte, mentre le donne sono in grado di chiederti cose di cui non conoscono davvero la risposta e questo mi rende curioso rispetto alla vita.

Larsson era un esperto mondiale di organizzazioni antidemocratiche. Lo ha conosciuto?
Michael Nyqvist: Diversi anni fa ho recitato per due ore e mezza in un monologo tratto da Se questo è un uomo di Primo Levi, sono stato minacciato di morte da estremisti di destra e ho dovuto girare con guardie del corpo. In quel periodo ho conosciuto Stieg Larsson, proprio perché lui era un esperto di questo tipo di movimenti, dieci anni fa, quando in Svezia erano più attivi che ora. È stato un incontro brevissimo, che se fosse vivo non credo che ricorderebbe, ma di certo lui è stato il primo ad avviare il dialogo con questi estremisti e per questo veniva consultato continuamente.

È vero che i tre film sono stati girati più o meno contemporaneamente?
Michael Nyqvist: Abbiamo girato i tre film in continuità, nel giro di un anno e mezzo, perché l'idea che avevamo era quella di entrare nell'universo di Stieg Larsson, non di mescolare l'ordine o invertire il percorso, ma di attraversarlo nel modo in cui lui lo aveva creato. Ci sono, comunque, delle notevoli differenze tra i capitoli. Nel primo film, come nel primo libro, lo spettatore e il lettore sono insieme a Lisbet e Mikael, sanno quello che i due protagonisti sanno, né più né meno; nel secondo e nel terzo, il lettore-spettatore sa più di quello che sanno i personaggi e quindi il racconto si modifica e rientra più nella scia del thriller tradizionale. Inoltre, nel primo capitolo c'è un aspetto mistico, che si può associare al viaggio interiore che uno compie per ripercorrere le proprie memorie e che ha un linguaggio di per sé più cinematografico, che parte dalle immagini (le foto, i ricordi), mentre gli altri due capitoli sono più improntati all'inseguimento della verità.

Una delle ragioni di fascino della storia è, per noi, l'ambientazione nordica ed è indubbio che c'è tutta una nuova genìa nel settore del thriller nordico. Come lo spiega?
Michael Nyqvist: In Svezia c'è un gelo "polar", direbbero i francesi. La verità è che raccontiamo storie per cercare di cambiare la vita, di mostrare che può essere diversa, migliore. C'è anche una posizione critica verso il tanto elogiato welfare e una buona dose di senso di colpa rispetto al comportamento del nostro paese seconda guerra mondiale. Sono cose di cui non si può parlare ma che sono presenti nel nostro cinema e nella nostra letteratura. Diciamo che si avverte il loro cattivo odore.

Cosa ha significato per voi attori il cambio di mano alla regia?
Michael Nyqvist: Era nelle intenzioni che ci fosse un cambiamento di atmosfera da film a film e anche del modo di raccontare le storie. Innanzitutto per noi, perché è stata una vera e propria maratona. Nel secondo e nel terzo capitolo Daniel (Alfredson, ndr) è passato ad un utilizzo massiccio della steadycam e questo modifica la percezione: anche tu vuoi inseguire la notizia, vai con loro. Credo che il problema sia stato maggiore per il regista che per noi attori, che avevamo già lavorato per cinque mesi sui nostri personaggi. Lui si è trovato con gente che gli diceva: "di' quel che ti pare, ma io conosco la parte meglio di quanto non la conosca tu".

Come si evolve il suo personaggio lungo la trilogia? Avrebbe preferito un'evoluzione diversa?
Michael Nyqvist: Nel secondo film lo vedete lavorare come giornalista, cosa che nel primo non avete visto fare, perché il fulcro era la presentazione di Lisbeth, mentre il secondo si concentra di più su Millennium e sul metodo di lavoro della rivista. Il mio personaggio è sempre meno gentile e sempre più paranoico. Ho lavorato su questa evoluzione, l'ho sentita e quando lavoro come attore mi concentro di più sull'aspetto interiore del personaggio, non mi metto in posa. Uno dei miei eroi è Marcello Mastroianni e nel film cerco di recitare come lui, se non ve ne siete accorti, riguardatelo.

I tre libri in Europa sono da tempo best-sellers da record, mentre l'America li ha scoperti in ritardo e ora vorrebbe fare dei remake del film. È vero?
Michael Nyqvist: Si dice che Tarantino fosse a Stoccolma per rifare il film e che Brad Pitt interpreterà la mia parte, ma io non riesco ad immaginare Millenium ambientata in Alabama. Scherzi a parte, davvero non capisco: anche noi abbiamo degli ottimi registi e degli ottimi attori ma gli americani pensano prima di tutto all'aspetto commerciale, mentre noi abbiamo una tradizione...alla Bergman. Per rifare questi film dovrebbero prendere degli attori non noti e non so se sono disposti a farlo. Quel che dicono i libri e i film è che puoi cambiare la società con strumenti molto semplici: una penna, un telefonino, un computer. Hanno un tocco anarchico e una forza anarchica che forse è la chiave del loro successo, almeno in Europa.

Nel vostro paese che tipo di giornalismo si fa? C'è vera libertà di stampa?
Michael Nyqvist: Intorno al 1973 abbiamo subito un trauma: due giornalisti hanno scoperto che esisteva una polizia segretissima collegata al partito socialdemocratico e fu uno shock per la nostra democrazia. I giornalisti finirono in prigione e nulla accadde al partito, quindi la libertà di espressione rimane un dilemma e da allora si è avviato un dibattito che ha messo in discussione le tradizioni svedesi. Fino ad allora era un paese quasi feudale, che viveva in campagna e si trasferiva in massa in città al seguito del proprio leader politico o religioso, ma negli anni Settanta le cose hanno cominciato a cambiare.

Esiste un equivalente di Millenium?
Michael Nyqvist: La rivista Expo, fondata da Stieg Larsson è di fatto Millennium, e ne abbiamo circa un'altra decina. Il problema è che sono noiose a morte, o meglio troppo serie, ed è difficile venderle.

Perché girare in svedese un film così internazionale?
Michael Nyqvist: Non so voi ma io non posso sentire gli attori inglesi che parlano tedesco, preferisco di gran lunga la spezia della lingua madre. Ma se vedete Inglorious Basterds vedrete che le lingue si possono mescolare con ottimi risultati. E poi non volevamo perderci il divertimento di venire doppiati.

Il primo film era previsto per il cinema, gli altri per la tv, poi il successo ha riscritto la destinazione degli altri due capitoli. Avete avvertito la sterzata?
Michael Nyqvist: Fu estremamente imbarazzante fare una conferenza stampa con i giornalisti internazionali, in occasione del primo film, e sentirsi dire: "come fate ad essere così stupidi da non voler offrire al pubblico questo regalo? Cos'è, avidità?" Ho replicato che sono film violenti, che magari i ragazzini non avrebbero dovuto vedere al cinema, ma mi è stato giustamente risposto che i ragazzini possono accendere la tv anche di notte. Però, a dire la verità, quando abbiamo iniziato a girare il secondo film sapevamo già che lo stavamo facendo per il cinema, per cui non ci sono stati grossi cambiamenti, forse solo a livello produttivo. Il fatto è che Stieg aveva venduto i diritti ad un'azienda televisiva. In ogni caso è come se avessimo realizzato due prodotti, abbiamo lavorato per entrambe le destinazioni: per il primo film, ma anche per il secondo, c'è un'ora di materiale in più. E comunque, per quella che è la mia esperienza, so che, se hai fatto un buon film, in televisione ci finisce comunque.

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